62677-0K8A0903Sensazionale scoperta, oltrechè stupenda e straordinaria, una pagina archeologica che riporta in vita,  fa riaffiorare  dalle viscere delle terra in seguito a scavi nella capitale, un tratto di architettura civile di epoca romana, vecchio ben 2300 anni.   Si pensa possa appartenere a un tratto dell’Aqua Appia, l’acquedotto più antico della città, risalente al 312 a.C.  I resti  sono affiorati  sotto piazza Celimontana durante gli scavi per la realizzazione della linea C della metropolitana romana. E non c’è solo questo, perché  poco più in basso del tratto dell’acquedotto è stata  rinvenuta anche  una tomba risalente all’età del ferro con tanto di corredo funerario. La scoperta di questo sito importantissimo, resa nota solo in questi giorni, ma avvenuta già alla fine del 2016, è  stata data  dagli archeologi della soprintendenza che da ben due anni conducono lo scavo all’interno di un pozzo d’areazione sul lato nord orientale della piazza. “Le indagini archeologiche -spiega Simona Morretta, responsabile scientifico dell’area del Celio per la soprintendenza, che ha condotto gli scavi con Paola Palazzo della Cooperativa Archeologia- sono state effettuate sotto la responsabilità scientifica della Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’area archeologica centrale. Lo scavo si è attestato sul terreno geologico ad una profondità media di 17-18 metri dall’attuale piano di calpestio, quota mai raggiunta nei saggi di scavo precedentemente eseguiti in Piazza Celimontana”.

A ben guardare il tratto di questo antichissimo e vitale acquedotto, alto circa due metri e lungo 32 -composto di blocchi parallelepipedi di tufo granulare grigio disposti in cinque filari sovrapposti-  si trova a una profondità di circa 17 metri. “Il piano di scorrimento interno – conferma ancora  Simona Morretta -è costituito da uno spesso strato di cocciopesto, in perfetto stato di conservazione, che presenta una leggerissima pendenza da est a ovest. La totale assenza di tracce di calcare all’interno dello speco farebbe supporre che il suo utilizzo nel tempo sia stato limitato o che l’abbandono della struttura sia di poco posteriore ad un intervento di manutenzione”. Faccio notare che l’acqua veniva distribuita attraverso una tubazione in piombo detta fistula aquaria, ben  collegata all’acquedotto da una canaletta e un pozzetto di decantazione. E’ certo che la costruzione dell’acquedotto si può ascrivere in un periodo di poco precedente la metà del III secolo a.C., cronologia che rimanderebbe all’ Anio Vetus, l’unico noto di quest’epoca. L’Anio vetus (o “Aniene vecchio”) fu il secondo acquedotto costruito per l’approvvigionamento idrico della città di Roma dopo l’Acquedotto Appio realizzato circa quarant’anni prima. L’aggettivo vetus (vecchio) gli venne attribuito solo quando, circa tre secoli più tardi, fu realizzato un altro “acquedotto Anio”, appunto il novus. Fu costruito con i fondi del bottino derivato dalla guerra vittoriosa combattuta da Roma contro  Taranto e Pirro  tra il 272 e il 269 a.C. dal censore Manlio Curio Dentato  che il  senato  aveva appositamente nominato “duumvir aquae perducendae” insieme a Fulvio Flacco, che  morì pochi giorni dopo il conferimento dell’incarico. Noi aggiungiamo che Frontino, la fonte principale per gli acquedotti di Roma antica, fornisce dei motivi che smonterebbero questa attribuzione. L’Anio Vetus, secondo l’antico scrittore, non passerebbe infatti per il Celio, area nella quale è stato invece effettuato il ritrovamento. Ed è per questo che risulta più verosimile una possibile attribuzione all’Aqua Appia che certamente attraversava questo quartiere ad una notevole profondità.
Per intanto l’acquedotto è stato smontato per essere riallestito e portato alla visione  pubblica, in una sede che ancora non è stata  individuata.

Carlo Franza

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