Gianfranco Baruchello nel Centenario della nascita. A partire dal dolce | Doux comme saveur. La mostra al Centro Pompidou di Parigi
Da Parigi ottobre-novembre 2024. Venerdì 25 ottobre 2024, alle ore 18.00, al Centre Pompidou, in una sala dedicata nell’Espace des Collections, è stata esposta per la prima volta l’edizione integrale di Doux comme saveur (A partire dal dolce), un progetto multimediale di Gianfranco Baruchello, costituito da circa 24 ore di interviste condotte dallo stesso artista a filosofi, scrittori e psicoanalisti, tra i quali Noëlle Châtelet, David Cooper, Félix Guattari, Alain Jouffroy, Pierre Klossowski, Gilbert Lascault, Jean-François Lyotard, ed anche a operai immigrati, pasticceri dell’industria dolciaria, responsabili della didattica nei musei. Fu Lyotard nel 1982, nelle giornate a lui dedicate a Cerisy-La-Salle nel 1982, ad invitare Baruchello a presentare per la prima volta un estratto del film con la sua intervista.
La mostra, in programma dal 26 ottobre 2024 al 10 marzo 2025, è una delle iniziative promosse e organizzate dalla Fondazione Baruchello in occasione del centenario della nascita di Gianfranco Baruchello (Livorno 1924 – Roma, 2023). L’opera visibile in una video installazione su più schermi e accanto ad essa esposto l’originale del libro in un’ unica copia – collage di appunti, fotografie, disegni, ritagli da materiali a stampa su quaderno – che Baruchello realizzò e distribuì, in fotocopia e sommariamente rilegato, a coloro che erano stati coinvolti.
Il libro, una operazione di montaggio di materiali appartenenti ai suoi archivi di lavoro e di note manoscritte, costituì il punto di partenza di una serie di riflessioni che si articolarono in una assoluta libertà, senza condizionamenti o parametri da rispettare, e che proprio per questo arrivarono a toccare questioni personali, appartenenti alle sfere del sogno, del rimosso, dell’inconscio. Dal “sapore dolce”, che ognuno intese in una maniera personale, la conversazione, condotta da Baruchello (alle riprese collaborò Alberto Grifi) si articolò in molteplici direzioni – filosofia, psicoanalisi, arte, industria dolciaria – fino a trattare il “dolce” attraverso il latte animale, la maternità, il corpo, la fiaba, la guerra, la politica, la morte. Fu lo stesso Baruchello nel 1979, a descrivere così la sua operazione sul sapore dolce: “La scelta di questo film è stata influenzata dalla constatazione personale di assenza di dolce/dolcezza dalla propria vita e dal mondo circostante. Parlarne può essere stata, almeno all’inizio, un’attività non lontana dall’esorcismo. Da quel non chiaro umore iniziale, quella fame, quell’assenza, e dopo molti anni di attenzione al cibo e al rapporto sacro di questo con lo spirito, nasce dunque l’idea che il dolce sia il segno stenografico primordiale di ogni sapore derivante dall’atto di mangiare: latte materno, succo zuccherino del frutto, miele delle api, manna mandata al popolo di Dio nel deserto, ecc. Un itinerario che si complica, devia, si arricchisce dirama attraverso 150 pagine di un oggetto simile a un libro fatto di note, prospetti, disegni foto e fotocopie, ritagli non diversi nell’aspetto da altre precedenti operazioni para-letterarie, extra media da me fatte (per esempio il libro L’altra casa edito da Galilée con prefazione di Jean-François Lyotard questo stesso anno). Il libro, ma si tratta soltanto di fogli di carta sommariamente rilegati, si presta ad essere messo nelle mani di terzi cui chiedere cosa ne pensano sia del libro che, più generalmente, dell’argomento che sembra trattare. I terzi che sono poi un insieme molto difforme di filosofi, scrittori, poeti, pittori, operai, preti, bambini e forse anche, riuscendone a trovare qualcuno disposto a parlarci, uomini politici, militari, poliziotti, direttori di carcere o manicomio”.
