Il Capolavoro per Milano 2025, che il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano ospita fino  all’1 febbraio 2026, è la Natività (1525) di Lorenzo Lotto (1480-1556), arrivata  dalla Pinacoteca Nazionale di Siena.
L’opera, realizzata dall’artista definito “il genio inquieto” del Rinascimento per la sua straordinaria originalità, è al centro dell’esposizione che, per la diciassettesima edizione dell’iniziativa, è curata da Axel Hémery, direttore dei Musei Nazionali di Siena, e da Nadia Righi, direttrice del Museo Diocesano. La mostra è realizzata con il patrocinio del Comune di Milano, di Regione Lombardia e del Centro Internazionale di Studi e Documentazione su Lorenzo Lotto, grazie al supporto di numerosi sponsor privati.
Si tratta di un piccolo, grande capolavoro quello che è arrivato al Museo diocesano “Carlo Maria Martini” di Milano per la nuova mostra che, ci accompagna per tutto il tempo di Avvento e di Natale. Si tratta della “Natività” di Lorenzo Lotto, tra i prìncipi della pittura rinascimentale italiana, concessa in prestito dalla Pinacoteca nazionale di Siena; piccola per dimensioni (misura infatti circa 55 centimetri d’altezza), grande, anzi straordinaria, per qualità e bellezza. È proprio questo, infatti, il nuovo “Capolavoro per Milano”, una delle manifestazioni culturali più attese e amate (giunta alla sua sedicesima edizione).  Sensibile e contemporanea, viva per la particolarità e la complessità della scena, si vede infatti Maria che immerge in una tinozza da bucato il neonato Gesù per lavarlo, subito dopo la sua nascita. Gesù bambino non solo ha ancora attaccato una parte del cordone ombelicale, ma si scosta quasi tremante per l’acqua fredda. Il pargolo, infatti, non è raffigurato semplicemente nella sua nudità – a sottolineare che Egli è vero Dio e vero uomo – con  il cordone ombelicale, a mostrare la sua nascita autentica, non solo “apparente”, cioè venuto al mondo come ogni creatura del genere umano. Un dettaglio straordinario, pressoché unico nella storia dell’arte, che solo un genio, seppur inquieto, come Lorenzo Lotto poteva ideare. Accanto a Maria vi è un’altra donna, inginocchiata, più anziana, che la guarda sorpresa e ammirata, è la levatrice Salomè –di cui non parlano i Vangeli canonici, ma che è ben presente in quelli apocrifi– non aveva creduto alla verginità di quella donna che ha appena partorito, e per questo le sue mani sono rimaste come paralizzate.

In questo fiabesco racconto, certo diffuso nella cultura popolare e artistica fin dai primi secoli del cristianesimo, Salomè è la prima “convertita”, perché dopo l’evento di cui è stata protagonista (la paralisi delle mani e la successiva guarigione), ancora prima dei pastori e dei Magi, ha riconosciuto in quella creatura il Salvatore, nato dalla vergine Maria, nel compimento delle profezie messianiche.

Anche se, va segnalato, quella donna potrebbe essere invece santa Anastasia, che diverse leggende medievali identificavano tuttavia proprio con la levatrice di Betlemme, desiderosa di contemplare il Figlio di Dio, e quindi guarita dalla sua infermità da Gesù, nel suo primo miracolo terreno. “I musei nazionali di Siena sono felici di illuminare il Natale milanese con un gioiello dalle sfaccettature infinite: una iconografia unica, uno spessore spirituale, un fascino che durerà oltre la mostra”, ha dichiarato Axel Hémery, altro curatore della mostra e direttore dei Musei Nazionali di Siena.
Il dipinto affronta il tema della Natività secondo un’iconografia insolita, la scena, intima e raccolta, si svolge all’interno di una semplice stalla, in un’ambientazione notturna, che l’artista riprende dai modelli nordici che circolavano in quegli anni a Venezia e, in generale, nell’Italia settentrionale. Maestro delle potenzialità della luce, Lotto ricorre a una doppia fonte luminosa, la prima è l’aura generato dal Bambino, che si diffonde sui visi e sugli abiti degli altri personaggi, per poi riflettersi anche sugli oggetti sparsi attorno a loro; la seconda è la fiamma del focolare in secondo piano, dove in un ambiente retrostante compare un’altra figura femminile. Dall’opera emerge l’abilità di Lotto nel costruire un’ambientazione intima e domestica, dove gli strumenti di lavoro di Giuseppe e gli oggetti di casa si uniscono ai gesti affettuosi e spontanei dei personaggi, tra cui si innesca anche un sottile gioco di sguardi.
L’anziana levatrice osserva commossa la Vergine che a sua volta si concentra con struggente tenerezza sul Bambino, il quale con un gesto di grande naturalezza sembra ritrarsi dall’acqua fredda, mentre dietro di loro Giuseppe con le braccia spalancate assiste alla scena in disparte.
L’identificazione della anziana levatrice è tutt’altro che certa. Secondo alcuni Vangeli apocrifi dell’Infanzia, si tratterebbe dell’incredula Salomè, punita con la paralisi dell’arto a causa della sua diffidenza nei confronti della verginità di Maria e poi guarita grazie all’intervento di un angelo che la invita a toccare il neonato. In un altro testo, il Vangelo arabo dell’Infanzia di Cristo, che circolava anche in Europa, si tratterebbe invece di Anastasia, un’anziana donna con le mani paralizzate, accorsa ad aiutare Maria: rimanendo stupita dall’eccezionalità dell’evento, ottiene la grazia della guarigione. È forse più corretto lasciare aperte entrambe le ipotesi, immaginando che Lotto abbia volutamente sovrapposto le due figure, concentrandosi sugli sguardi dell’anziana che osserva il viso di Maria, a sua volta impegnata a guardare il Bambino.
Dal punto di vista iconografico si notano ulteriori dettagli inconsueti, come il gesto stupito di San Giuseppe e la presenza nel Bambino del cordone ombelicale non ancora reciso, a sottolineare l’umanità di Cristo.

Nel corso di un recente restauro (2018) sono emerse alla base dell’opera, in basso a destra, la data e la firma del pittore, sempre citate nei documenti ma ormai considerate perdute, celate dallo sporco e da vecchi interventi di integrazione pittorica. La critica -ed io tra questi- è oggi concorde nell’interpretare la data 1525 e non 1521, come erroneamente ritenuto in precedenza. L’opera sarebbe stata quindi eseguita al termine del lungo soggiorno bergamasco del pittore (1513-1526), tra i più sereni e fecondi periodi della sua attività artistica, in cui mette a punto uno stile assolutamente originale.

Carlo Franza

 

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