Il cinese Hou Hanru direttore di un museo pubblico italiano, il Maxxi di Roma.
Non bastava il Palazzo della Civiltà dell’Eur ceduto ai francesi e i giovani extracomunitari chiamati da Pisapia a Milano per commentare ai visitatori le opere dell’800 della Galleria di Arte Moderna della Villa Reale di Via Palestro, adesso la presidentessa del Maxxi Giovanna Melandri ha avuto la brillantissima idea di chiamare a dirigere un museo italiano, il Maxxi di Roma, un cinese a nome Hou Hanru, che non ha grandi titoli di studio se non la frequenza e il diploma dell’Accademia di Belle Arti di Pechino. Non sapevo, e non so, che l’Accademia di Pechino offrisse titoli di prestigio, quando poi molti giovani cinesi, i migliori, vengono in Italia per frequentare l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, number one dell’arte internazionale. Pertanto quando la Melandri porta a giustificazione la chiamata di una personalità di chiara fama internazionale, ciò non risponde proprio a verità, né valgono le chiamate ad aver diretto Biennali minori – ma proprio minori nel panorama internazionale da non contare affatto- come la Biennale di Shangai(2000), di Tirana(2005), di Istanbul (2007) e di Lione(2009). Arte di periferia. Con un curriculum di basso profilo un critico cinese è messo a dirigere un grande museo italiano; pensate a quanti giovani curatori e direttori di livello abbiamo in Italia, usciti da Scuole di Specializzazione in Storia dell’Arte e Master in Management e Valorizzazione dei Beni Culturali con vistose pubblicazioni e curatela di mostre internazionali,lasciati a casa e forse con la valigia pronti ad espatriare. Taluni anche miei allievi, usciti dalla mia docenza. Quando l’Ansa ha battuto la notizia mi
sembrava il lancio di un nuovo prodotto. Per il cinese Hanru c’è dunque un contratto quadriennale con uno stipendio mensile di quattromila euro netti, pensate che neppure il Direttore degli Uffizi di Firenze ha un simile stipendio, visto che il Ministero dei Beni Culturali e le Sovrintendenze non offrono molto ai loro direttori di Archivi e Musei. Ma il bello è ancora da venire. Nel discorso di insediamento questo Hanru ha detto “…si tratta di capire come può un’ istituzione divenire il generatore di un “glocal” in perenne divenire”. Cosa vuol dire forse neppure egli lo sa. Parole astruse, un pensiero filosofico di mediocre levatura, un linguaggio più politico che artistico. Cita Gramsci, Agamben, un massimario marxista, come se fosse uscito da una scuola di formazione comunista. Tant’è vero che -lo afferma a chiare lettere- “non ci interessa fare una replica romana di un ipotetico centro d’arte contemporanea ideale di stampo newyorkese”. Di arte, di artisti nel suo discorso neppure l’ombra, vi dirò che di arte contemporanea, per quanto abbia fino ad oggi potuto vedere circa le sue scelte, non conosca granchè. Anzi non sa proprio come si muove e si sta muovendo l’arte internazionale. Questo signore nei simposi d’arte internazionali non l’ho mai incontrato. Dov’è stato in tutti questi anni? Ha parlato per un’ora e mezza di società, delle sponde della crisi economica e della recessione, della globalizzazione, una vera e propria lezione politica. Mi sembrava di essere alla Scuola politica comunista delle Frattocchie a Roma negli anni Sessanta. Lezione pessima, lo dico da professore. Questo signore si permette di fare della sociologia dell’arte, della quale non conosce affatto né parametri né pilastri.
Da settembre al Maxxi ci sono in programma una serie di eventi proprio per coprire le difficoltà in cui sta versando questo museo di arte contemporanea, ancora senza una collezione degna di questo nome (vedi a esempio il Museo del Novecento a Milano), tra gli eventi magniloquenti volete conoscere in anticipo qualche nome? Gli studenti del Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, Philippe Daverio, il teologo Vito Mancuso, il sindaco di Roma Marino, la presidente della Camera Laura Boldrini e la proiezione del film Divorzio all’ italiana. Di veri programmi niente. Aspettiamo che il signor Hanru esca allo scoperto e ci faccia vedere il suo “nuovo” dell’arte.
Carlo Franza