Il futurista Cesare Andreoni (1903-1961) alla LeoGalleries di Monza. Un interprete singolare del futurismo italiano.
LeoGalleries di Monza da anni impegnata in un lavoro sul Futurismo e su figure di questo movimento che operò in diversi luoghi d’Italia, visto che il Futurismo, il più importante movimento artistico d’avanguardia del primo Novecento, ha avuto un impatto significativo sulla cultura e sull’arte italiana, e non solo, anche puntando ad una ricostruzione del mondo e della
vita stessa; bene, la galleria monzese merita per tutto ciò e per l’interesse prodigato a incorniciare figure di esso, un plauso forte ed estimativo che l’investe di una luce singolare. Ecco che ora LeoGalleries, in collaborazione con l’Archivio Cesare Andreoni, presenta la mostra di Cesare Andreoni (1903-1961), artista polifunzionale ed eclettico, vissuto nella Milano fermentante del Futurismo, in quella “città che sale” cantata e dipinta da Boccioni. Sulle pareti della galleria si mostrano ai visitatori ben 15 opere, tra oli e chine, edite e inedite, riferibili al periodo propriamente futurista. Massimo Duranti nella presentazione della mostra monzese scrive: “nell’ambito degli sviluppi del Movimento marinettiano degli anni dalla metà dei Venti in poi, il Futurismo milanese ha svolto un ruolo importante e in questo ambito spicca la figura multiforme di Cesare Andreoni, il quale, insieme a un gruppo di futuristi, costituisce uno dei “luoghi del Futurismo”, termine che codificò Enrico Crispolti nel lontano 1982 in occasione dell’ormai “storico” convegno a Macerata. I “luoghi” esplosero soprattutto negli anni Trenta, ma gruppi futuristi locali e regionali ne nacquero già verso la metà dei Dieci”. E a proposito dei luoghi del Futurismo, penso a quello vivacissimo Torinese, a quello ampio e variegato Lombardo; quello Trentino; il Veneto; l’Emiliano; il Toscano; l’Umbro; il vivace Marchigiano; il Laziale; il Campano; il Calabrese; il Siciliano. Sosteneva il collega Crispolti che la storia dell’arte si costruisce e si studia partendo dal basso, e ciò in parte è vero. Certo, Andreoni non è stato uno dei futuristi principali, nel senso del rapportare il suo nome a Marinetti, Balla e Depero, ma va subito chiarito che i futuristi non
lavoravano in modo isolato ma in gruppo; ciò salva il nostro artista da qualsiasi impuro giudizio anche se incredibilmente nella mostra (e nel catalogo) sul Futurismo alla GNAMC dello scorso anno, sono stati dimenticati non solo i “luoghi futuristi”, così come è stato inconcepibilmente cancellato, lo stesso Andreoni, il quale negli esiti è stato figura di rilievo negli sviluppi temporali, appunto, per aver operato nel solco della “ricostruzione futurista dell’universo” e del concetto di “arte-vita”. Pittore, grafico, scenografo, con un interesse particolare per l’arredo, la moda e l’ambientazione, in perfetta sintonia con ciò che si sostiene in “Ricostruzione futurista dell’universo”, manifesto del 1915 firmato da Balla e Depero, Andreoni muove i primi passi nell’orbita futurista aderendo formalmente al Movimento nel 1924, in occasione del I Congresso Futurista che si svolge a Milano. Dopo varie esperienze in mostre collettive (partecipa inoltre alle Biennali di Venezia del 1930 e 1940, e alle Quadriennali di Roma del 1935, 1939 e 1943), nel 1931, anno in cui, insieme a un gruppo di colleghi, aderisce al Manifesto
