Kazimir Malevic e il miracolo suprematista nella dittatura di Stalin. Alla Gamec di Bergamo una grande mostra per il centenario del movimento.
Per il centenario del Suprematismo in Russia, movimento costola del Futurismo italiano, ecco la mostra “Kazimir Malevič” al Gamec di Bergamo, nata in collaborazione con il Museo Russo di Stato di San Pietroburgo. A cent’anni dall’esposizione “The last exhibition of Futurist painting 0.10”, tenutasi nell’allora Pietrogrado dal dicembre 1915 al gennaio 1916, ecco che anche in Italia si è voluto celebrare il “mito del suprematismo” in una mostra che, non casualmente, è accostata da un progetto educativo dall’eloquente titolo “Tutti pazzi per Malevič”. Infatti in occasione della mostra, si è inteso costruire una rete di collaborazioni, riunite in un network d’eccellenza. Il progetto, supportato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Bergamo, è parso, anzi è stato, un investimento culturale di qualità sulla Città, che ha visto la GAMeC capofila di una nuova modalità progettuale, mirata alla valorizzazione delle risorse che questa importante mostra ha messo in campo, producendo un effetto di riverbero reciproco tra gli enti coinvolti. Ogni partner è stato invitato a pensare a una o più attività collegate ai temi – storici, culturali, filosofici, formali – trattati dalla mostra: il contesto storico di riferimento (la Russia della prima metà del Novecento), l’arte astratta, le avanguardie, la cultura e la letteratura russa, le forme geometriche, la cucina, al fine di proporre un’offerta culturale esaustiva ed eterogenea.
La mostra a cura di Evgenija Petrova vicedirettore del Museo Russo di Stato di San Pietroburgo e Giacinto di Pietrantonio, guida il visitatore lungo le tappe fondamentali della storia artistica di Malevič, includendo opere che (datazioni, retrodatazioni e ogni altro riferimento) dal 1906 arrivano agli anni Trenta staliniani. Kazimir Malevič, infatti, è un artista dalle molteplici sfaccettature; dopo un esordio simbolista e neoimpressionista, che riconsiderava le conquiste dell’arte affermatesi a Parigi verso la fine del XIX secolo, ha abbracciato lo sviluppo del Cubofuturismo, movimento che sintetizzava le conquiste del Cubismo francese di Braque e Picasso e del Futurismo italiano di Balla e Boccioni. Il suo è stato un percorso iniziale comune ad altri artisti russi suoi coetanei, quali Kandinskij, con cui partecipò alle prime collettive d’avanguardia.
Il percorso espositivo si apre con il periodo simbolista di Malevič, dai dipinti raffiguranti paesaggi con filari di alberi del 1906, al famoso autoritratto con fiocco rosso del 1907, che sembra non ignorare la lezione dei Fauves. Questi lavori saranno messi in relazione con quelli, cronologicamente precedenti, del maestro simbolista Il’ja Repin, e con quelli contemporanei di Natalija Gončarova, Il candeggio del lino (1908), e di Michail Jakovlev, Boschetto sacro (Figure femminili nel giardino. In preghiera) (1904-1907). Si continua con un’approfondita sezione relativa agli anni Dieci, all’inizio dei quali – precisamente nel 1913 – Malevič redige, insieme ad altri artisti, il Manifesto del Primo Congresso Futurista. A questo periodo risale lo spettacolo “Vittoria sul Sole”, prima opera totale di musica, arte, poesia e teatro, creata da Malevič con Michail Matjušin e Aleksej Kručënych, nella quale sono visibili i tratti distintivi del Suprematismo, con un primo accenno al Quadrato nero. Tale opera, rappresentata ed esposta una sola volta nel 1913, è stata filologicamente ricomposta sui disegni originali di Malevič – presenti in mostra – sulla musica e sui testi ritrovati negli archivi, dove erano stati sepolti durante gli anni del regime, e sulle poche immagini fotografiche esistenti. La mostra accoglie il video dello spettacolo e la ricostruzione di 19 costumi di scena.
