Le macchine a spalla delle processioni italiane sono diventate patrimonio dell’Umanità. Viterbo nel Lazio, Nola in Campania, Sassari in Sardegna e Palmi in Calabria vantano antiche tradizioni con sculture religiose. Beni culturali che legano passato e presente.
La lista Unesco dei Beni immateriali dell’Umanità si è arricchita di “quattro storiche tradizioni italiane”. A stabilirlo è stato l’ottavo Comitato Intergovernativo dell’Unesco riunito in Azerbaigian a Baku. Premiate le macchine da processione, alte fino a trenta metri, portate a spalla da decine di volontari durante le tradizionali processioni annuali di agosto e settembre. Intanto quella di “Santa Rosa a Viterbo”, la quale consiste in una torre illuminata da fiaccole e luci elettriche, realizzata con una infrastruttura interna in metallo e materiali moderni quali ad esempio la vetroresina, alta circa trenta metri e pesante cinque tonnellate, che la sera del 3 settembre di ogni anno viene sollevata e portata a spalla da un centinaio di robusti uomini detti “Facchini” lungo un percorso di poco più di un chilometro, lungo le vie,talvolta molto strette, e le piazze del centro cittadino, tra ali di folla in delirio con l’animo sospeso tra emozione, gioia e anche un certo timore.Le origini della Macchina viterbese risalgono agli anni successivi al 1258, quando per ricordare la traslazione del corpo di Santa Rosa dalla Chiesa di S. Maria del Poggio al Santuario a lei dedicato, avvenuta il 4 settembre per volere del Papa Alessandro IV, si volle ripetere quella processione trasportando un’immagine o una statua della Santa illuminata su un baldacchino,che assunse nei secoli dimensioni sempre più colossali. Il modello attuale, dal 2009, si chiama “Fiore del Cielo”.
Di grande interesso storico e artistico la magnifica macchina con giganteschi ceri lignei di Sassari detta “Faradda di li candareri”. Di antica importazione pisana, la “Faradda di li Candareri” è festa sentita dai sassaresi che non a caso la definiscono “Festha Manna” (grande festa). Oggetto di numerose innovazioni, la Discesa dei Candelieri è stata in grado di mantenere inalterato il proprio nucleo originale. Si presenta ancora oggi come celebrazione in onore della Vergine Assunta che liberò a più riprese Sassari dalla peste. Il 14 agosto di ogni anno, in ricordo dell’antico voto, la processione danzante si ripete ei candelieri, grandi colonne di legno, vengono portati in sfilata lungo le vie cittadine. Le fasi della giornata di festa sono scandite in maniera rigorosa: durante le prime ore della mattina i dieci gremi vestono i ceri votivi in un tripudio di colori e antico simbolismo. Nel primo pomeriggio ci si incontra nella Piazza Castello e qualche ora più tardi, impregnata di spirito religioso e goliardico, prende avvio la “Faradda”; al ritmo incalzante dei tamburi e del piffero i candelieri percorrono il Corso Vittorio Emanuele, concludendo la propria discesa all’interno della Chiesa dui Santa Maria di Betlem. Sono le spettacolari evoluzioni che i pesanti ceri votivi compiono durante il tragitto a rendere tanto sorprendente la sfilata. Tradizione vuole che più i candelieri saranno ballerini, più l’annata sarà prospera.
