Il leccese Stefano Donno esempla misticamente il tempo e lo spazio con opere miracolose di arte digitale. In mostra a Milano al Museo di Alda Merini.
Ha per titolo “Per Astrale in Astrale – mystic energetic photography” la mostra che il leccese Stefano Donno tiene in questi giorni a Milano, fino al 13 maggio 2018, alla Casa delle artiste – Museo di Alda Merini a Milano. Il piano astrale, chiamato altresì mondo astrale o mondo del desiderio (Kamaloka in Sanscrito), è un luogo metafisico, secondo alcune tradizioni esoteriche, alcune religioni e parte del pensiero New Age. Il concetto è stato frequentemente ripreso e utilizzato da sostenitori di pratiche alternative, pseudoscientifiche o “New Age”, attribuendo allo stesso, o a “energie” ad esso afferenti, dei presunti effetti o una sussistenza reale; non esiste però alcuna prova oggettiva dell’esistenza in tal senso di tale “piano” o delle relative “energie”. Secondo alcune religioni, credenze “New Age” o tradizioni mistiche, il piano astrale potrebbe essere “visitato” coscientemente con il “corpo astrale”, attraverso pratiche esoteriche iniziatiche, durante il sogno e il sonno, dopo la morte e prima della nascita o in stati alterati di coscienza. Opere digitali, queste di Stefano Donno, non fotografia a sè, di buona fattura, cariche di mistero, articolate creativamente attraverso una baudelairiana sinergia di sensi-i cinque sensi, e capaci di vivere attimi di mistica assoluta, di intersecare energie e culture sensoriali onnivore. Qui in queste opere digitali, che lasciano vivere la primissima mostra di Stefano Donno e la sottopongono agli occhi degli esperti, vivono illuminazioni. Anzi vi abitano le illuminazioni che segnano e inseguono lo spazio e il tempo, mantenendo quell’uscita di sicurezza che caratterizza per l’appunto la sua poetica, il suo fare progressivo, e inscrive in una serie di percorsi artistici intrapresi da intraprendenti e culturalmente vivaci artisti cinesi e giapponesi ( ad esempio il mio amico scultore Nagatani), queste memorie, questi sogni, questi paesaggi dell’anima. Luoghi fatti di spazi carichi di luce, di movimentazioni magiche, che non trattengono però le scientifiche certezze dell’arte cinetica. Luoghi che paiono e sono più meravigliosi dei paesaggi del cielo, in esso tutte le cose, che sono al tempo stesso vicine e lontane, vanno a disporsi in un ordine simbolico-metafisico.
E’ così che da questo mondo di Stefano Donno, vero e proprio suo alfabeto visivo, che si muove nell’oceano della vita, il sentire, l’immaginare, il volere, e si intrecciano in una sorta di unione mistica, un po’ quella che Paul Valery chiamava “spirito di metafisica”. Le cose non hanno significato, hanno esistenza, tutto si compone intimamente come gli elementi chimici nei corpi viventi. Donno racconta digitalmente idee e fantasmi, quella spaventosa realtà nascosta ai più, la materia digitale con le sue simmetrie e asimmetrie e un linguaggio carico di particolari rivestimenti ritmici; e questa sua poetica personale, matura, oggi certo promossa, si lascia leggere aperta, inquieta, problematica, in cammino tra frammenti, resti, decomposizioni, fantasmi. Donno libera la carica che si cela sotto le cose, risignificandola in quel nunc aeternum che è l’attimo, e ricomincia il suo pellegrinaggio verso una meta, verso un’altra meta che è impossibile prevedere.
Carlo Franza