Sovrane Oreficerie. Il Reliquiario di Montalto delle Marche, dalla Parigi dei Valois alla Roma dei Papi
Al Museo dell’Opificio di Firenze il Reliquiario di Montalto delle Marche, è esposto un capolavoro dell’oreficeria gotica e rinascimentale, passato per i Valois, gli Asburgo, gli Este e il tesoro pontificio, poi donato alla cittadina marchigiana da papa Sisto V. Per qualità e per storia il reliquiario è tra le opere di oreficeria più affascinanti di ogni tempo. Questo capolavoro, dopo l’intervento cui lo hanno sottoposto i professionisti dell’Opificio delle Pietre Dure, sarà fino al 4 maggio 2024, presso il Museo dell’Opificio nella sua sede storica in via degli Alfani 78 a Firenze. A dieci anni di distanza dal restauro eseguito nel 2013 l’opera è tornata a Firenze per una accurata revisione, sia della struttura metallica che degli elementi smaltati. Su questi ultimi, in particolare, doveva essere verificata la tenuta dei consolidamenti effettuati in quella occasione e controllata l’eventuale comparsa di altri punti di fragilità. Era necessario inoltre ricollocare tre piccoli frammenti distaccati, tutti provenienti dal prato verde su cui poggiano le figure principali. Questo è l’unico elemento del reliquiario che è stato smaltato su argento e non su oro ed è pertanto più soggetto a fenomeni di alterazione, specialmente laddove si siano verificate fratture o cadute dello smalto. I tre frammenti sono stati riposizionati tramite micro-incollaggio e sono stati consolidati altri punti del prato che manifestavano segni di possibile distacco. Oggetto delicatissimo, dunque, il reliquiario risplende per la straordinaria raffinatezza tecnica, per la preziosità dei materiali. Realizzato in oro (fuso, smaltato en ronde-bosse, raffinata tecnica in cui lo smalto viene applicato su superfici a tutto tondo o in alto rilievo) e in argento (fuso, sbalzato, inciso, smaltato e in parte dorato ad amalgama di mercurio), circonda le scene toccanti legate alla passione di Cristo con diciannove zaffiri, venti spinelli, cinquantanove perle e un raffinato cammeo in sardonice di manifattura bizantina. Pochi lavori di oreficeria possono vantare una storia collezionistica tanto documentata e di altissimo profilo quale la sua: la parte più antica dell’opera, in forma di tavoletta, era appesa nella cappella del Louvre stando all’inventario del tesoro di Carlo V di Francia (1338-1380), cui va presumibilmente attribuita la commissione dei magnifici smalti a tutto tondo su oro eseguiti forse da Jean du Vivier, orafo di corte. Un angelo biondo dalle grandi ali blu e bianche regge con le mani velate, offrendolo alla contemplazione, il corpo esanime di Cristo; un oggetto di devozione commovente e lussuosissimo insieme che presto passò ad altri Illustri proprietari. Nel 1439 risulta fra i beni dell’eredità di Federico IV d’Asburgo, dal 1411 duca d’Austria e conte del Tirolo; nel 1450 Leonello d’Este, coltissimo signore di Ferrara, lo acquista dal mercante tedesco Jachomo de Goldemont; già nel 1457 compare nell’inventario dei beni del cardinale veneziano Pietro Barbo, raffinato collezionista, poi papa dal 1464 al 1471 col nome di Paolo II. Sarà lui a trasferirlo nel tesoro pontificio e a dargli l’aspetto attuale, facendolo inserire in una struttura monumentale in argento dorato di straordinaria qualità. Nel 1586 papa Sisto V preleva il prezioso oggetto e lo dona alla cittadina di Montalto nelle Marche, dove aveva avuto inizio la sua vita di uomo di chiesa. Nel donarlo, Sisto V limitò la sua ostensione pubblica a sole tre volte l’anno, poi ulteriormente ristretta al solo terzo giorno precedente la Pentecoste. Per poterlo prelevare per l’esposizione servivano quattro chiavi, affidate ad altrettanti maggiorenti della città. L’importanza per la collettività era tale che per salvarlo dalle razzie dei soldati napoleonici i cittadini si autotassarono per offrire 216 pezzi duri, equivalenti alla quantità di argento necessaria a fondere due grandi candelabri.
Ora all’interno della rassegna Caring for Art, giunta al suo quarto appuntamento, ciascuno avrà l’opportunità di osservarlo con agio, di apprezzare il magistero tecnico che regge anche i minimi dettagli dispiegandosi anche nelle parti apparentemente secondarie, di avvicinarsi ad una sensibilità religiosa che univa immagini colme di patetico realismo e il fulgore delle gemme. Per questa occasione il ringraziamento e il merito vanno a Sua Eccellenza Mons. Carlo Bresciani, Vescovo della Diocesi di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto e alla Direttrice dei Musei sistini del Piceno Paola Di Girolami.
Carlo Franza