Mario Dondero fotografo del nostro tempo. Alla Galleria Ceribelli di Bergamo il racconto per immagini di decenni di storia.
Confesso, da storico e studioso delle arti visive, che Dondero è stato uno dei fotografi che maggiormente ho sentito vicino alla mia cultura e al mio sapere. Ora, a poco più di un anno dalla scomparsa di Mario Dondero, la mostra in corso da Ceribelli a Bergamo, propone fino a metà maggio, un viaggio nella poetica e nell’universo di storie raccontate da questo fotografo che ha scelto di viaggiare e raccontare il mondo in totale libertà. Tutti gli scatti, tutte le immagini, sono un grande romanzo neorealista, un romanzo visivo di altissimo livello , capitoli in bianco-nero di figure, quadri di storia, fortune e miserie del nostro tempo, drammi, guerre e tensioni interne ed esterne all’Italia, una storia che sarebbe sfuggita ai più e, invece, fermata dai suoi scatti intelligenti ed emozionanti, vibranti di poesia, di accorati sentimenti, di quotidiana esistenza.
60 fotografie, con un rilevante capitolo di inediti, selezionate da Tatiana Agliani in collaborazione con l’Archivio Dondero (Fototeca Provinciale di Fermo), diretto da Pacifico d’Ercoli; le immagini sono stampate ai sali d’argento e presentate in formati straordinari realizzati ad hoc. L’impegno dell’Archivio ha preso forma con questo primo progetto espositivo raccontando il lavoro, con importanti scoperte, di un fotografo straordinario.
La mostra intreccia momenti del lungo percorso di vita di Dondero: l’appassionante ritratto costruito negli anni sul mondo della cultura europea del secondo Novecento, con le sue idee, il fermento di sperimentazioni e la tensione morale che lo attraversa, a Roma, a Milano, a Parigi, come a Londra; le immagini di importanti momenti storici come il maggio francese, la caduta del muro di Berlino, i conflitti del Medio Oriente, ma soprattutto il racconto della storia minuta, della vita quotidiana della gente comune.
Ecco allora le fotografie dei villaggi del Mali, del Senegal, del Niger, dove Dondero torna ripetutamente soprattutto nel corso degli anni Settanta, delle famiglie contadine in Portogallo, Italia, Spagna, di Cuba, negli anni più duri dell’embargo, della vita nella Russia di Putin. Volti, ritratti di uomini e donne, frammenti di vite che ci guardano e ci parlano attraverso l’obiettivo del fotografo, coinvolgendoci nel dialogo appassionato che Mario Dondero ha intessuto per tutta la sua vita con il mondo e la realtà. Un dialogo immediato, fermato e fissato con lo scatto fotografico, un dialogo con la storia scritta da Dondero in modo estremamente vero, testimoniale.
Mario Dondero (Milano 1928 – Petritoli 2015), legato a Genova, città paterna dove trascorre lunghi periodi dell’infanzia e dell’adolescenza, ma soprattutto cittadino del mondo, è stato uno dei protagonisti di quell’età dell’oro del fotogiornalismo italiano in cui una generazione di giovani usciti dalla guerra scopriva la fotografia come straordinario bagno di realtà e strumento di democrazia dopo la retorica e la propaganda del fascismo, autori come Ugo Mulas, Carlo Bavagnoli, Carlo Cisventi, Giulia Niccolai che s’incontrano al bar Jamaica nel quartiere di Brera a Milano e si formano nel clima di idealità, di ricostruzione morale, civile e culturale degli anni Cinquanta. Trasferitosi a Parigi nel 1954, irriducibile interprete della fotografia “della realtà quotidiana e dell’umanesimo” del secondo Novecento, per oltre sessant’anni ha portato avanti un suo impegno di testimonianza seguendo vicende spesso lasciate ai margini del sistema dell’informazione, con uno stile semplice di grande delicatezza, animato dalla forte empatia che il fotografo riusciva a stabilire con i soggetti dei suoi scatti.
Carlo Franza