Il film, in più parti, è dunque il risultato di un ampio progetto concepito nel 1978-1979 da Gianfranco Baruchello sul sapore dolce, negli anni della lunga azione Agricola Cornelia S.p.A. (1973-1981), e in particolare su come possa un sapore essere il punto di partenza di ricordi, storie, riflessioni politiche e culturali sul proprio tempo (gli immaginari, gli stereotipi culturali, i sistemi di potere), per arrivare a pensare la morte animale, la putrefazione della carne, proprio come risultati della violenza, del potere culturale e dello sfruttamento della natura.
In occasione dell’inaugurazione della mostra, venerdì 26 ottobre, alle ore 18.00, nel Cinéma du musée del Centre Pompidou, sarà proiettato Verifica incerta, film sperimentale del 1964 di Gianfranco Baruchello e Alberto Grifi, risultato della distruzione e del rimontaggio di circa 150 mila metri di pellicola di 47 film degli anni Cinquanta e Sessanta (per lo più film commerciali americani), acquistati da Baruchello come rifiuti destinati al macero.
Il film, già parte della Collezione del Centre Pompidou, venne proiettato per la prima volta a Parigi nel Centro di Postproduzione Poste Parisien al numero 116 bis degli Champs-Élysées nella primavera del 1965, con la partecipazione di Marcel Duchamp, cui era dedicato, davanti a un pubblico d’eccezione – tra gli altri Max Ernst, Alain Jouffroy e Man Ray. Nel 1966, in occasione della mostra personale di Baruchello presso la Galleria Cordier & Ekstrom a New York, John Cage lo presentò al Solomon R. Guggenheim Museum. A proposito del montaggio, operazione concettuale alla base di tutto il suo lavoro, Baruchello, nel 1978, scriveva: “Il montaggio è infatti per il mio lavoro, il 60% dell’operazione filmica, e i molti brevi film che ho fatto, avevano un preciso senso parallelo al mio lavoro di pittore. Quest’ultimo consiste in un’operazione ‘multistrato’ che richiede (non diversamente dal meccanismo del pensiero) continue mutazioni, cortocircuiti, sovrapposizioni, ecc.”. Questo nuovo allestimento di Doux comme saveur (A partire dal dolce) presso il Centre Pompidou, è stato possibile grazie a Philippe-Alain Michaud, Jonathan Pouthier, in collaborazione con Enrico Camporesi, Carla Subrizi e la Fondazione Baruchello.
GIANFRANCO BARUCHELLO. Nasce a Livorno nel 1924. Dopo la laurea in Giurisprudenza (1946), dalla metà degli anni Cinquanta sperimenta l’immagine attraverso l’oggetto. L’iniziale percorso di studio e i primi di attività lavorativa nel mondo dell’economia, si chiudono dunque ben presto per la decisione di dedicarsi completamente all’arte. L’Italia del secondo dopoguerra, il boom economico, i segnali che provengono dal mondo americano sono filtrati continuamente dalle letture di Baruchello che sin da giovane si avvicina alla poesia italiana e francese, alla filosofia, alla storia della politica, alla psicoanalisi e alla letteratura. Grande lettore, nella sua lunga vita ha raccolto in una Biblioteca (ora appartenente alla Fondazione che porta il suo nome e quindi aperta al pubblico) più di 30.000 volumi i quali non è esagerato considerare come un ritratto degli interessi che hanno da sempre animato la sua ricerca. Costruisce i primi alfabeti personali di segni e usa materiali residui che pone alla base di un linguaggio che
mette in adiacenza immagini, scrittura, oggetti trovati.