dell’Aeropittura, tiene la sua prima personale a Genova, dove convivono opere figurative della prima metà degli anni Venti e lavori futuristi della fine dello stesso decennio. Il poeta Raffaele Carrieri, nella presentazione in catalogo, dopo aver descritto la pittura degli inizi, analizza quella più recente: “Il colore cambiò timbro e consistenza. […] Andò oltre la superficie, sotto la pelle, per studiarne l’abbagliante anatomia, la vibrazione dei fasci di nervi metallici, gli incastri, le aderenze perfette, le intersecazioni sibilline. Studiò eleganze di fusoliere e tagli di profili ermetici; fuse l’opacità di una valvola di alluminio col pallore di un volto femminile; pupille magnetiche che si bagnavano in sguardi umidi”. Un esordio quindi “meccanico”, che lo vede impegnato anche nel campo della progettazione, della grafica, dell’arredo (è del 1928 l’apertura a Milano della sua Bottega d’arte, impegnata nella realizzazione di arazzi, cuscini, vestaglie, trousse, scialli, oggetti…). Nel giro di pochi anni, nel lavoro di Andreoni si affaccia da un lato un interesse per la complessità delle atmosfere, e dall’altro l’aeropittura (che da metà degli anni Trenta si orienta verso aspetti più documentaristici e illustrativi). Nessun genere, tuttavia, predomina rispetto agli altri. Anzi, sul finire degli anni Trenta, compaiono anche suggestioni cosmiche dovute alla vicinanza di Prampolini. Nel marzo del 1941, poco prima della partenza per il fronte, una sua personale alla Famiglia Artistica Di Milano è presentata in catalogo e inaugurata da Marinetti, che chiude il suo testo dichiarando
che Andreoni “merita il titolo di grande aeropittore futurista”; non dimenticando che così diceva Marinetti: “L’aeroplano che plana si tuffa s’impenna ecc., crea un ideale osservatorio ipersensibile appeso dovunque all’infinito, dinamizzato inoltre dalla coscienza stessa del moto, che muta il valore e il ritmo dei minuti e dei secondi di visione-sensazione.” (F.T. Marinetti, Manifesto dell’Aeropittura, 1929). La mostra promossa da LeoGalleries e dall’Archivio Cesare Andreoni, dunque, ci presente una parte significativa degli anni futuristi, e opere di vivace inventiva; opere edite e inedite, una serie di oli e chine degli anni Venti-Trenta di mirabile traccia futurista, che ci mostrano così un artista attento al suo tempo e partecipe delle stagioni artistiche del futurismo milanese, partecipando a manifestazioni nazionali di grande interesse.
La modernità, quella modernità che caratterizzava il futurismo e tanto cara all’Avanguardia di Marinetti, si mostrava in tante opere di Andreoni, unitamente a colori, forme, costruzione dei piani che si ritrovano sia nelle ambientazioni urbane che nelle visioni più paesaggistiche; lo si nota anche dai titoli delle opere presenti in mostra, perché Andreoni non dipinge città ma “Metropoli” -preludendo al futuro-, quasi sempre sorvolate da aeroplani che tagliano cieli notturni, tra imponenti viadotti e grattacieli squadrati, quasi monolitici, dalle cui finestre brilla la potenza di centinaia di lampade elettriche. Il verde della natura torna nei dipinti dedicati al “Galoppo” (1937) e alle “Auto in corsa” (1935), due motivi pittorici da sempre apprezzati dai futuristi, a partire dalle ricerche sulla velocità e il dinamismo di Balla e Boccioni. Le chine su carta, invece, risentono dell’affermarsi di un nuovo clima stilistico all’interno del Movimento. Il “mondo visto dal cielo” dell’aeropittura, innesta arditi scorci prospettici tra gli intrecci d’ali dei velivoli in una dinamica frammentazione geometrica, incorporando aeroplani, paracadutisti e perfino motoscafi. Andreoni ha saputo interpretare con la stessa originalità anche trame e soggetti meno convenzionali al repertorio futurista; tra le opere esposte è il caso dei dipinti “La tempesta” (1927-1930) e “Le danzatrici” (1927-1928), in cui l’energia e lo slancio dell’Avanguardia riverberano ora nel furore di un fulmine, ora nel vortice di un ballo.
Ecco dunque un artista da rileggere tutto, da studiare e proporre, perché spesso dimenticato come è stato fatto in passato, e soprattutto perché Andreoni è stato un interprete singolare del futurismo italiano.
Carlo Franza
