In occasione dei 450 anni dalla nascita di Guido Reni, i Musei Reali di Torino celebrano uno dei maestri più amati e raffinati del Seicento con la mostra “Il ‘divino’ Guido Reni nelle collezioni sabaude e sugli altari del Piemonte”, ospitata nello Spazio Scoperte della Galleria Sabauda.

Considerato il protagonista assoluto del classicismo seicentesco, Reni seppe unire l’armonia dei modelli antichi a una straordinaria sensibilità cromatica, conquistando il favore delle corti europee e in particolare della corte sabauda, che ne riconobbe il valore già in vita. Il percorso espositivo, si articola in più sezioni: i dipinti commissionati o acquistati dal cardinal Maurizio di Savoia, che per primo intuì il talento del pittore; le tele appartenute al principe Eugenio di Savoia Soissons, poi confluite nelle collezioni sabaude grazie a Carlo Emanuele III nel 1741; una preziosa selezione di disegni provenienti dalla Biblioteca Reale e dalla Galleria Sabauda, che offrono uno sguardo più intimo sul processo creativo dell’artista.

Tra i momenti più attesi, la presentazione dell’inedita tela giovanile L’Assunzione della Vergine, recentemente scoperta nella chiesa di Abbadia Alpina a Pinerolo e restaurata per l’occasione: un ritrovamento eccezionale che arricchisce la conoscenza della produzione di Reni e della sua influenza sull’arte sacra piemontese. La tela giunse in Piemonte per volontà dell’abate Ruggero Tritonio, che la commissionò a Reni all’inizio del Seicento. Il dipinto è esposto al pubblico per la prima volta in occasione della mostra, restituendo una preziosa testimonianza della prima attività romana del pittore, quando il giovane artista entra in contatto anche con la moderna pittura di Caravaggio.

“Piccola ma preziosa”, definisce Paola D’Agostino, direttrice dei Musei Reali torinesi di fresca nomina – “Sono molto onorata – aveva detto in occasione dell’insediamento – di iniziare il nuovo incarico alla Direzione dei Musei Reali di Torino, che con il loro patrimonio monumentale, le straordinarie collezioni d’arte e di archeologia, la Biblioteca e i Giardini Reali costituiscono uno dei complessi museali di maggior prestigio in Italia e nel mondo. Negli ultimi dieci anni i Musei Reali hanno avuto una crescita straordinaria, grazie alle due direzioni di alto profilo (Enrica Pagella e Mario Turetta, ndr). È un privilegio contribuire al progetto culturale e alla valorizzazione di questi luoghi e della dinastia dei Savoia, che li ha progettati, arricchiti di capolavori e modificati nel tempo” -, la mostra “Il divino Guido Reni. Nelle collezioni sabaude e sugli altari del Piemonte”, visitabile sino al 18 gennaio 2026, in occasione dei 450 anni dalla nascita dell’artista (1575 – 1642), nello Spazio Scoperte della Galleria Sabauda. Curata da Annamaria Bava e Sofia Villano, in un anno pieno di lavoro, con un efficace team di collaboratori e studiosi e restauratori, è un’occasione da non tralasciare – l’ultimo appuntamento torinese con Reni risale al 1989, alla Promotrice -, scavo di pregio verso un artista che negli ultimi anni ha visto raccolti attorno a sé studi e mostre, da Francoforte al Prado, da Bologna a Roma, nella cornice della Galleria Borghese, qui una decina di tele e altrettanti disegni e incisioni, un breve itinerario a documentare per tappe le diverse fasi della carriera, dagli anni giovanili alla maturità piena: un’occasione per riscoprire alcuni tratti, inattesi, di quello che i contemporanei non ebbero ripensamenti a definire “divino”, per incontrare presenze di un’arte che anche nel nostro territorio conserva esempi strabilianti. Capolavoro di composizione, tratteggio di luci e ombre -Reni non guardava soltanto alla lezione iniziale dei Carracci, Ludovico soprattutto, ma altresì a quella successiva di Caravaggio-, la grande tela dipinta tra il 1605 e 1606, raffigurante l’”Assunzione della Vergine”, gioiello ai molti sconosciuto della Chiesa Parrocchiale di San Verano ad Abbadia Alpina, nei pressi di Pinerolo. Alterazioni di vernici, lacerazioni, abrasioni, una ragnatela di screpolature, una parte centrale dalle dimensioni non indifferenti ridotta a un buco che ha necessitato di un rattoppo vero e proprio e di cuciture per riorganizzare la parte mancante, con un’opera successiva di velinatura e altri passaggi, ogni cosa dovuto al lavoro del restauratore Domenico Pagliero di Savigliano e del suo laboratorio. Inoltre l’applicazione, postdatata, di una cornice settecentesca, riformata nel telaio e molto rispettosa dell’originale. In “condizioni tremende” – ha sottolineato Valeria Moratti della Soprintendenza durante la presentazione della mostra, con un apparato di conoscenza, di particolari, di parole, di dati lavorativi e di risultati che non possono non aver soddisfatto e appassionato la platea – si presentava la tela prima del decisivo intervento, un’opera dalla ricca storia. Un documento, in data 19 aprile 1606, attesta il pagamento effettuato dal prelato Ruggero Tritonio – udinese di nascita, un’importante carriera ecclesiastica che l’avrebbe portato anche in Scozia e Polonia, legato al pontificato di Sisto V e a figure di spicco del mecenatismo romano, il suo arrivo presso la corte dei Savoia tra il 1580 e il 1583, tra gli incarichi divenne abate appunto di quella Chiesa Parrocchiale – al pittore: oggi ne possiamo nuovamente ammirare le brillantezze e le cromie accese, nei mantelli degli apostoli che circondano la tomba vuota della Vergine trasportata su una nuvola e circondata da piccoli angeli, del rosso e del blu, del giallo e del bianco, non tralasciando quello spruzzo violaceo che è un fiore, quasi impercettibile, tenuto nella mano da un astante.

