La Collezione Giancarlo e Danna Olgiati di Lugano inaugura la stagione autunnale 2024 con “Yves Klein e Arman. Le Vide et Le Plein”, un progetto espositivo inedito che mette a confronto per la prima volta l’opera dei due artisti francesi esponenti di punta del celebre movimento del “Nouveau Réalisme”. Nativi entrambi di Nizza e a lungo sodali negli anni della loro gioventù, Yves Klein (Nizza, 1928-Parigi, 1962) e Arman (Nizza, 1928-New York, 2005) sono stati i protagonisti di un’intensa stagione dell’arte europea e internazionale di grande innovazione. In un affascinante “faccia a faccia” tra sessanta lavori, il percorso espositivo mette in luce, per la prima volta, due aspetti antitetici e complementari della poetica dei due maestri, ovvero Le Vide et Le Plein. La mostra, a cura di Bruno Corà, è realizzata in collaborazione con la Fondazione Yves Klein di Parigi. Il concetto dell’allestimento è firmato da Mario Botta.

Le Vide et Le Plein, il Vuoto e il Pieno: le due entità scelte da Yves Klein e da Arman per orientare la propria azione artistica trovano una definizione trasversale a epoche e culture, toccando discipline diverse, dalla fisica alla filosofia, dalla poesia all’immaginario popolare. Per Klein il Vuoto, in quanto qualità spaziale, si identifica anche con la dimensione poetica di “immaterialità” verso cui tende tutta la sua vicenda artistica, influenzata dalla filosofia Zen. Attraverso il concetto di Plein Arman esalta, invece, l’oggetto frutto della produzione industriale e ne duplica la presenza fisica fino alla saturazione.

Se Klein nel 1958 per la sua storica mostra Le Vide alla galleria di Iris Clert a Parigi lascia gli spazi espostivi completamente vuoti, come la sukiya, la “stanza del tè” giapponese, due anni più tardi Arman mette in atto, nella stessa galleria, un’operazione di segno opposto. L’artista riempie infatti lo spazio di detriti, oggetti e vecchi mobili, trasformandolo in una vetrina che il pubblico può osservare solo dall’esterno. “Se Klein con Le Vide opera un’innovativa contaminazione tra la cultura orientale e quella occidentale, aprendo un nuovo capitolo della sensibilità verso la realtà, Arman, con l’accumulazione di oggetti e rifiuti della realtà urbana sembra voler enfatizzare l’importanza dell’oggetto e il processo della quantificazione produttiva, portandolo alle estreme conseguenze della saturazione, quasi profetizzando le società consumistiche e del surplus dell’intero Occidente, e non solo” spiega il curatore Bruno Corà a proposito di Le Vide et Le Plein.

 Il percorso espositivo. Nella mostra, le poetiche opposte e complementari legate a Le Vide et Le Plein prendono forma in un dialogo frontale tra il linguaggio di Klein e Arman. L’allestimento disegnato e curato da Mario Botta accompagna il confronto tra le opere dei due artisti, presentate in due percorsi paralleli negli spazi poligonali, simili ad absidi, della Collezione Olgiati. Il versante dedicato a Klein si apre con un ciclo di monocromi che coprono in maniera esemplare la fase “storica” dell’intensa stagione del monocromatismo.

Oltre a dipinti declinati nel celebre blu, come i due Monochromes bleu sans titre (IKB 38) e (IKB 246), in questo nucleo di lavori, realizzati dall’artista tra il 1955 e il 1959, spiccano anche monocromi del giallo, del rosa e del bianco, fino a Monochrome or sans titre (M 59), realizzato in foglia d’oro su vetro.

Forme, materiali e tecniche che caratterizzano la ricerca di Klein sono restituiti, in mostra, da diversi altri gruppi di lavori, come le Antropometrie, impronte dei corpi di modelle cosparse di pigmento puro blu e resina sintetica su carta e su tela, su cui imprimono quella che l’artista definiva una “traccia di vita”. La mostra a Lugano ne presenta cinque esempi, realizzati nel 1960, tra cui si distinguono l’Anthropométrie sans titre (ANT 7) e l’opera Monique (ANT 59). L’eco delle meditazioni cosmologiche giovanili di Klein risuona invece nelle Cosmogonie – in cui le differenti elaborazioni a base di pigmento puro blu e leganti consegnano allo sguardo impronte di fenomeni naturali quali il sole, il vento o la pioggia come, ad esempio, in Cosmogonie pluie (COS 22) del 1961.