Per i “Gigli di Nola” la tradizione ci riporta a Papa Gregorio I il quale riferisce del sacrificio personale del vescovo Paolino che donò i suoi averi e sé stesso ai Visigoti in cambio della liberazione dei nolani resi schiavi a seguito delle invasioni di Alarico I del 410. La storia vuole che nel 431 la città abbia accolto il vescovo al suo rientro con dei fiori, dei gigli per l’esattezza, e che i fedeli lo abbiano scortato fino alla sede vescovile alla testa dei gonfaloni e delle corporazioni delle arti e dei mestieri. In memoria di quell’avvenimento Nola ha tributato nei secoli la sua devozione a San Paolino portando in processione ceri addobbati posti prima su strutture rudimentali, poi su cataletti e divenuti infine torri piramidali di legno. Tali costruzioni lignee, denominate poi “gigli”, hanno assunto nell’ 800 l’attuale altezza di 25 metri con base cubica di circa tre metri per lato, per un peso complessivo di oltre venticinque quintali. L’elemento portante è la “borda”, un’asse centrale su cui si articola l’intera struttura. Le “barre” e le “barrette” (in napoletano varre e varretielli) sono le assi di legno attraverso cui il Giglio viene sollevato e manovrato a spalla. I Gigli vengono addobbati dagli artigiani locali con decorazioni in cartapesta, stucchi o altri materiali secondo temi religiosi, storici o d’attualità. Essi rinnovano una tradizione chiaramente individuabile sin dagli ultimi decenni dell’ 800, che amplia le radici storiche individuabili nelle decorazioni architettoniche barocche leccesi e rappresentano quindi una forma di macchina votiva a spalla. Gli addetti al trasporto dei Gigli assumono il nome di “cullatori” (in napoletano cullature), nome che deriva probabilmente dal movimento oscillante, simile all’atto del cullare. L’insieme dei cullatori, di norma 120, prende il nome di “paranza”.
La Macchina de “La Varia di Palmi”, è una gigantesca “piramide umana” del peso, una volta rifinita di tutte le sue ricche parti decorative, di 20 tonnellate. Ha un’altezza di 16 metri , è composta di parti mobili e rotanti e rappresenta l’ascensione di Maria Vergine al cielo; ha l’aspetto di una nuvola argentea cosparsa di stelle multicolori. Tutta la costruzione è trascinata dallo sforzo immane delle braccia di 200 giovani, “i mbuttaturi ” (così vengono chiamati i portatori), divisi nelle cinque antiche corporazioni cittadine (marinai, contadini, artigiani, bovari, carrettieri) disposti sotto le lunghe e grosse travi della base (u Cippu) mentre, altri giovani volontari, tirando le funi, contribuiscono pure a trascinare la pesante costruzione. I portatori indossano un tradizionale costume bianco con una fascia rossa legata attorno alla vita ed un fazzoletto di colore al collo (i colori delle corporazioni). Ogni corporazione ha un proprio stendardo di appartenenza. Sul basamento, “u Cippu“, prendono posto 12 giovinetti che rappresentano gli Apostoli, un sacerdote e due chierichetti e tutt’intorno sulla “nuvola meccanica” sono sistemate 30 bambine scelte tra le più belle, che rappresentano altrettanti angioletti che agitano delle bandierine durante la corsa del trionfo (12 sistemate sulla ruota persiana). Al vertice, sotto il globo che raffigura il cosmo, vi sono da un lato il disco argenteo della Luna, dall’altro quello dorato del Soleche roteano durante il percorso che la Varia compie. Ancora più in alto, su un seggiolino di ferro che oscilla durante la corsa, prende posto “l’Animeddha” una bambina di 10 anni che impersona la Madonna benedicente, e, più in basso, ai piedi della fanciulla, si trova “u Patraternu“, un giovane popolano che rappresenta il Padreterno, e che ha il compito di assistere e rincuorare l’Animella durante la corsa della Varia. Questo Macchine sono «Beni immateriali da proteggere» e fanno parte da ora in poi dei tesori culturali tutelati a livello mondiale. L’elenco dei Patrimoni culturali intangibili, creato dall’Unesco nel 2008, ha incluso fino a oggi un centinaio di tradizioni in tutto il mondo, per «aiutare a dimostrare le diversità e aumentare la consapevolezza della loro importanza», come si legge nelle motivazioni redatte per l’inserimento nella lista d’onore, capace di salvare un passato ancora presente.
Carlo Franza