James Tissot, l’artista dandy della Belle Epoque. Al Chiostro del Bramante a Roma una vertiginosa quadreria di ritratti femminili.
Sulla biografia di James Tissot si potrebbe scrivere un film o addirittura anche un romanzo, tanto è stata clamorosa la sua vita e ricca la sua produzione. La vasta retrospettiva in corso (fino al 21 febbraio 2016) al Chiostro del Bramante dà ragione alla presentazione del curatore Cyrille Sciama, che con Emanuela Angiuli e Arthemisia Group, inaugurano un Tissot al completo tornato in Italia dopo dieci anni.
Era un dandy James Tissot (1836), un artista cosmopolita (francese, prende nome inglese), eterno vagabondo ha vissuto tra Francia e Inghilterra e, dopo la morte prematura dell’amata, in Palestina, cambiando stile ad ogni viaggio.
Dal Salon dove espone i suoi portraits, alla fuga da Parigi dopo la Comune e la guerra franco-prussiana, non è certo un pittore impegnato, e ripara a Londra dove la sua arte inizia a risentire dell’influenza della scuola della Royal Academy come in “Troppo presto” del 1873. Ma dopo la morte di Katleen Newton ritorna a Parigi. È qui che stringe amicizia con Manet e Monet, e soprattutto con Degas e i fratelli Goncourt. Quando intuisce l’importanza delle incisioni si lascia prendere dalle pagine della letteratura grazie a Edmond de Goncourt. Questo nuovo interesse sfocia nelle illustrazioni di “Donne di Parigi” che la critica respinge e il ciclo è un vero insuccesso. Nativo di Nantes, città di grandi scontri religiosi, torna alle sue origini cattoliche dopo un viaggio fatto in Palestina durato dieci anni, muore nel 1902 nel petit château che si era fatto costruire a Buillon.
Contrariamente a quanto prospettato inizialmente, sono pochi, per la verità, i quadri di Giuseppe De Nittis ( provenienti da collezione privata) con cui doveva articolarsi un confronto stringente al di là di una precisa scelta iconografica. E forse la mostra avrebbe potuto ospitare anche Boldini. Non è un caso che tutti e tre a Parigi guardino alle donne della Belle Epoque che ancora si fanno ritrarre e ammirare. Poi con la svolta delle suffragette inglesi si darà un volto nuovo alla figura femminile. Tissot le anticipa con opere come “La viaggiatrice” (dal museo di Anversa) della serie La straniera. Tutt’altro dall’olio di “Al fiume”, dove una giovane donna tiene un fiore in bocca, o de “La convalescente”. Quanto di più lontano da scene vittoriane e insieme lascive che sono ritratte ne “Il ponte dell’HMS Calcutta” o nella giapponese “Dama con ombrello. Mrs Newton” del 1878 (proveniente dalla collezione Edmond Pigalle).
Quello che emerge dai quadri in mostra è quanto le donne degli artisti – nel caso di Tissot e di De Nittis: Katleen o Léontine – abbiano inciso sulle loro scelte anche se in modo inconscio. Non semplicemente come muse ispiratrici, semmai come icone affascinanti, della modernità nascente, del positivismo e del realismo imperante.
La mostra non fa sfilare solo donne con merletti e velette o i loro lunghi pomeriggi su prati soleggiati, ma fotografa anche il volto nuovo dell’età moderna, delle cupe realtà delle nuove metropoli.
Da una parte c’è Parigi, con le sfilate, i Salon e la moda, dall’altra Londra, la city, capitale già in quel tempo della finanza. E forse allora, non aveva tutti i torti quel pettegolo pungente e ironico di Edmond de Goncourt che nel suo “Journal” descrive De Nittis e Tissot, come due prezzolati in cerca di fortuna e di mercato.
I due comprendono bene dove gira la ruota e vi si inseriscono, grazie proprio alla loro capacità artistica di mutare registri e tematiche. Sono proprio i borghesi, i nuovi ricchi e non più l’alta aristocrazia, i nuovi committenti che, con la loro brama di legittimazione, avanzano attraverso la vendita e l’acquisto di opere d’arte.
Ritratti e scene en plein air, battelli e dejeuner sur l’herbe sono un preciso documento di quel nuovo mondo delle realtà cittadine che aprono non solo le frontiere e i grandi boulevard, ma che accolgono le piccole grandi rivoluzioni,i cambiamenti economici e morali.
E la mostra, con più di 80 opere provenienti da ogni parte (la Tate, il Musée d’Orsay, e altri musei di Ginevra, Torino e San Francisco), divisa in nove sezioni, apre la scena non solo sull’eleganza dei salotti delle parigine (bello e affascinante l’allestimento con divani capitonné e i lampadari d’epoca al secondo piano), ma anche sul fumoso ambiente in cui queste donne di crinolina si muovevano insieme agli uomini.
La sezione con quattro dipinti della serie il “Figliol prodigo” (1880-82) è stata realizzata subito dopo la morte di Katleen. Mette al centro della scena l’eroe, un giovane inglese che, stanco delle comodità della casa paterna, va in giro per il mondo alla ricerca di distrazioni meno borghesi. Dopo mille disavventure (tra cui l’incontro con le danzatrici giapponesi ricordato nel Paese straniero) è costretto a fare ritorno. Il ciclo conquista la lode della critica. Tissot, conscio del successo della propria arte declina la sua vocazione inscenando ambientazioni bibliche di grande popolarità senza mai tralasciarne la resa drammatica, ed anche l’introspezione grazie all’uso della puntasecca (meritevole “Ottobre”) e di diversi tipi di inchiostro.
Impressionista e insieme influenzata da istanze preraffaellite e venete, la sua vena pittorica non dimentica neppure l’Italia. Non a caso, guarderà Carpaccio e Tiziano negli anni del suo viaggio tra Firenze e Venezia. Era il 1862 e, prima di tornare in Italia dodici anni dopo, aveva già appreso dai maestri tutto il necessario per dare vita a opere come “La partenza del figliol prodigo”.
Chiude la mostra una stanza buia in un vortice di uomini, gli stessi dell’ultima tela esposta “La più bella di Parigi”, (proveniente dalla Svizzera) che la desiderano con concupiscenza e recitano aforismi sulla bellezza femminile.
Carlo Franza