I martiri cristiani albanesi e l’inferno di Enver Hoxha. Il ricordo a 70 anni (gennaio 1947-2017) dalla persecuzione.
Dal 1946 al 1990 – a ridosso della caduta del Muro di Berlino- l’Albania fu Stato nazional-comunista, isolazionista, stalinista e anti-revisionista specie nella fase dell’ascesa di Nikita Kruscev al Cremlino, in quanto quest’ultimo denunciò i crimini di Stalin. La dittatura comunista in Albania ha visto un tiranno che ha avuto nome di Enver Hoxha (1908-1985), dittatura spietata, che ha gettato un paese nello squallore e nella miseria più profonda, tant’è che tutti ricorderanno che nel porto di Bari, dopo la caduta del sistema albanese, attraccò una nave carica di migliaia di disperati in cerca di fortuna.
Il discorso che a noi oggi interesse è descrivere il quadro della scristianizzazione del Paese delle Aquile, tanto che nel 1967, ben cinquant’anni anni fa, dopo due decenni di massiccia ateizzazione della nazione, Hoxha dichiarò trionfalmente che l’Albania era il primo Paese al mondo dove l’ateismo di Stato era iscritto nella Costituzione; infatti l’articolo 37 recitava: «Lo Stato non riconosce alcuna religione e supporta la propaganda atea per inculcare alle persone la visione scientifico-materialistica del mondo»; e ancor peggio l’articolo 55 del Codice penale del 1977 che stabilirà la reclusione da tre a dieci anni per propaganda religiosa e produzione, distribuzione o immagazzinamento di scritti religiosi.
Bene, se nel ’46, subito dopo la guerra, il comunismo era salito al potere in Albania, nel gennaio del 1947 -ben 70anni fa- si presentarono nell’Episcopio albanese di Durazzo alcuni emissari del Governo comunista di Hoxha per convocare a Tirana il Vescovo Monsignor Kolë Prennushi (1885-1949). Certo il vescovo partì ma non fece mai più ritorno nella sua diocesi. Alla morte dell’Arcivescovo di Scutari, Monsignor Gaspër Thaçi (1946), Monsignor Kolë Prennushi era divenuto il Primate della Chiesa albanese.
Sparì inghiottito dalle torture della Sigurimi, ovvero della polizia segreta. Quando lasciò la sua residenza vescovile, la Segurimi saccheggiò il suo studio, distruggendo il suo crocifisso di legno. Enver Hoxha in persona lo ricevette a Tirana e direttamente gli chiese la disponibilità a mettere in piedi una chiesa nazionale separata da Roma -com’era avvenuto in Cina- ; si cercò di persuaderlo sapendo quanto amore il Vescovo nutriva per il suo Paese. Ma Monsignor Kolë Prennushi non tradì mai la fedeltà alla Chiesa di Roma e al Sommo Pontefice. Il Vescovo Primate venne incarcerato in una cella di 30 per 50 metri quadrati circa, insieme ad altri prigionieri, calunniato pubblicamente e condannato ai lavori forzati per vent’anni. Non terminò la pena inflittagli perché morì il 19 marzo del 1949 (anniversario dell’investitura episcopale) a causa delle terribili torture che subì. Sappiamo con certezza – ce lo testimonia Arshi Pipa scrittore e saggista incarcerato con il Vescovo- che il prelato dovette subire torture inaudite, come l’essere picchiato con spranghe di legno, o essere appeso, legato mani e piedi, a un gancio che dava sulla porta dei bagni dell’ufficiale della Segurimi, per venire tolto solo dopo lo svenimento. Il fratello Anton gli fabbricò una bara e, con l’aiuto di amici, lo fecero seppellire di nascosto nella cattedrale di Durazzo; ma nel 1967 la salma venne profanata e le ossa furono disperse.
