“De Chirico. L’ultima metafisica” che è stata inaugurata a Modena a Palazzo dei Musei il 29 novembre 2025 e rimane aperta fino al 12 aprile 2026, comprende cinquanta opere del Maestro, provenienti dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico di Roma.

Diceva Picasso che ci vuole molto tempo per riuscire a diventare giovani. De Chirico ci riesce in modo speciale a ottant’anni, quando nel 1968 avvia la sua stagione neometafisica. È allora che riprende temi, figure e motivi della pittura che aveva creato dagli anni Dieci ai primi anni Trenta, dando loro un significato nuovo, divertito, giocoso e, appunto, giovane, senza più il senso tragico (mimetizzato dietro la maschera di un’apparenza serena) delle sue opere di oltre mezzo secolo prima. La mostra intende ricostruire quindi il decennio 1968-78 in cui de Chirico riprende a dipingere manichini, Piazze d’Italia e altri enigmi, con nuove rielaborazioni e invenzioni.

La neometafisica si differenzia dalle copie, che l’artista esegue quasi tutta la vita, per un mutamento di motivi e di significato. Con una accentuata ironia, colori più accesi e cadenze più giocose, de Chirico si stacca dalla visione nichilista degli anni Dieci e reinterpreta in forme più serene, anche se non prive di qualche malinconia, i temi del passato. Alla pittura pastosa della stagione “barocca” sostituisce una pittura fondata sul disegno e sulla costruzione nitida delle forme. La mostra documenta questa stagione ultima, ma non meno importante, dell’artista attraverso alcuni capolavori come Ettore e Andromaca, 1968; L’astrologo, 1970; Il sole sul cavalletto, 1973.

In queste e in altre opere di questo periodo – come Il segreto del castello, Interno metafisico con pere, Il segreto della sposa – il pittore non imita sé stesso, ma rielabora liberamente le proprie invenzioni. L’angoscia esistenziale degli anni giovanili, nutrita di Nietzsche e Schopenhauer, lascia posto a una saggezza ironica e pacata, a una visione dell’esistenza come commedia. È il tempo in cui la filosofia di Marcuse valorizza il gioco come espressione di libertà e la pop art esalta la vitalità dei colori: un contesto che, pur non determinando direttamente il mutamento di De Chirico, risuona con la sua rinnovata leggerezza. La pennellata torna nitida, i colori smaltati, le forme semplificate.

La svolta viene riconosciuta per la prima volta nel 1968 da Buzzati, che recensisce la mostra milanese di Alexander Jolas. Dopo aver criticato poco prima le repliche “meccaniche” dell’artista, Buzzati riconosce nella nuova produzione una sincerità e una freschezza autentiche, scrivendo con ammirazione che “a ottant’anni un artista abbia l’animo di mettersi in un’impresa simile è cosa meravigliosa”. È l’inizio della riscoperta del “nuovo” de Chirico. La denominazione “neometafisica” nasce ufficialmente nello stesso 1970, quando il curatore Wieland Schmied, presentando la mostra tedesca di Hannover, parla di un “periodo neometafisico” contrassegnato dal ritorno ai temi metafisici con spirito rinnovato.

Nell’ultimo decennio della vita, de Chirico mostra dunque una vitalità sorprendente e una libertà intellettuale che sfidano la vecchiaia. La neometafisica diventa la sua risposta serena al tempo, un gioco di memoria e invenzione, una meditazione leggera sul destino umano. Nelle sue parole finali, l’artista riafferma la fusione sacra tra Poesia e Pittura, rifugio ultimo della sua arte e della sua filosofia di vita.

Carlo Franza

 

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