Ancora dal territorio piemontese deriva “San Maurizio riceve la palma del martirio” (1615 – 1618, “in un momento di transizione nel linguaggio del maestro, dal rigore classicista del periodo precedente verso una pittura più morbida e pastosa”), dal Santuario della Madonna dei Laghi, in Avigliana, la possente figura del soldato in primo piano, il braccio destro in bella diagonale a proseguire verso l’angelo che gli porge la testimonianza e sullo sfondo, in vasta lontananza, la battaglia e la legione tebea alla sua guida, sterminata dall’imperatore Massimiano sul finire del terzo secolo. Il dipinto è documentato nel Santuario nel 1624, dovuto al mecenatismo del cardinale Maurizio di Savoia pronto a celebrare uno dei protettori della dinastia ma altresì un velato omaggio a se stesso, che del santo porta il nome. Una sorta di autocelebrazione, anche se posta magari in secondo piano. Alle pareti, anche le due tele assai simili che narrano un celebre episodio delle “Metamorfosi” di Ovidio. “Apollo che scortica Marsia”, databile intorno al 1620, è in prestito dal Musée des Augustins di Tolosa, ennesimo esempio delle spogliazioni napoleoniche (vi soggiorna dal 1805), in campo la bellezza del corpo e del viso del dio, simbolo altresì di razionalità divina, contrapposta al corpo martoriato e al volto straziato dal dolore, simboli di tracotanza, del satiro colpevole di una sfida musicale in cui non sarebbe mai stato vincitore. Reni riflette sull’alto senso della giustizia divina attraverso quel gesto, terribile in sé, di punizione, “calmo e misurato”, distaccato, lontano da sé, quasi non riguardante un essere distante dalla superbia e dalla bruttura del mondo, accrescendo il tutto di un valore simbolico, “la vittoria dell’intelletto e dell’armonia apollinea sulla brutalità e sull’eccesso, un tema caro alla cultura dell’epoca e in linea con le riflessioni che dovevano svolgersi nell’Accademia romana dei Desiosi, fondata dal Cardinal Maurizio.” Accanto la replica, con piccole digressioni, datata intorno al 1670, e appartenenti alle collezioni sabaude.

Si passeggia tra le bellezze del “San Giovanni Battista” (1635) e del “San Gerolamo” (1640 circa), veri capolavori della piena maturità dell’autore, tra “La morte di Lucrezia”, un tema sempre ricercato nella vasta produzione, e un’incantevole “Lotta tra Amorini e Baccarini” (1613 – 1615) che proviene dal ramo cadetto dei Savoia Carignano ed è trasferito nel Palazzo Reale nel 1831 per volontà di re Carlo Alberto, opera considerata una seconda versione, verosimilmente autografa, della tela di analogo soggetto eseguita da Guido Reni per il marchese Facchinetti, bolognese, e oggi conservata alla Galleria Doria Pamphilj di Roma: opere appartenenti tutte alla Sabauda. Interessante, forse più appartata, l’attività incisoria di Reni, ancora preziosa appartenenza dei nostri musei, i legami con l’editoria documentati dai “Disegni degl’apparati fatti in Bologna per la venuta di N.S. Papa Clemente VIII l’anno MDXCVIII intagliati da Guido Reni”, pubblicati per la prima volta a Bologna nel 1598; inoltre studi di mani e di teste, pieno di fascino quello della “testa di giovane donna”, carboncino e pietra rossa, che ricorda da vicino il viso femminile del frammento di “Bacco e Arianna” conservato a Bologna.

Per chi vorrà, s’annunciano piene d’interesse le giornate del 25 e 26 novembre prossimi quando l’Accademia delle Scienze di Torino, in stretta collaborazione con i Musei Reali, organizzerà il convegno scientifico dal titolo “Guido Reni (1575 – 1642). L’arte di un grande maestro: esplorazioni critiche e restauri”: un appuntamento che guarderà alle recenti ricerche reniane, dalle novità che sono emerse durante la mostra al Prado (2023) alle opere di restauro, non ultima quella eseguita all’interno del Casino dell’Aurora a Roma. Parteciperanno, tra gli altri, David Garcìa Cueto del Museo Nacional del Prado, Raffaella Morselli della Sapienza Università di Roma e Giulia Iseppi dell’Università di Bologna.

Carlo Franza

 

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