La crudezza spietata di Hoxha, era caduta sul francescano Monsignor Prennushi, oggi finalmente riconosciuto capo della filiera dei 38 martiri albanesi beatificati recentemente a Scutari, ovvero il 5 novembre 2016. Il vescovo francescano era nato sotto l’Impero ottomano, ed oggi è ancor più noto per essere considerato il Thomas Becket d’Albania, certo figlio della sua terra, illustre letterato e in primis testimone della fede cattolica che non tradì mai. Esempio certo per tanti vescovi italiani che si beano nelle loro curie, mai abbastanza fieri di essere stati prescelti per testimoniare con segni Cristo e la sua Chiesa. Il martirio dei cristiani d’Albania era solo all’inizio dopo la sparizione del Vescovo Prennushi, perché poi l’ateizzazione del paese portò alla distruzione e alla chiusura di tutte le chiese d’Albania, e quindi uccisi o incarcerati vescovi, sacerdoti, religiosi e suore, perché il delitto più grave, da colpire con forza, era l’aver manifestato il proprio Credo. Chi ad esempio veniva trovato con una Bibbia o un rosario veniva subito incarcerato o murato vivo nella propria abitazione, come realmente accadde alla madre e alla sorella della santa Madre Teresa di Calcutta.
Le chiese furono completamente trasformate e adibite ad altro, anche a stalle o cinema. I genitori non potettero dare nomi religiosi ai propri figli, e perfino nel sud del paese con popolazione di etnia greca, i villaggi con nomi di santi furono laicizzati. La polizia segreta, la Sigurimi, imperversò su tutto e su tutti violando persone, abitazioni e comunicazioni, e consegnando ai tribunali del partito comunista ogni sospettato. Non passarono indenni molti membri del clero cattolico, fucilati, prima di morire gridavano: “Via Cristo Re! Viva il Papa! Viva la Chiesa! Viva l’Albania!”. Fra i primi interventi che il Governo Comunista di Hoxha fece contro la Chiesa Cattolica fu quello di rifiutare -al ritorno da Roma- l’ingresso al nunzio apostolico Monsignor Leone Giovanni Battista Nigris. Don Ndre Zadej fu il primo sacerdote di Scutari ad essere fucilato (25 marzo 1945) perché il 16 agosto del 1944 durante la processione per la festa di san Rocco che si svolse a Shiroka (villaggio sulle sponde del lago di Scutari), disse ai suoi fedeli: “ una nuvola nera sta per piombare sulle vostre teste. La sua intenzione è quella di scaricarsi su di voi. Allora non potrete fare niente contro di essa, solo sopportarla con tutti i suoi mali, e tra questi la negazione di Dio”.
Questi i primi martiri del regime comunista albanese ad essere beatificati dalla Chiesa Vincenzo Prennushi e 37 compagni uccisi “in odium fidei”, nello specifico 21 sacerdoti diocesani, 7 sacerdoti francescani, 3 gesuiti (due sacerdoti e un fratello coadiutore), un seminarista e quattro fedeli, compresa un’aspirante religiosa.
E nel settembre 1985 -Enver Hoxha era morto l’11 aprile di quell’anno- un militare della Guardia poi spedito ai lavori forzati, per una rissa, dopo aver montato la guardia alla tomba di Hoxha, confessò di aver sentito urla, grida e gemiti sollevarsi da quella terra.
Nel 1989 a santa Madre Teresa di Calcutta fu concesso il visto di entrata, dopo decenni, in Albania, e la vedova del dittatore comunista, Nexhmije Hoxha, andò ad accoglierla all’aeroporto. Quasi pareva un omaggio alla suora, tanto la televisione albanese riprese la scena. Per i cattolici albanesi fu un colpo durissimo. La fondatrice delle Missionarie della Carità andò persino sulla tomba del tiranno, l’avvenimento ripreso dai media albanesi. Ma non era una reverenza a Hoxha, tutt’altro. La visita alla tomba del dittatore era stata richiesta dalla vedova stessa per placare le urla e la terra in sommovimento, proprio laddove era sepolto il marito. Ella aveva incaricato Ylli Popa, uno dei più fedeli e duri uomini del regime, e traduttore di Hoxha, di portare una lettera a Madre Teresa, in cui la supplicava di venire a pregare su quella tomba per dare pace a quel luogo. Cosa che Madre Teresa fece, nei confronti di quell’uomo che aveva operato per la sparizione della Chiesa Cattolica in Albania, e per le torture e le morti rese a sacerdoti, vescovi e fedeli, e ai familiari della Santa.
Carlo Franza