Vincenzo Agnetti, genio dell’arte concettuale. Una mostra a Milano celebra una delle colonne portanti dell’arte contemporanea.
Allo Studio Giangaleazzo Visconti è aperta con il titolo “Testimonianza” la retrospettiva di VINCENZO AGNETTI, GENIO DELL’ARTE CONCETTUALE curata da Bruno Corà, con ben 32 opere, che datano dalla fine degli Anni Sessanta al 1980, e raccontano uno degli artisti più importanti del Novecento.
Una parabola che si apre con un capolavoro del 1967, data della sua prima personale, e si chiude con creazioni del 1980, un anno prima dell’improvvisa e prematura scomparsa. In mezzo la storia, straordinaria, di una delle figure capitali per l’arte concettuale. Lo Studio Giangaleazzo Visconti di Milano dedica a Vincenzo Agnetti (1926-1981) una completa mostra antologica, in scena fino al 15 novembre 2015 sotto il titolo di “Testimonianza” con il patrocinio dell’Archivio Agnetti e in collaborazione con la Galleria Il Ponte di Firenze. Ad essere esposte sono 32 opere fondamentali per entrare nell’immaginario creativo di un protagonista assoluto del secondo Novecento.
L’esposizione si apre con “Permutabile”, tavola modulare realizzata proprio nel 1967, in occasione del ritorno di Agnetti dopo il lungo soggiorno in Argentina che divide in modo marcato la sua attività di artista: da un lato la produzione figurativa maturata negli ambiti accademici, presto ripudiata e quasi del tutto scomparsa dai radar della critica e del collezionismo; dall’altro l’illuminata adesione al concettuale, nel solco della recente tradizione inaugurata da Piero Manzoni e dal gruppo Azimut, con il quale ebbe modo di collaborare attivamente. Un processo documentato in mostra dal cruciale “Libro dimenticato a memoria” (1969), volume di grandi dimensioni da cui Agnetti ritaglia il testo, riducendo l’oggetto a pura cornice di carta, negandone la funzione primaria di veicolo di trasmissione del sapere.
Il percorso espositivo si snoda attraverso due serie cardine del lavoro di Agnetti, risalenti alla prima metà degli Anni Settanta. I feltri e le opere su bachelite: in entrambi i casi è la parola ad essere perno attorno cui ruota la speculazione intellettuale dell’artista, sia essa incisa oppure dipinta. Enigmatici, a tratti inafferrabili, venati di una squisita ironia i messaggi che Agnetti elegge a opera d’arte (Chi entra esce, Chi esce entra, In principio era la negazione…), costruendo un rapporto non solo concettuale ma anche visuale, persino tattile, con il testo.
C’è traccia, nell’antologica allestita allo Studio Visconti, di tutti i lavori più importanti di Agnetti: da esemplari della serie degli Assiomi (ideati a partire dal 1968) fino al trittico organico al geniale Progetto per un Amleto politico (1973), con cui l’artista – forte del proprio percorso di formazione alla scuola del Piccolo Teatro e delle esperienze nell’ambito della letteratura sperimentale – immagina un’opera d’arte totale, innescata dal paradosso di un eroe shakespeariano svincolato dal proprio leggendario dubbio, ingabbiato e al tempo stesso liberato da una struttura narrativa e comunicativa completamente nuova.
Carlo Franza