Al Museo d’Arte Contemporanea di Lissone è in corso la mostra di Michele Zaza dal titolo “Corpo cosmico”, artista fotografo capace di raccontare l’universo attraverso il corpo e le sue performance.«La fotografia è il tempo di un momento della nostra esistenza. Il mio lavoro possiede una componente metafisica piuttosto rilevante nel senso che stimola il fruitore a leggere una dimensione psichica dello spazio e della presenza umana. La rappresentazione non è la mimesi del già visto, ma del pensato. La fotografia ha un ruolo strumentale. Essa è un mezzo efficace e fedele per visualizzare le mie domande sull’esistenza umana». È con queste parole che Michele Zaza [Molfetta, 1948] spiega il suo rapporto con la fotografia, medium privilegiato che consente all’artista di osservare, interrogare, criticare e ricreare l’esistente.

Tra i più acclamati maestri della fotografia concettuale italiana, Zaza ha sempre scandagliato la condizione umana, in particolar modo il corpo e il volto dei suoi protagonisti/ performer. Il volto è inteso sia come spazio, sia come luogo dell’identità: “tratto somatico” della creatività. Si vedano in questo senso i trittici Paesaggio primo del 2000 e Paesaggio segreto del 2005; le sequenze fotografiche scandiscono gesti minimi ma eloquenti, gestualità che l’artista associa al colore. Il corpo dipinto evidenzia infatti le funzioni vitali, delineando un universo interiore e magico al con-tempo (per Zaza “la magia è una necessità”). Ne nasce un racconto per immagini in cui le figure assumono la valenza di viaggiatori che risalgono alla propria origine per riscoprire se stessi, portando così a compimento una cicli-città e una circolarità archetipica.

Oltre a creare relazioni interpersonali, le fotografie sono “rivelazioni” che convertono il pensiero in immagine. Le idee (vale a dire le “astrazioni”) si contrappongono al reale (banale, standardizzato, effimero), ragion per cui l’artista dissimula il reale in ambienti disadorni e atmosfere rarefatte. Spazi magici-arcaici-spirituali dominati da un blu profondo, cosmico, onirico, segreto. È il caso dei polittici Germinazione celeste del 1977 e Cielo abitato del 1985, dove il blu evidenzia l’unione tra terra e cielo – quell’ideale superiore che se-condo l’artista è in grado di raggiungere la verità. Quell’intima Verità che è pura Bellezza.

La ricerca di Zaza si snoda su doppi cardini: nascita/morte, istante/eternità, finito/infinito, psichico/fisico, divino/umano, luce/ombra, razionale/trascendentale. A interessarlo è il concetto di un’esistenza manichea, fondata sugli opposti, estremi che diventano paradossi. Non per nulla l’artista dichiara che «il linguaggio dell’arte possiede la qualità di tra-scendere il reale fino a sostituirlo con un’ulteriore apparenza, più conforme alla verità soggettiva; fino a poter asserire che se l’iterazione del quotidiano uccide l’arte, questa – a sua volta – risorge per uccidere la quotidianità».

La mostra al MAC di Lissone presenta un excursus della quarantennale attività di Zaza, dagli anni Settanta fino ai giorni nostri, una piccola antologia che è anche un compendio della propria poetica. A latere dell’esposizione, allestita al secondo piano del museo, l’artista ha inoltre realizzato un progetto speciale appositamente per la cittadina briantea. Fulgido esempio di quel mondo onirico ed estraneo alla dinamica convenzionale del quotidiano, il progetto dal titolo “Corpo cosmico” occuperà le cinque grandi vetrate al pianterreno che si affacciano sul viale della stazione ferroviaria. Le immagini, che saranno visibili di giorno e di notte per i successivi cinque mesi, “dialogheranno” con i passanti, rivelando loro quell’ineffabile che da sempre caratterizza l’arte di Michele Zaza.

Carlo Franza

 

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