All’indomani della terribile alluvione che nel 1966 devasta Firenze, l’ingegnere navale Alberto Della Ragione dona al Comune di Firenze una raccolta di 241 opere della propria collezione, rispondendo all’appello che Carlo Ludovico Ragghianti con il Comitato Internazionale per Firenze aveva rivolto ad artisti e collezionisti per “dare un contributo alla resurrezione di Firenze”. Tra le opere spicca un olio su tela di Fortunato Depero, dal titolo Nitrito in velocità. Partendo da quest’opera, oggi in collezione presso il Museo Novecento di Firenze, prende avvio la mostra dedicata al grande artista trentino, che porta in Palazzo Medici Riccardi capolavori provenienti da una prestigiosa collezione privata e dal Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, depositario di un importante nucleo di opere donate dall’artista al Comune di Rovereto nel 1957 per la creazione di un museo a lui dedicato

Fortunato Depero (1892-1960) nasce a Fondo, in Val di Non, e ancora giovanissimo si trasferisce con la famiglia a Rovereto, sua città d’adozione. Qui studia presso la Scuola Reale Elisabettina, un istituto tecnico di arte applicata che nel suo programma intende favorire, attraverso la pratica e lo studio, l’interdisciplinarità tra le arti. Fin da subito il giovane Depero guarda all’arte italiana e alle sue influenze e, neanche ventenne, si reca prima a Torino, poi a Firenze e infine a Roma, dove si trasferisce per un breve periodo assieme alla futura moglie Rosetta Amadori. Nella capitale Depero rimane folgorato dall’opera di Umberto Boccioni ed entra in contatto con Filippo Tommaso Marinetti, Giacomo Balla e Francesco Cangiullo aderendo al Futurismo. L’estetica futurista, che vuole ridisegnare la vita quotidiana con forme e colori abbandonando la divisione accademica tra arti maggiori ed arti minori, rispecchia fin da subito l’ideale artistico del giovane Depero. Nel 1915 assieme a Balla è firmatario del manifesto Ricostruzione futurista dell’Universo con il quale auspicano di “realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente”.

La favola meccanica de I Balli plastici giunge a seguito dell’esperienza con il fondatore dei Balletti Russi Sergej Djagilev, che nel 1916 lo incarica di realizzare la scenografia e i costumi per Le Chant du rossignol di Igor Stravinskij. Depero disegna i bozzetti dei costumi e un modello in grande scala della scenografia, un luogo fantastico fatto di fiori e composizioni geometriche, un paesaggio “astratto, a coni, piramidi, poliedri” già teorizzato nel 1915 nel manifesto Ricostruzione futurista dell’Universo. Tuttavia, la complessità dell’allestimento – assieme a una probabile collaborazione con Picasso per la realizzazione dei costumi del balletto Parade – portano al fallimento del progetto, che vede la messa in scena dello spettacolo nel 1920 con i costumi disegnati da Henri Matisse. Questo non ferma però Depero: i personaggi e le scenografie pensate per i balletti russi divengono infatti protagonisti di alcune delle sue opere più note, e le stoffe inutilizzate per i costumi per lo spettacolo di Djagilev vengono impiegate per le prime creazioni tessili che tanta fama hanno dato all’artista trentino.

I colori sgargianti, le campiture piatte e le forme geometriche e giocose, tipiche dello stile deperiano, invadono non solo le tele ma entrano a far parte della vita quotidiana. L’artista progetta e realizza giocattoli, mobili, oggetti di arredamento e soprattutto arazzi, cuscini e composizioni in stoffa. Nel 1919 decide di fondare, in una Rovereto ancora distrutta dalla Grande Guerra, una propria “Casa d’Arte Futurista” dove produrre le sue creazioni. Cuore pulsante del laboratorio artistico sono le “tarsie in panno” assemblate da un gruppo di ricamatrici, che lavorano a partire dai suoi progetti sotto la supervisione della moglie Rosetta. Gli arazzi, caratterizzati da colori vivaci, linee sintetiche e personaggi fantastici, devono sostituire, secondo Depero “con intenzioni ultramoderne ogni tipo di arazzo-gobelin, tappeti persiani, turchi, arabi, indiani, che oggi invadono qualsiasi distinto ambiente”. Una delle prime tarsie in panno prodotte nel laboratorio roveretano è proprio Cavalcata fantastica, commissionata dallo scrittore Umberto Notari per la Sala da fumo della sua villa di Monza. L’idea di “dipingere con panni colorati” risale ad alcuni anni prima della “Casa d’Arte Futurista”, quando l’artista è ospite a Capri di Gilbert Clavel, poeta di origini svizzere trasferitosi in Italia ai primi del Novecento. Il “professore di storia egizia, indagatore e osservatore con sensibilità d’artista, scrittore, amante del popolo, del verso e della metafisica”, affascinato dai personaggi fantastici e dal suo stile artistico aveva accolto Depero nella sua villa per lavorare all’illustrazione del suo libro Un istituto per suicidi, pubblicato nel 1917. Inizia così la collaborazione e l’amicizia tra i due uomini che sfocerà nella creazione del progetto teatrale di grandissimo impatto de I Balli Plastici, con le coreografie di Depero e Clavel e la direzione musicale di Alfredo Casella, qui ritratto in un disegno coevo. Lo spettacolo, andato in scena con successo nel 1918 al Teatro dei Piccoli di Roma, rappresenta una delle prime sperimentazioni teatrali d’avanguardia. Nel rispetto dell’idea di teatro futurista gli attori sono sostituiti da automi che Depero crea ispirandosi a ciò che lo circonda e agli amici che frequenta: il pagliaccetto ricorda, ad esempio, lo stesso Clavel; mentre l’uomo con i baffi è verosimilmente un omaggio al padre del futurismo, Marinetti.

Spinto da una curiosità insaziabile, nel 1928, Depero e la moglie si imbarcano alla volta di New York con l’intento di aprire una filiale della Casa d’arte. New York rappresenta per l’artista la città futurista per eccellenza, il tempio della modernità dove dominano meccanica, velocità, luci e grattacieli e la metropoli diventa subito oggetto di numerose opere. Qui ha anche l’occasione di entrare in contatto con il mondo della pubblicità e dell’editoria, lavorando, tra gli altri, per le riviste Vanity Fair e News Auto Atlas. Il suo arrivo nella Grande Mela coincide però con la Grande Depressione del 1929 e il progetto della “Depero’s Futuristic House” non ingrana, costringendolo nel 1930 a rientrare in Italia. Due anni dopo Depero partecipa alla Biennale di Venezia esponendo il Nitrito in velocità, che, molto probabilmente, viene acquistato proprio in quest’occasione da Alberto Della Ragione. Il soggetto ebbe un notevole successo tanto che ne realizza varie versioni, presentando nel linguaggio plastico e meccanico il tema dello slancio del cavaliere a cavallo, già ampiamente indagato anche dagli altri futuristi e sintetizzato attraverso un uso sapiente delle linee di forza e del triangolo. Dice Depero: “È ora di finirla con il riconoscimento dell’artista dopo la morte o in avanzata vecchiaia. L’artista ha bisogno di essere riconosciuto, valutato e glorificato in vita, e perciò ha diritto di usare tutti i mezzi più efficaci ed impensati per la rèclame al proprio genio e alle proprie opere”.

 

Carlo Franza