L’italiano regionale dell’ex prefetto di Perugia Antonio Reppucci.
Quante Italie ci sono in Italia! Da cosa lo si deduce? Bene, la tv nazionale ci propina tante di quelle uscite di soloni e burocrati che a sentirli parlare viene il voltastomaco. Allora, tanto per intenderci, in Italia sono pochissimi quelli che sanno parlare in lingua italiana, dico pochissimi, perchè tanti, invece, parlano l’italiano regionale, carico di inflessioni regionali, che lasciano, così, subito intendere la regione di provenienza. Totò insegna. Pensate a quanti studenti dei nostri licei si devono sorbire docenti che parlano con queste ridicole inflessioni. Certo, questo non è italiano. Specie oggi che si chiede agli immigrati, quando prendono la cittadinanza, di superare un esame di lingua italiana. Poi c’è il dialetto. Ebbene, tutti avranno ascoltato sui tg nazionali l’uscita sgraziata e smodata dell’ormai ex prefetto di Perugia Antonio Reppucci ( Palma di Campania, 1952) che si è permesso di dire: “Se una madre non si accorge che il figlio si droga ha fallito, si deve solo suicidare”. Parole dette e come dette, certamente, -e ancor più grave- e in che modo e con quali inflessioni, quasi a dire “a me l’italiano non interessa”. Con quell’intercalare tutto napoletanesco con cui gesticolava e dava lezione il dottor Reppucci, veniva da dire ma siamo in Italia o altrove? Il bello è che il prefetto ha ammesso oggi in un’intervista che “Suicìdati” è solo un intercalare napoletano. Ma questo signore può parlare così in un simposio pubblico o pensa di stare a Posillipo? Eppure questo prefetto ha frequentato cinque anni di liceo e ancora cinque anni di studio universitario per la laurea in giurisprudenza. Le parole sono quelle di Antonio Reppucci, ormai ex prefetto di Perugia, in una conferenza stampa insieme alle autorità locali della città dove fu uccisa Meredith Kercher, a discutere della lotta allo spaccio e a come fare a smontare l’immagine di Perugia come ”capitale della droga”; erano presenti il procuratore generale della Corte d’Appello perugina Giovanni Galati, il questore Carmelo Gugliotta, il colonnello dei Carabinieri Angelo Cuneo e quello della Guardia di Finanza Vincenzo Tuzi. Di questi casi tantissimi, di questi servitori della patria che conoscono bene le pietanze regionali ma non l’italiano, tantissimi. E allora? Fatta l’Italia bisogna ancora fare gli italiani. Anzi occorre rimandare gli italiani a scuola, a scuola di dizione soprattutto. Non so se alle elementari facciano ancora leggere e scrivere, se no, occorre rifondare la scuola italiana, e soprattutto assumere nello Stato personale che conosca la lingua italiana. Ma vi giuro, i tempi saranno lunghissimi.
Carlo Franza