Gli Etruschi interpreti del volere divino. La mostra al Museo Archeologico di Reggio Calabria
I Greci li chiamavano philòtechnoi, amanti della tecnica. Ed in effetti gli Etruschi eccellevano nella produzione di spettacolari oreficerie e oggetti in bronzo, votivi o domestici.
Dal canto suo questa misteriosa civiltà sviluppatasi nell’Italia centrale dall’età del Ferro – attraverso gli apporti di popoli diversi – fino all’integrazione romana realizzatasi tra il IV e il I secolo a.C, attinse molto dai Greci e dai loro miti, che venivano rielaborati e reinterpretati secondo il gusto degli artigiani, del pantheon etrusco e delle tradizioni locali.
Gli Etruschi sbarcano in Magna Grecia grazie a una mostra, protagonisti di un affascinante dialogo con la civiltà greca. Fino al 29 ottobre la casa dei Bronzi di Riace, il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, ospita la bella esposizione dal titolo Le nuvole e il fulmine. Gli Etruschi interpreti del volere divino, nata dalla collaborazione con la Direzione Regionale Musei della Toscana e con il Museo Archeologico Nazionale di Firenze.
“Ho accolto con entusiasmo questo progetto – commenta Stefano Casciu, direttore regionale dei Musei della Toscana – che porta la straordinaria cultura degli Etruschi nel cuore della Magna Grecia. L’accordo di collaborazione firmato con il MArRC segna l’avvio di una significativa sinergia, volta a promuovere e valorizzare in rete il ricchissimo patrimonio archeologico del nostro Paese”.
Il percorso, scandito da oltre cento opere arrivate in riva allo Stretto dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze abbraccia statue, oggetti in oro, argento e bronzo, ceramiche figurate, urne cinerarie. Curata dal direttore del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, Carmelo Malacrino, dal direttore del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, Mario Iozzo, e dalla curatrice della sezione etrusca dello stesso Museo, Barbara Arbeid, l’esposizione, come sottolinea Iozzo, “vuole illustrare al pubblico più ampio il fascino della civiltà etrusca, vista attraverso gli aspetti della vita quotidiana, dei culti e dei rituali funerari”. Un’attenzione particolare è stata rivolta alle pratiche religiose della divinazione, evidenziando l’abitudine degli Etruschi di trarre presagi dal volo degli uccelli, dalle viscere degli animali e dall’osservazione del cielo con i suoi fenomeni atmosferici.
“Mentre noi pensiamo che i fulmini si verificano perché le nuvole si scontrano, gli Etruschi ritengono che le nuvole si scontrino proprio per inviare un messaggio divino”. Con queste parole, che danno il titolo alla mostra, Seneca nel secondo libro delle Naturales Quaestiones riassumeva la particolarità delle credenze etrusche secondo le quali le divinità influenzavano le attività umane inviando segnali che dovevano essere decodificati. I due canopi – complesse urne cinerarie a testa umana che, con le loro forme vivaci cercavano di mantenere il ricordo dell’immagine del defunto – tra i pezzi più belli in mostra, sembrano fissarci. Il canopo di Cetona, dalla necropoli di Cancelli, (600-575 a.C.) riproduce una figura maschile su trono a impasto. Sulla spalla si notano quattro figurine di divinità femminili alate. Gli espressivi occhi in osso del canopo maschile di Chiusi sembrano voler restituire alla figura l’integrità fisica distrutta dal rituale crematorio.
In età classica l’arrivo di idee e modelli culturali dalla Grecia inducono gli artigiani etruschi a imitarne le forme. I vasi in terracotta diventano potenti mezzi di diffusione delle storie e dei miti. Dopo aver conosciuto i vasi greci, gli Etruschi iniziarono a produrre gli stessi soggetti a figure nere e poi rosse, con scene mitologiche tipiche del loro repertorio. Se sui vasi prevalgono le saghe di origine greca, sugli specchi in bronzo, oggetti del corredo delle spose, venivano incise scene riferite al pantheon delle divinità etrusche e a i miti locali.
Dalla tomba delle Idrie di Meidias, una ricca sepoltura femminile della necropoli di San Cerbone, a Populonia, proviene l’eccezionale corredo appartenuto forse a una defunta di rango sacerdotale che restituisce un set di utensili da mensa e due hydriai attiche con scene dei miti di Adone e Faone, legate alla dea Afrodite e ai suoi culti. Dalla tomba I di Poggio dell’Impiccato, una delle più ricche deposizioni del periodo Villanoviano di Tarquinia, arriva invece la spada con fodero decorati con scene di caccia al cinghiale e ai cervi che testimonia gli stretti rapporti culturali tra Etruria e Italia meridionale.