La tela è per Klein un campo aperto, su cui lasciar agire non solo corpi e agenti atmosferici, ma anche elementi primigeni come il fuoco, principio che l’artista definisce “autentico e contradditorio”, e di cui ricerca la manifestazione come “essenza dell’immediato”. In mostra sono presentati cinque lavori dalla serie delle Peintures de Feu Couleur e Peinture de Feu sans titre (F 13) creati tra il 1961 e il 1962 e realizzati in pigmento puro e resina sintetica bruciati su cartone. Inoltre sono presenti tra le opere monocrome a base di spugne la Scultpure Éponge bleue sans titre (SE 263) e il Relief Éponge Fa (RE 31).

Sapienza tecnica e aspirazione verso l’immateriale si fondono, infine, nella poetica Excavatrice de l’espace (S 19), realizzata da Klein insieme allo scultore Jean Tinguely. Se alimentata elettricamente, l’opera, costituita da un disco di legno, raggiunge velocità altissime e genera un alone che evoca l’idea dell’immaterialità del Blu.

Ai lavori incorporei e impalpabili di Klein rispondono, nel percorso espositivo, i cicli di opere che danno sostanza all’idea di pieno di Arman, idea che prende le mosse dall’interesse dell’artista verso gli oggetti. Oggetti di cui inizialmente l’artista raccoglie le impronte nei Cachet – lavori creati obliterando timbri inchiostrati su carta o pannello – e, in seguito, nelle Allures d’objets (1958) e nei Violini (1961). Nel 1959 Arman inizia a realizzare le Accumulations e le Poubelles, lavori costituiti da rifiuti inscatolati in teche di plexiglass. Egli si considera così l’interprete di un’epoca dominata dalla società dei consumi e che, come afferma l’artista, “in circa mezzo secolo ha prodotto più oggetti che nei cinquantamila anni precedenti”.

Dai rasoi elettrici, alle lampadine di automobile (Fiat pas Lux II), dalle mani di bambole (Les mains) fino agli ingranaggi di orologi: gli oggetti più diversi si “accumulano” in contenitori di plexiglass e teche di legno in questa serie di opere. Dalla collaborazione con la casa automobilistica Renault nascono poi le Accumulations realizzate con parabordi di automobili gialle, come Les ailes jaunes – Accumulation Renault n. 105 del 1967. Come Klein, anche Arman impiega nelle sue opere il fuoco, forza distruttiva e creatrice al contempo. Nel percorso della mostra, alla Peinture de Feu di Klein corrisponde e si oppone l’opera Senza titolo (1969), realizzata da Arman con un violino bruciato e conservato nella resina, in plexiglass. Non si possono passare sotto silenzio, peraltro, sia il Cello, 1962, “coupée” di un violoncello sezionato su tavola, sia Antonio e Cleopatra, 1966, “colère” di due violoncelli fatti a pezzi e composti su tavola.

La mostra trova il suo contrappasso ideale in un’affascinante mise en abyme con il Premier portrait-robot d’Yves Klein, le Monochrome in cui Arman ritrae Klein sotto forma di un’attorcigliata accumulazione di indumenti, carte e libri di Bachelard raccolte nel plexiglass e a cui Klein “risponde” con il Portrait relief d’Arman, ritratto a rilievo di Arman in pigmento puro: nudo come una statua antica, l’artista è proiettato in una dimensione altra, nella purezza del blu assoluto.

In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo bilingue (italiano-inglese) edito da Mousse Publishing, con un’introduzione di Giancarlo e Danna Olgiati, il saggio storico-critico-scientifico di Bruno Corà, il contributo del Direttore del MASI di Lugano Tobia Bezzola, un dialogo tra Bruno Corà e Mario Botta, infine gli apparati bio-bibliografici e le schede delle opere a cura di Aldo Iori.

Carlo Franza

 

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