Andrea Schiavone (1510-1563) artefice del Rinascimento veneziano . Una mostra a Venezia ne celebra la figura e il linguaggio pittorico.
E’ la prima mostra dedicata ad Andrea Schiavone (Zara, 1510 c. – Venezia, 1563), artista nuovo e spregiudicato del suo tempo, che divise opinione pubblica e critici per aver messo in piedi uno stile nuovo. Una pittura eruttiva e un artista controcorrente, ecco perché era ammirato da Tintoretto, da Carracci e da El Greco. Ora sull’artista veneziano, al Museo Correr di Venezia, fino al 10 aprile, si fanno vivere 140 opere provenienti da tutto il mondo, in parte del maestro e in parte di tanti artisti dell’epoca. Dello Schiavone 80 lavori mai riuniti prima, che danno uno scenario certo della pittura rinascimentale veneziana, in parallelo con altre personalità cinquecentesche attive in laguna e in Europa. Per la verità la figura e il linguaggio pittorico di Andrea Meldola detto Schiavone (1510 c. – 1563) si avvertirono subito già pochi anni dopo l’arrivo a Venezia (avvenuto forse intorno al 1535). Questa prima grande monografica dedicata all’artista dalmata è la prima reale occasione per il pubblico di scoprire il ruolo centrale che Schiavone ebbe nella pittura del secolo d’oro della Serenissima, ma è un punto di partenza per uno studio più approfondito sull’artista nel quadro degli studi sul Cinquecento italiano. E tra le 140 opere della mostra tra dipinti, disegni e stampe, più un ricco nucleo di libri e documenti storici sono oltre 80 i lavori di Andrea Meldola – dipinti, disegni, incisioni – la maggior parte dei quali mai esposti in una mostra e prestati, tra l’altro, dalle Royal Collection di Elisabetta II, dal Kunsthistoriches Museum e dall’Albertina di Vienna, dal Metropolitan Museum of Art di New York, dall’Accademia Croata di Scienze e Arti di Zagabria, dalla Gamdälde Galerie di Dresda, dal Musée du Louvre di Parigi e dal British Museum di Londra. E accanto a taluni inediti, vengono subito a galla i capisaldi dell’opera pittorica di Schiavone – va rilevato della mostra il bell’allestimento- unitamente a importanti dipinti di confronto dei maggiori artisti del tempo, punto di riferimento per il dalmata e con cui egli ebbe contatti . Ammirevoli i capolavori del suo maestro ideale Parmigianino – la grande “Madonna di San Zaccaria” degli Uffizi – del suo compagno di scorribande giovanili, Jacopo Tintoretto, di Tiziano – con la “Madonna Aldobrandini” dalla National Gallery di Londra – e ancora Vasari, Bassano, Veronese, Polidoro da Lanciano, Lambert Sustris, tutte presenze importanti per lo Schiavone e per il quadro della pittura veneziana proprio nell’età del Manierismo. Gli storici dell’arte, me compreso che ho fatto studi anche sul primo e tardo Cinquecento veneziano, non hanno avuto fino ad oggi ben chiare notizie sulla biografia dell’artista, ad iniziare dalla formazione tra la nativa Zara (in Croazia), l’Italia Centrale (Bologna? Firenze? Roma?) e la meta finale, Venezia. Né è da dimenticare che il Vasari condizionò non poco le biografie successive, definendo Schiavone esponente di “una certa pratica che s’usa a Vinezia, di macchie o vero bozze, senza esser finita punto”. Strano poi che per quanto il Vasari lo criticasse, ancor prima di recarsi a Venezia nel ’41, gli commissionò la rappresentazione di una “Battaglia di Tunisi” per Ottaviano de’ Medici. Ciò avvenne perché è parsa certa la mediazione dell’Aretino, amico comune, se non con l’intento di dimostrare la superiorità sua o della scuola fiorentina. Certo è – come sottolinea Enrico Maria Dal Pozzolo in catalogo – che il “San Girolamo” che Vasari dipinse per Ottaviano l’anno successivo, ora a Palazzo Pitti ed esposto a Venezia in questa occasione, pare “l’esatto contrario della proposta linguistica che Schiavone andava diffondendo” in quegli anni. Contro i commenti vasariani e in difesa di Schiavone – che addirittura viene posto da Giulio Cesare Gigli in apertura del corteo “De’ Veneziani” che seguono il carro della “Pittura Trionfante” (1615) – furono in molti a scagliarsi contro, grandi pittori come Annibale Carracci ed El Greco, e critici in testa ai quali Marco Boschini – rispondendo a Vasari –scrisse: “O machie senza machia, anzi spendori/che luse più de qual se sia lumiera”! Era la “furia Dalmatina”, il genio del pennello, vera forza della natura a lasciarsi leggere così. E se già Ridolfi, nelle “Meraviglie dell’Arte” (1648), ricordava che Jacopo Tintoretto era solito ripetere “ch’era degno di riprensione quel Pittore. Che non tenesse in casa sua un quadro d’Andrea”, qualche anno più tardi Boschini precisa – su fonte diretta del figlio Domenico – che Tintoretto addirittura “teneva avanti di sé, come esemplare, un quadro di questo Autore per impressionarsi di quel gran Carattere di Colorito, così forzuto e punto”. E da qui, da tutto ciò si capirà la forza d’animo, la robusta creatività passionale. Certamente l’influenza di Schiavone su Jacopo Robusti e gli indizi di una loro frequentazione non episodica sono ormai accertati (non per nulla in passato furono parecchie le confusioni attributive tra i due), così com’è condiviso dalla critica che il pittore dalmata sia stato il principale diffusore del Parmigianino in area Veneta. Dal grande artista emiliano Schiavone trae modelli figurativi che rende propri e soprattutto una forma di disegno pittorico che “è un aspetto fondamentale del suo contributo alla storia della pittura veneziana”.
