15 ritratti di Mario Dondero insieme a una selezione di opere di giovani fotografi:Salvatore Bongiorno, Carlo Di Pasquale, Giuseppe Di Piazza, Leandro Manuel Emede, Federica Lazza, Simone Lonati, Lia Pasqualino, Elisa Ci Penagini, Rocco Toscani, ZEPstudio, sono in una mostra dal titolo “Posso farle una foto? Dondero e altri” in Corso Magenta 10 a Milano. Vorremmo dire quindici ritratti di Dondero, quindici capolavori. Ritrae l’umanità e non è cosa da poco. Rifà con immagini quanto è venuto descrivendo Zola nell’Ottocento.Ho sempre cercato di essere il più semplice e lineare possibile. E poi non si deve perdere di vista la verità. Mi infastidiscono le costruzioni artificiose”. E ancora:”Volevo fare il marinaio poi sono diventato fotografo”, parole di Mario Dondero, leggenda vivente e campione del fotoreportage. Classe 1928 di ceppo ligure, partigiano in val d’Ossola ha collaborato giovanissimo a “L’Avanti”, “l’Unità”, “Milano Sera”, “Le Ore”, dapprima scrive e poi, un po’ per evitar le “menate fastidiose della redazione”, un po’ per viaggiare, inizia a fotografare imparando “i primi rudimenti, oltre a una certa aggressività e disinvoltura necessaria per fare il mestiere”. Tra Milano, Parigi e il mondo racconta quel che vede attraverso “L’Espresso”, “L’Illustrazione Italiana”, “Le Monde”, “Le Nouvel Observateur”, per citarne alcuni. Mario Dondero ha ritratto centinaia di persone, volti noti e sconosciuti, da Man Ray a Mario Giacomelli, da Claude Simon a Samuel Beckett, a Roland Topor, Pierpaolo Pasolini, Willy Ronis, eppoi soldati, gente al bar, passanti, ragazzi in strada. Sguardi, occhi, mani, facce, orecchie, atteggiamenti, tutto fa parte dell’archivio straordinario di Dondero, professione fotoreporter. Alcune sue fotografie sono le fotografie che abbiamo in mente di un determinato periodo, di un determinato personaggio: la Parigi di Sartre, il Nouveau Roman chiamato così da Emile Henriot su Le Monde tra ’50 e ’60 e detto anche “scuola dello sguardo”, la Roma di Elsa Morante e Moravia, la Milano di Ugo Mulas, fino alla Cambogia dei Khmer rossi, la Grecia dei colonnelli, Franco e la Spagna, passando per Beckett, Bacon, Pier Paolo Pasolini, Alberto Giacometti a Venezia, Man Ray e altri ancora . Non ha mai smesso di credere nella forza esplorativa dell’immagine, nella generosità della ricerca e in Robert Capa come a un maestro. È stato chiamato in moltissimi modi. Ma quando si presenta a qualcuno dice: “mi chiamo Mario Dondero, sono un fotoreporter”. Essenziale e troppo vero.

Carlo Franza


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