A questo periodo appartengono i celebri dipinti, tutti esposti, quali Vacca e violino (1913), Ritratto perfezionato di Ivan Kljun (1913), Composizione con la Gioconda (1914) e alcuni disegni degli stessi anni messi a confronto con le tele Piccoli russi (Ucraini) (1912) di David Burljuk, Ciclista (1913) di Natalija Gončarova e altre ancora. Seguono gli anni in cui, in occasione dell’Ultima Mostra Futurista 0.10 del 1915, Malevič lancia il Suprematismo, con l’intenzione di affermare il predominio della pura sensibilità dell’arte che troverà applicazione non solo in pittura, ma anche in architettura e design, soprattutto a livello di sperimentazione e modellistica. In questa sezione si potranno ammirare capolavori come Quadrato Rosso (1915) e i coevi Suprematismo (1915-1916) o ancora la sua opera più riconosciuta, il “Quadrato nero”, insieme a “Cerchio nero” e “Croce nera” (1923). Gli anni Venti rappresentano un periodo di massima espansione teorica per Malevič, che abbandona “il pennello arruffato per la penna aguzza” e si dedica a scritti, appunti, disegni. È in questa decade che è concentrato il nucleo suprematista che rivela una ricerca molto più avanzata rispetto a quella che trapela dalle opere di altri colleghi,quali Ritratto di un filosofo (1915) di Ljubov’ Popova o Composizione non-oggettiva (Suprematismo) di Ol’ga Rozanova. Sono esposte, inoltre, alcune icone russe del XV e XVI secolo, che documentano quanto Malevič abbia tratto ispirazione da esse.
Accanto alle opere pittoriche di Malevič in mostra sono presentati anche esempi della sua produzione legata al design e all’architettura, a testimonianza dell’idea d’arte totale d’avanguardia volta a eliminare i confini tra arte e vita. Tra questi, i plastici Architekton degli anni Venti che trasmettono l’utopia della città futura immaginata all’epoca, le pitture smaltate su porcellana e le tele-progetto per tessuti dal decoro suprematista, che Malevič realizza a partire dal 1919, gli acquerelli Tribuna per oratori e Modello per un dipinto murale (1920) e i bozzetti per gli abiti suprematisti (1923). Le opere suprematiste, pur costituendo il nucleo centrale della mostra, non esauriscono l’indagine sull’evoluzione artistica di Malevič, che giunge fino al 1934, un anno prima della sua morte.
Il percorso espositivo prosegue investigando altri due periodi, in cui è possibile ravvisare la progressiva stalinizzazione della Russia che sottopose a censura artisti e intellettuali e che li spinse ad abbracciare i dettami del realismo socialista. A questa costrizione Malevič, obbligato a rimanere in Russia, risponde dapprima con un’arte figurativa, accostando geometriche zone di colore volte a formare uomini e donne manichino, memori dei costumi teatrali da lui disegnati nel 1913, e in cui le teste, ovali senza volto, segno dell’annullamento dell’individuo in atto in quegli anni, ricordano in parte i manichini di de Chirico, artista che Malevič teneva in considerazione secondo i ricordi del suo allievo Konstantin Rodzdestvenskij. Quella di Malevič è una ricerca che non si concede completamente ai dettami del regime; al contrario, il Suprematismo è ancora in molti casi evidente. Un esempio è rappresentato dall’opera Casa rossa (1932), in cui la parete che regge il tetto altro non è se non un rimando al “Quadrato rosso”.
La mostra accoglie, infine, un importante nucleo di opere realizzate nei suoi ultimi anni di vita, composto da una quindicina di oli in cui è possibile vedere come, pur sotto assedio della dittatura, la sua pittura continui a mostrare una potenza espressiva innovativa, particolare che appare evidente dalla relazione degli stessi soggetti trattati contemporaneamente da altri artisti, quali Corsa (1932-1933) di Aleksandr Dejneka, Esercitazioni del Komsomol (1932-1933) di Aleksandr Samochvalov o Fantasia (1925) di Kuzma Petrov-Vodkin.
Una forza creatrice e inventiva che appare nell’ultima sezione, con il ritorno a un “realismo” i cui temi, in particolare la classe operaia e contadina, ma soprattutto ritratto e autoritratto, sono stati al centro della riflessione di Malevič sin dai primi lavori; ma tale scelta esulava completamente da qualsiasi interesse di tipo politico e propagandistico. Interesse quest’ultimo che influenzò molto la sua vita, tanto da essere accusato di formalismo e costretto a subire la confisca di opere, l’allontanamento dell’ambiente artistico e persino l’arresto. Non dimentichiamo che Malevič fu riscoperto solamente nel corso degli anni Sessanta, assieme agli altri artisti “dimenticati” delle avanguardie, per interesse di artisti non conformisti e di collezionisti e studiosi stranieri. Negli ultimi anni della sua vita, Malevič realizzava figure immerse in un clima irreale e in un mondo assoluto, fatto di soli orizzonti, colori netti e forme geometriche, come in “Casa rossa”, opere successivamente rilette quali silenti gridi di accusa alla politica sovietica che non permetteva alcuna libertà all’arte.
Carlo Franza