La mostra Il Cinquecento a Ferrara. Mazzolino, Ortolano, Garofalo, Dosso costituisce la seconda tappa di una più ampia e ambiziosa indagine del tessuto culturale e artistico intitolata Rinascimento a Ferrara 1471-1598: da Borso ad Alfonso II d’Este, vale a dire la stagione compresa tra l’elevazione della città a ducato e il suo passaggio dalla dinastia estense al diretto controllo dello Stato Pontificio. Sarà visitabile fino al 16 febbraio 2025.

Naturale prosecuzione di Rinascimento a Ferrara. Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa (Palazzo dei Diamanti, 18 febbraio – 19 giugno 2023), l’esposizione ripercorre le vicende artistiche del primo Cinquecento a Ferrara, dagli anni del passaggio di consegne da Ercole I d’Este al figlio Alfonso I (1505) fino alla morte di quest’ultimo (1534), committente raffinato e di grandi ambizioni, capace di rinnovare gli spazi privati della corte come quelli pubblici della città. La scomparsa della generazione di Cosmè Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti aveva lasciato Ferrara alle prese con la difficile sfida di un ricambio di alto livello. Nel 1496 la scelta di ingaggiare Boccaccio Boccaccino indica la volontà di adottare un linguaggio più moderno, addolcito e morbido. All’inizio del nuovo secolo si sviluppa così una nuova scuola, meno endemica e più aperta agli scambi con altri centri, che ha come protagonisti Ludovico Mazzolino, Giovanni Battista Benvenuti detto Ortolano, Benvenuto Tisi detto Garofalo e Giovanni Luteri detto Dosso.

Mentre Garofalo e Dosso sono noti al pubblico, e il loro percorso è stato approfondito in maniera organica in diverse occasioni espositive, per Mazzolino e Ortolano si tratta di un debutto assoluto, e quanto mai necessario per illustrare compiutamente e comprendere meglio il variegato panorama della pittura ferrarese dei primi decenni del XVI secolo.

I due maestri percorrono strade piuttosto diverse: Ludovico Mazzolino (Ferrara, c. 1480 – 1528), formatosi sui modelli di Ercole de’ Roberti e del primo Lorenzo Costa, orienta il suo linguaggio in senso anticlassico, guardando alla pittura e alle incisioni tedesche, da Martin Schongauer ad Albrecht Dürer. Nonostante dimostri di conoscere Boccaccino e la pittura veneziana, come anche Raffaello e la cultura antica, la sua arte è sempre animata da accenti visionari e da una vitalità rumorosa che lo pone a buon diritto tra gli “eccentrici” attivi nell’Italia settentrionale. Si specializza in quadri d’impeccabile fattura destinati al collezionismo privato raffiguranti scene gremite di personaggi dai tratti fisionomici caricati, quasi grotteschi, del tutto insofferenti agli ideali di grazia ed equilibrio predicati da Perugino e dai suoi seguaci.

L’estro bizzarro di Mazzolino spicca con evidenza ancora maggiore quando lo si confronta con l’atteggiamento di Giovanni Battista Benvenuti detto Ortolano (Ferrara, c. 1487 – post 1527), caratterizzato invece da un naturalismo convinto e sincero. Dopo l’esordio influenzato dai modi dolci di Boccaccino, Costa e Francesco Francia, Ortolano si orienta dapprima verso la cultura veneziana di Giorgione per poi avvicinarsi alle novità proposte da Raffaello. Accanto alle grandi pale d’altare eseguite nel terzo decennio, veri e propri capolavori connotati da un «classicismo […] naturalizzato per via del lume illusionistico» (Longhi), produce numerosi quadri destinati alla devozione privata dove l’ispirazione raffaellesca si accende di suggestioni venete, evidenti soprattutto nella resa del paesaggio. Impossibile non rimanere incantati dalla spontaneità con cui l’artista si approccia alla realtà: una luce chiara isola i personaggi e indugia silenziosa sugli oggetti; nella (apparente) semplicità delle composizioni si avverte il senso dell’arcano.

Tra i riferimenti di Ortolano figura certamente Benvenuto Tisi detto Garofalo (Ferrara, 1481 – 1559). Formatosi presso Domenico Panetti e Boccaccino, dimostra fin da giovane una grande intelligenza figurativa che gli consente di misurarsi tempestivamente con tutte le novità che andavano affiorando nei maggiori centri della penisola. Durante il primo decennio del Cinquecento si accosta alla pittura veneziana e a Giorgione, per poi spostare il baricentro dei propri interessi verso l’Italia centrale. Nel corso della sua lunga carriera, Garofalo è il principale interprete e divulgatore ferrarese dello stile di Raffaello, di cui comprende perfettamente la portata e di cui segue lo svolgimento con diligenza. Le sue pale d’altare, dalla maniera pacata ed elegante, popolano le chiese cittadine, mentre i preziosi dipinti da cavalletto sono presenti in gran numero nelle collezioni private.

Parallelamente a Garofalo si muove Giovanni Luteri detto Dosso (Tramuschio?, c. 1487 – Ferrara, 1542), uno degli artisti di punta della corte di Ferrara sotto i governi di Alfonso I e di Ercole II. Nato nel piccolo ducato di Mirandola, esordisce a Mantova e nel 1513 si trasferisce a Ferrara dove lavora, insieme a Garofalo, al celebre polittico Costabili nella chiesa di Sant’Andrea (oggi nella Pinacoteca Nazionale). Durante la giovinezza la sua pittura risente dell’influenza di Giorgione e Tiziano, dai quali trae una magnifica profondità di colore e una luce tutta veneziana. All’epoca della sua prima opera, la spettacolare Madonna col Bambino in gloria e santi per il duomo di Modena (1518-21), è già avvenuto un contatto con Michelangelo e la cultura romana: da qui in poi Dosso sviluppa uno stile personale, colto e divertito, grazie anche a una particolare sintonia con Alfonso I. Se Garofalo monopolizza le commissioni ecclesiastiche, Dosso è padrone del campo delle imprese ducali, in cui affronta temi allegorici e mitologici, desunti spesso dall’Ariosto.

La scena della pittura cittadina non sarebbe infine completa senza le opere di Domenico Panetti, Boccaccio Boccaccino, Lazzaro Grimaldi, Niccolò Pisano, il Maestro dei dodici Apostoli: grazie al contributo di questi maestri, presenti assieme ad altri (Fra Bartolomeo, Romanino, Amico Aspertini, Albrecht Dürer) nel percorso espositivo, che avrà una naturale estensione nelle sale della Pinacoteca Nazionale al piano nobile di Palazzo dei Diamanti, la mostra accompagnerà il visitatore attraverso una stagione incredibilmente ricca, dove l’antico e il moderno, il sacro e il profano, la storia e la fiaba si fondono in un mondo figurativo che può definirsi, in una parola, ferrarese.

Carlo Franza

 

 

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