“Gli Etruschi – commenta la curatrice Barbara Arbeid – onoravano i defunti in modo diverso. Il mondo in cui si onoravano a Tarquinia è ad esempio diverso dalle usanze di Chiusi. Ogni città aveva le sue peculiarità”. Un altro pezzo da non perdere è la cosiddetta Mater Matuta, una statua cinerario femminile in pietra dalla necropoli della Pedata di Chianciano Terme (450-440 a.C.).
La mostra al MArRC abbraccia anche un’ampia selezione di terracotte, statuette e specchi in bronzo che testimoniano la varietà (e la diversità) del pantheon etrusco, come il bronzetto di Tinia (Zeus etrusco), quello di Menerva (Athena) o ancora quello di Uni (Juno Sospita).
Scopriamo così che gli Etruschi concepivano le divinità come gruppi con specifiche competenze. Le singole figure non erano distinte, ma costituivano insiemi di potenze che operavano congiuntamente su una o più sfere (per esempio il mondo dell’aldilà, la famiglia, il destino). Non avevano sembianze umane e nemmeno un genere definito. I contatti con i Greci contribuirono a mutare la visione del pantheon degli Etruschi che iniziarono a immaginare le loro divinità in forme umane e con attributi caratterizzanti (come il fulmine per Tinia, su modello di Zeus). Tuttavia continuarono a sopravvivere alcune divinità locali alle quali si affiancavano daimones, forze soprannaturali, come le Lase o Vanth, e privi di corrispettivi in Grecia.
Nel percorso ritroviamo il mito di Ulisse e delle Sirene racchiuso nell’urna in alabastro del III secolo a.C. dalle necropoli di Volterra. Nell’immaginario etrusco l’idea del pericoloso viaggio oltremare dell’eroe simboleggiava la morte e il passaggio alla vita nell’aldilà, che si immaginava come un mondo felice, da raggiungere attraverso quelle stesse peripezie che l’eroe dovette affrontare nello Stretto di Scilla e Cariddi. Richiamavano alla memoria gli antichi viaggi che i Greci affrontavano per raggiungere la terra dei Rasna (Etruschi) ricca di grano, ferro e minerali preziosi.
Gli scambi tra l’Etruria e l’antica colonia calcidese di Rhegion emergono invece dalla produzione ceramica “calcidese”, unica produzione vascolare a figure nere che, nella seconda metà del VI secolo a.C. può ritenersi degna, in tutto il mondo greco, di essere considerata pari alla grande produzione figurata di Atene. I vasi “calcidesi”, così chiamati per l’alfabeto euboico in cui sono scritti i nomi dei personaggi raffigurati su di essi, oggi attribuiti agli artigiani reggini, risentivano di influssi ateniesi, corinzi, greco-orientali, ma anche di elementi locali, per essere destinati all’esportazione verso i ricchi e remunerativi mercati delle città etrusche. Erano decorati con scene mitologiche derivate dall’epica di Stesicoro, Omero e Teagene di Rhegion. Risultati dei commerci di ritorno sono invece i buccheri etruschi ritrovati a Reggio e destinati al probabile santuario di Artemis Phakelitis.
La mostra sfodera anche gli elmi in bronzo di Vetulonia, del tipo Negau, scoperti nel 1905 lungo le mura dell’arce, schiacciati di proposito e ammassati in una grande fossa, tutti risalenti al V secolo a.C. Alluderebbero alla sconfitta di un clan familiare e della sua milizia da parte di un avversario.
Dai santuari greci, concepiti per essere visti da ogni lato, scivoliamo verso il tempio etrusco, accessibile solo sulla fronte tramite un’ampia scalinata, costruito in prossimità di fonti d’acqua e montagne. Le offerte votive, di diversi tipi e materiali, sepolte all’interno del santuario raccolte periodicamente e seppellite segretamente, stabilivano il contatto tra il fedele e la divinità. Dal deposito votivo di Brolio (Arezzo) provengono straordinarie testimonianze dei rituali di offerta riferibile all’età alto arcaica. In onore di una divinità, ad oggi sconosciuta, furono deposti oggetti come bacili, coppe, strumenti musicali.
La mostra dedicata agli Etruschi va ad aggiungersi alla ricca agenda estiva del MArRC. “Accanto alla programmazione delle Notti d’Estate sulla terrazza del Museo – spiega il direttore Carmelo Malacrino – questa nuova esposizione offrirà la possibilità di un inedito viaggio nel mondo degli Etruschi. È la prima volta che questo tema viene presentato a sud di Napoli e siamo felici di questa opportunità resa possibile grazie alla Direzione Regionale Musei della Toscana e al Museo Archeologico Nazionale di Firenze. I visitatori avranno a disposizione molte esposizioni temporanee: la mostra I Bronzi di Riace. Cinquanta anni di storia e I Bronzi di Riace. Un percorso per immagini, il percorso Per gli dei e per gli uomini. Musica e danza nell’antichità, l’esposizione Sullo scaffale dello speziale. Vasi da farmacia nella Calabria del Settecento, e la piccola sezione dei Depositi in mostra.
Carlo Franza