La recensione di Carlo Franza a “L’Isola tra le selve” è ampia, ricca e articolata. Ha ben poco a che fare con le classiche recensioni giornalistiche che si basano su una lettura affrettata e superficiale quando non semplicemente amichevole. Franza segue il percorso dell’antologia che riflette i vari momenti della vita di Umberto Piersanti mettendone in rilievo sia gli elementi di discontinuità sia soprattutto quelli di continuità.

Giusta e precisa la sua insistenza sulla dimensione narrativa: “Umberto Piersanti narra, i suoi testi non si risolvono mai in una mera analisi interiore e affrontano vicende e situazioni, sguardi e momenti di contemplazione”. Sottolineata dal critico è la dimensione del canto. C’è nell’autore urbinate una propensione alla melodia, al ritmo che raramente si rintraccia nella lirica contemporanea. Dimensione narrativa e canto che sembrerebbero agli antipodi sono qui strettamente uniti.

Anche la lingua viene indagata: c’è una lingua piana e semplice che s’accende talora di toni alti, perfino epici.

Il tempo e la memoria sono il motivo fondamentale che collega tutta l’opera dell’urbinate. Una memoria che risarcisce dei dolori e della perdita. Sta nella poesia, custode della memoria, uno dei pochi riscatti rispetto al dolore e all’inquietudine del vivere.

Carlo Franza appartiene ad un’antica scuola critica che si rifà a grandi interpreti accademici e non solo, come Mario Petrucciani, Attilio Momigliano, Natalino Sapegno ed altri. Ha collaborato con una -un po’ troppo dimenticata- ma molto importante rivista letteraria leccese voluta dal poeta Girolamo Comi, “L’albero” diretta dal Prof.  Donato Valli, Rettore Università di Lecce .

Sto parlando in terza persona, cercando di essere il più possibile oggettivo e distaccato, parlando della recensione di un libro che considero fondamentale in tutto il mio percorso. E Carlo Franza ne ha colto il senso e il valore.

 Umberto Piersanti

 

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