Bruno Mangiaterra tra poesia e filosofia. Alla Mole Vanvitelliana di Ancona una antologica lo svela prezioso artista concettuale.
Nell’avvolgente tempio dell’architettura vanvitelliana, qual’ è appunto la Mole Vanvitelliana, che si affaccia sul porto di Ancona, ha trovato accoglienza la bellissima mostra antologica di Bruno Mangiaterra un artista marchigiano -per la verità attivo a Loreto- che da anni vive non solo la passione dell’arte ma ha costruito nel suo percorso stazioni o meglio installazioni di militante forza poetica, immagini attraversate da fibrillanti idee (lavora a Tre e scrive: “l’idea è la dimora della nostra sorte”) capaci di rapportare il passato con il presente, accendere le parole di nuova luce, cogliere tracce di cultura letteraria e filosofica che ancora oggi vivono una resistenza senza limiti. La mostra si inserisce nel quadro espositivo della Regione Marche per celebrare il Giubileo 2016 campionando ben cinque uscite, in più luoghi della regione, tra cui l’ esposizione del Mangiaterra, che è poi l’unica a far vivere la contemporaneità. E difatti il titolo della mostra ( Abitare la Storia nella Misericordia. L’immagine discende dal nostro Esilio) non solo si affida all’evento sacro ma lascia leggere tutto un crescendo concettuale che dipana il pensiero, le occasioni, la storia, la quotidianità, il vivere soffocato dell’uomo, viandante su una terra in attesa di portarsi altrove. Già, l’esistenza, quel tratto di vita che ci sostiene giornalmente e che ha portato l’artista a significare il suo “purchè si parli di esistenza”, frase che si apre, in un’opera, in basso a un cerchio svelato da uova, che stanno per nascita, èlan vital, lo stesso slancio di vita di cui parlava il filosofo francese Bergson. Ogni installazione, e in mostra sono tante, ben cinquanta, vale a dire il lavoro intenso di una vita, vive attraverso sollecitazioni e riflessioni, e le icone, gli stessi materiali che raccontano, non sono mai immediati, perché la storia di Mangiaterra artista che parte dagli anni Settanta del Novecento(vedi l’Autoritratto), è tutta concettuale. Noi storici d’arte abbiamo diviso le esperienze concettuali in due gruppi principali: quelle legate al “pensiero” e quelle legate all’ “evento”. Mangiaterra appartiene proprio al primo gruppo in cui rientrano artisti la cui attività, seppur legata alla produzione di opere concrete, le pone come messaggio principalmente intellettuale. Basti pensare al grande amore che Mangiaterra ha avuto e ha tutt’oggi per la poesia, e il forte sodalizio che ha imbastito con poeti italiani come Scarabicchi, Piersanti, De Signoribus, D’Elia, Acquabona, Volponi, ecc. Nell’arte contemporanea, c’ è chi cancella le parole come Isgrò e c’è chi come Bruno Mangiaterra le scrive, le riversa nell’opera per lanciare del messaggi; folgorante il trans-humus, una scritta al neon tagliata in verticale da un bastone di legno, opera sollecitata da un dialogo fra Don Tonino Bello -grande mio fratello di vita e di vangelo- e Nilde Iotti. La stessa opera in più piccola dimensione la troviamo proprio presso il MIMAC da me fondato e diretto presso la Fondazione Don Tonino Bello in Puglia. E, dunque, il visitatore si trova dinanzi a grandi installazioni accolte sotto le immense campate della Mole Vanvitelliana, ne legge per ognuna una sua storia interiore, un’immagine e una parola, un significato e una speranza, un inizio e una fine, un arrivo e una partenza, opere dettate non solo dalle stagioni della vita e del mondo, ma estrapolate da un contesto immediato per diventare reliquie visive, pillole di cultura, tracce, ricordi, indizi,ecc. Le immagini appaiono nitide su grandi teleri in forme che sono tavoli, sedie, nidi, barche, fagotti, gabbie, pane-rosetta, colombi, uova, carte geografiche, pietre levigate, bolle di vetro con aria, volatili e mille altre rappresentazioni; ma sono immagini che rimandano a luoghi, a storie e lacerti passati ( vedi l’arte antica che affiora dietro tende di pizzo nero) e presenti, e questo suo colto vocabolario visivo contempla la generosa donazione della filosofia che attraversa tutta la sua e nostra esistenza, e l’artista ce la sottopone a spicchi, con parole, linguaggi, icone. E per finire non meno intensa una serie di fotografie di G. Cutini che raccontano l’artista lauretano riflettere sulla storia e sullo scorrere del tempo. Il mestiere di vivere come diceva Cesare Pavese è fatto di peso, di gravezza, dolore e malinconia, ma aggiunge Mangiaterra anche di corpo, anima e cuore.
Carlo Franza