Esploratore curioso e instancabile di ogni campo del sapere, Baruchello come dirà Giorgio Manganelli, nel 1965, in un testo che scrive per la prima mostra presso la Galleria Schwarz a Milano, realizza opere che «sono acquario, giocattolo, macchina, grammatica: luoghi, proposizioni illusionistiche, miraggi metallici ci coinvolgono in una rete di microscopiche, assurde, euforiche avventure» (Manganelli, 1965). Baruchello nei primi anni Sessanta partecipa alle tendenze più sperimentali del momento, utilizza l’intertestualità e la scrittura come pratiche concettuali attraverso le quali l’immagine e la parola possono sostituirsi l’una con l’altra. Amico di Mario Schifano, di Tano Festa, dei poeti e degli scrittori del Gruppo 63 tra i quali Nanni Balestrini e Elio Pagliarani, per Baruchello l’arte è concepita come una avventura nel sapere, rifiutando di aderire a mode e tendenze in cui non si riconosce. Essere un intellettuale per lui coincide con una pratica dell’arte quasi sempre indipendente e coraggiosa, che sceglie l’impegno etico e politico come posizione critica.
Opere costituite da libri o giornali assemblati sono esposte nel 1962 a Parigi (la collettiva Collages et objets) su invito di Alai n Jouffroy e Robert Lebel e a New York (la collettiva New Realists ) presso la Galleria Sidney Janis. Questo primo ingresso nell’universo europeo, per lo più francese, e americano è l’occasione per entrare a far parte del collezionismo internazionale. Scrittori e poeti, artisti, critici e filosofi francesi e americani accompagnano sin da subito il lavoro di Baruchello con testi che descrivono la complessità di un lavoro di un «artista – filosofo» o di un artista sempre ai confini della sperimentazione, senza dimenticare il passato e la storia, che produce un «vocabolario intellettuale, ricco di riferimenti – un insieme proustiano di ricordi personali» (in “Time”, 1966).
La prima mostra personale risale al 1963 presso la galleria La Tartaruga a Roma. La mostra costituisce per Baruchello l’occasione per far conoscere il suo lavoro a artisti e intellettuali del suo tempo: Palma Bucarelli acquisisce alla fine del decennio un’opera per la collezione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Giulio Carlo Argan lo invita alla Biennale di San Marino, Giorgio Manganelli si avvicina al suo lavoro. Nel 1964, in occasione della mostra presso la galleria Cordier & Ekstrom a New York, presentato da un testo di Dore Ashton, espone opere che presentano un significativo punto d’arrivo della sua ricerca: frammentazione, disseminazione sulla tela di immagini ridotte a minimi elementi, decentramento Concettuale dello spazio, ecc. Ashton nel suo testo osserva: «Qualsiasi cosa Leonardo avesse voluto esprimere quando diceva “la pittura è una cosa mentale”, la frase resta ancora un interrogativo.
Baruchello, un trentanovenne pittore romano i cui interessi per la scienza e la filosofia sono leggibili nel suo lavoro, appartiene a una categoria sempre più ampia di artisti che si muove liberamente dal territorio del discorso scritto e parlato a quello della pittura e del colore. Questi artisti attaccano i confini convenzionali della pittura con le loro preoccupazioni “mentali” (è vero che Leonardo fece molte rappresentazioni grafiche delle sue osservazioni scientifiche ma egli non le considerava opere d’arte. Questa generazione lo fa e lo sa motivare). L’artista come intellettuale non è una nuova entità ma ancora può essere interrogato
sia per la sua capacità di pensare sia per le capacità formali» (Ashton, 1964).
Nella seconda mostra personale, nel 1966, presso la stessa galleria americana, collabora con Italo Calvino che pubblica la sua prima Cosmicomica al posto di un testo critico nel catalogo che accompagna la mostra di Baruchello. Il Museo Guggenheim di New York acquisisce un’opera di Baruchello mentre altri tre disegni sono acquisiti Gianfranco Baruchello_dallo stesso museo in seguito alla grande mostra del disegno Europeo del 1966: European Drawings. Opere di Baruchello entrano nelle collezioni del Museum of of Modern Art di New York (MoMA), dell’Hirshhorn Museum di Washington.
