Le cromostrutture di Gianfranco Bonomi esposte ad Artestudio 26 a Milano. Un paradiso di geometrie che vivono come “primary structures”.
Finalmente il bresciano Gianfranco Bonomi (Lumezzane S. Sebastiano/Brescia 1939) è uscito allo scoperto, nel senso che mostra in pubblico i suoi lavori, i suoi dipinti, le sue geometrie, le sue cromostrutture. Ne esce un grande campione, e soprattutto pare che questo suo rigoroso procedere in arte gli appartenga da tempi remoti. Non è così, perche prima che artista Bonomi è stato gran collezionista, anzi è nato come collezionista dell’arte costruita, dell’arte cinetica, dell’arte che spesso ha potuto vedere in mostra in quella storica galleria sita in Via Mercato a Milano e che era “Artestruktura” di Anna Canali, gemella della parigina Denise Renè. Ebbene Bonomi prima collezionista, una collezione unica al mondo nei formati 100×100, che spazia dal Madì, all’arte geometrica, cinetica, costruita, destrutturata, ecc. Poi l’occhio, ormai educato alla visione, lo ha portato a muoversi autonomamente in pittura, ecco allora i suoi geometrici cento x cento, geometrie costruite in quadrato, un quadrato aperto e chiuso, capace di farsi anche gioco ottico. Oggi questa mostra ci dà una bellissima visione d’insieme del suo lavoro artistico che pulsa per la novità, per quello spingersi in quella traiettoria del “new geometries”, ed è proprio questa scelta a veicolarlo fuori da ogni provincia e provincialismo, e a farne uno dei più geniali e coraggiosi artisti italiani contemporanei di stampo internazionale. La sua quindi è più una pittura europea e nordica che italiana nel senso che si disancora volutamente da ogni idea di immagine e figurazione. Erano anni che non vedevo una novità del genere, un andare oltre quei capitoli d’arte che abbiamo avuto a Milano dal 1950 in poi, ora con Bonomi, che può anche essere definito un caposcuola del “new geometries”, si avvia una svolta seria, di estetica, di storia, di mercato, e di nuovi orientamenti e partecipazioni.
Bonomi non disconosce Mondrian e il “neoplasticismo in pittura” con il passaggio poi a un’astrazione decisamente legata a leggi matematiche, e segmenti che creano campiture architettoniche, planimetrie, inseguendo incastri, sequenze, ritmi, attrazioni, energie, percorsi e dinamismi. Senza dimenticare progettazione, percezione, teoria del colore, entro quella geometria impersonale che nasconde sintesi e particolare finezza. Artista e lucido architetto di forme, in quanto interessato dalla spazialità dell’architettura, da cromo-strutture che si dislocano nello spazio. Evidente la ricerca dei piani e dei solidi geometrici, con la relazione degli angoli, forme che concretizzano una fantasia bidimensionale, con ritagli e tracciamenti per uscire dal problema della luce e del rapporto della forma con l’ambiente circostante, per creare delle forme la cui statica includesse un carattere fantastico, una presenza intorno a cui l’esperienza fisica dello spettatore deve misurarsi passo passo, non solo otticamente ma come esercizio globale delle facoltà percettive. La tendenza costruttiva dell’arte di Gianfranco Bonomi deriva da illustri genealogie artistiche, Albers, Mondrian, per citare taluni artisti; costruisce prevalentemente con elementi quadrati, per lo più in formato 100 x 100, taluni ritagliati poi negli angoli, senza però vivere quel carattere di improvvisazione, semmai di invenzione sorta rapidamente sul momento, che è caratteristica di tutta l’opera dell’artista. Opere che vivono come “primary structures” con i caratteri di geometria, aniconicità, uso di colori freddi e caldi, asserzione spaziale evidente. Bonomi non riduce la ricerca estetica in funzione di quella strutturale, pensa le forme geometriche non più un punto di arrivo della forma (Mondrian) ma quali punto di partenza della materia che si fa colore e luce.
Ha derivato la sua tecnica e la sua estetica da Kazimir Malevic , dalla serie dei “rytme” di Robert Delaunay, da Albers, Mondrian, Vaserely, Jorge Eielson, Demarco, Garcia Rossi, e altri ancora, molti di questi suoi compagni di viaggio, avendo consapevolezza del valore espressivo del colore, ma anche della coerenza e della sistematicità stilistica. Ora Bonomi esce allo scoperto “cum laude”, consegnandoci questi quadri come “tabule perceptiones”, sono strutture dell’interiorità anche se riconducono a criteri strutturali. Bonomi ha dipinto contemporaneamente in modi diversi: in modo naturalistico –inteso in senso geometrico- perché le opere hanno la caratteristica della profondità e della organicità, e quello pittorico in cui il colore tende a disporsi secondo un ordine astratto ponendo in valore i significati percettivi delle stesure e delle relazioni tra i gradi diversi di intensità. Egli concepisce il dipingere come una continua mediazione e tensione tra lo spazio e la superficie, per esplorare la funzione spaziale del colore, cioè vivere il valore creativo dell’astrazione. Persino Kline diceva di Josef Albers: “ E’ una cosa meravigliosa essere innamorati del quadrato”, vale a dire proprio di quella struttura che per tanto tempo ha dato a Bonomi motivo di una forma. Attenzione formale al colore e al dinamismo delle forme concatenate, includenti o espandenti, per cui esse si scompongono e si compongono. Bonomi conosce bene la “legge dei contrasti simultanei” di Chevreul che analizza con la trattatistica scientifica le leggi fisico-ottiche dei colori, in quanto usa i valori cromatici e luminosi per creare ritmi in movimento. Basti riandare al “Primo disco simultaneo” di Robert Delaunay che analizza le qualità dinamiche e costruttive del colore attraverso il contrasto dei toni e il gioco dei complementari. Quadrati come finestre, una serie prismatica di ampi piani vibranti in ritmico movimento. Qui Bonomi rapporta la durata del dinamismo nel tempo come fenomeno ottico, contrasto simultaneo dei colori; senza non potrebbe tenere viva la cultura simbolica e teosofica delle corrispondenze tra forme geometriche e forme naturali, tra l’uomo e l’universo. Lo spazio luminoso si infervora di quadro in quadro come un’eternità, quasi facendo proprio un codice, cromostrutture che si leggono in una loro cifra stilistica, è la geometria euclidea che è stata applicata alla pittura astratto-concreta. La dichiarata impronta costruttiva fa vivere questi dipinti come pittura pensata, lasciando leggere l’artista come artista/genetista con i valori della pittura che sono intuizione, stilema, forma e colore, tanto che le opere di Gianfranco Bonomi ci appaiono eterne nella loro continuità e infinite nella varietà.
Carlo Franza