I disegni pittorici dello Schiavone vivono poi per qualità e freschezza, ma anche nelle incisioni Andrea raggiunge vertici assoluti, dimostrando una vera passione che manterrà per tutta la vita , sviluppando la sua ricerca di pari passo a quella pittorica, e utilizzando in modo straordinario la puntasecca insieme al bulino e realizzando circa 150 soggetti declinati in più varianti di stato.
La grafica di Schiavone – per la quale, oltre a Parmigianino, egli trae spunti da molti artisti veneti e del Centro Italia – costituisce senza dubbio un momento capitale nella storia del disegno veneziano e del Rinascimento lagunare e il corpus di disegni, incisioni e stampe presentato in questa eccezionale mostra al Museo Correr ne svela ampiamente la magia di un tocco vertiginoso, imparagonabile.
Tra tutte segnaliamo il “Ratto di Elena”: incisione prestata dal British Museum insieme ad altri 13 importanti lavori dell’artista, unica opera di Schiavone firmata e datata, 1547 (la sola data certa nella biografia del pittore insieme a quella della morte), e in certo senso “manifesto” della consapevolezza dell’artista di attingere si e “copiare” dai grandi ma di saper anche, e soprattutto, rileggere e trasformare. E sulla fama di Schiavone in Laguna era stato lo stesso Vasari a scrivere, nel capitolo dedicato all’artista nella seconda edizione delle Vite, che “La maggior parte delle sue opere sono stati quadri, che sono per le case de’ gentiluomini”, sottolineando così l’apprezzamento per quanto fatto dallo Schiavone – che si adoperava anche nei formati minori da fregio e da cassone – tra le mura dei palazzi veneziani. Nel Sei e Settecento la fortuna collezionistica del Meldola si è spinta anche oltre i confini veneziani. Leopoldo de’ Medici nel 1654 acquista un quadro “grande” di Schiavone identificato con il “Caino e Abele” della Galleria palatina – esposto al Museo Correr – ammirato per il “terribile colorito che fa stupire” e Leopoldo Guglielmo d’Asburgo vanta nelle sue collezioni numerose sue opere, oggi in gran parte confluite al Kunsthistorishes Museum di Vienna che a questo eccezionale evento ha prestato ben sei dipinti dell’artista.
Tra i principali collezionisti di Schiavone in quegli anni ci sono anche due mercanti: Bartolomeo Dalla Nave, amico di artisti e a capo di una fiorente bottega di colori – che pare avesse comprato opere di Schiavone anche dallo scultore Alessandro Vittoria, collega, amico e collezionista del dalmata – e Jan Rynes, ricco olandese stabilitosi a Venezia nel 1652. E non è tutto qui perché Schiavone, insieme a Tintoretto, risulta l’artista del Cinquecento veneto più rappresentato anche nella collezione personale di Francesco Algarotti che, come consulente di Augusto III di Sassonia, chiamato a completare il museo di Dresda, procura un imponente “Giove fanciullo in mezzo alle Grazie” riconosciuto solo recentemente nell’ “Infanzia di Giove” nelle collezioni dell’Earl of Wemyss. Esposto per la prima volta in Scozia nel 2004, il dipinto è singolare presenza in mostra, ove non mancano neppure le due telette della National Gallery di Londra, “Arcade” e “Giove che seduce Callisto”, provenienti dalla raccolta privata di Algarotti, esposte insieme alla parte centrale del cassone al quale probabilmente appartenevano – raffigurante “Diana e Callisto” – prestata dal Musée de Picardie di Amiens.
Ed è stato così che si è creato un vero e proprio mito attorno al nome e all’operato dello Schiavone, protagonista del Rinascimento veneziano, per aver portato a Venezia sì una pittura nuova e di rottura, fatta di colore, luce e movimento; e per certi versi d’avanguardia, sorprendendo non solo Tiziano, forsanche anticipando Rembrandt, e di là a venire certi postulati informali che ritroveremo secoli dopo persino nel nostro Novecento, precisamente nella scuola del naturalismo padano.
Carlo Franza