Dal 1960 inizia a produrre brevi film tra i quali Molla (1960) e Il grado zero del paesaggio (1963) e Verifica incerta (Disperse Exclamatory Phase) (1964 – 1965) il primo esperimento di montaggio “found footage” realizzato in Italia e in Europa e forse anche a livello internazionale. Umberto Eco parlerà di questo film come di «un sistema di aspettative e di soluzioni estetiche» innovativo (Eco, 1965). Baruchello porta nella sperimentazione dell’immagine in movimento l’idea stessa della frammentazione e del montag-gio che negli stessi anni lo conduce a progetti quali La quindicesima riga (righe di testo prelevate da centinaia di libri) e il libro Avventure nell’armadio di plexiglass.
Nel 1962 conosce Marcel Duchamp, al quale dedica nel 1985 il volume Why Duchamp, pubblicato da McPherson, New York. Il montaggio viene concepito come procedura di accostamento dei materiali, rovesciamento semantico e sperimentazione di sistemi narrativi.
Jouffroy ha parlato della pittura e del modo di assemblare i materiali più diversi di Baruchello come di una «scrittura del caso» (Jouffroy, 1966), mentre Gilbert Lascault ha così descritto il suo lavoro: «Certuni al giorno d’oggi non sopportano i modi in cui la no stra società vuole organizzarli, inquadrarli, determinarli. E fuggono. Scelgono gli smarrimenti del cuore e dello spirito. Rifiutano caserme e autostrade e preferiscono i cammini che prepongono direzioni alternative, i sentieri che biforcano, i lieti errori. In modo almeno provvisorio hanno cessato di coltivare, di costruire, d’abitare. Lottano contro ogni installazione, contro tutte le istituzioni. Errano, vagabondi insolenti, stregoni avidi. Baruchello (nel suo lavoro d’arte) è loro fratello» (Lascault, 1977).
L’indipendenza e la sottile intelligenza, sempre desiderosa di scoprire nuove strade e possibili percorsi della conoscenza, dai quali non sono escluse le sue ricerche sul sogno, l’archiviare, la fiaba, la casa e l’abitare, o la politica del visibile, lo portano ad approfondire temi e pratiche del fare.
Baruchello ha anche fondato imprese artistiche nei modi di società inventate che praticavano l’happening e la critica della società dei consumi. Nel 1968 fonda una società fittizia dal nome Artiflex che si propone di «mimare i modi dell’industria» con finalità critiche. Nel 1973 avvia invece, con un approccio transdisciplinare e come lui stesso dichiarava “transestetico” il progetto Agricola Cornelia S.p.A. , un esperimento tra arte e agricoltura, che lo impe- gna per otto anni. «Baruchello è prima di ogni cosa un artista – un creatore di happening e di eventi, ma soprattutto un pittore di grandi tele ricoperte di dettagli minuziosi. Ha anche realizzato assemblaggi ed altri libri ed ha coltivato la barbabietola da zucchero.
Nel 1998 ha istituito, con Carla Subrizi, la Fondazione Baruchello. La Fondazione è stata per Baruchello un modo per far confluire in una istituzione riconosciuta oggi a livello giuridico, gli interessi, le idee che nel tempo sono diventati beni materiali (libri, opere, documenti, archivi) in modo tale che potessero, dal 1998, divenire una sorta di punto di partenza per i giovani, sia artisti che studiosi. Una idea presente da sempre nell’universo Baruchello è quella di fare di ogni archivio e quindi anche della sua lunga vita un luogo da riattivare continuamente, per far da esso emergere sempre diverse prospettive e punti di avvio di ricerche e studio. La biblioteca conserva edizioni pregiate del colonialismo italiano, della storia della marina, intere annate di alcune tra le più importanti riviste della cultura italiana del Novecento. Inoltre, conserva libri di Gianfranco Baruchello.
Carlo Franza