Love. A Milano arte e amore in mostra alla Permanente.
Il fascino dell’amore. L’amore che tiene in vita. Su questo tema che impregna da sempre il mondo, gli artisti e l’arte, ecco al Palazzo della Permanente a Milano (via Turati 47) l’arte contemporanea messa in mostra con “Love”, a cura di Danilo Eccher, fino al 23 luglio 2017.
Dicevamo che il tema dell’amore ha sempre affascinato e avvolto l’essere umano e le sue arti. Tutto ciò fin da quando la donna sepolta ad Ostuni 38 mila anni fa in una grotta, luogo che è stato casa, chiesa e sepolcro, è stata ornata di collane di conchiglie; poi il tema singolare dell’amore che avvolge il pensiero e il corpo dell’uomo ha invaso la poesia, la letteratura e le arti figurative, sempre. E talvolta, per non dire spesso, anche scandalizzando. L’arte contemporanea esposta in mostra invece non conosce crudemente il sesso e il nudo, ma i grandi filoni artistici dei nostri giorni, come una sorta di gioco riflesso.
La scultura classica è richiamata dai due amanti di Mark Quinn, il quale fa esplodere nel marmo un Kiss complicato da una femmina grassoccia, che quasi pare ergersi, arrampicarsi, per trovare le labbra dell’amante. Tutto è più facile per le due teste di Francesco Vezzoli, il quale restaura una testa di donna del 117/138 a.C. circa, pure colorandole le labbra, proprio come facevano gli antichi, con il volto di un uomo del II secolo in un Eternal kiss, titolo che ricorda “L’ode su un’urna greca” di John Keats.
La pop art e l’arte concettuale invece aprono la mostra con le icone visive di Robert Indiana rotte da una lettera in disordine per attirare l’attenzione, riprese più avanti da quelle al neon di Tracey Emin con i suoi Forgotten heart, You saved me e Those who suffer love. Andy Warhol appare con la sua amata icona in One Multicoloured Marilyn. Tom Wesselman coglie la sensualità con la sua Smoker. Francesco Clemente, negli anni Ottanta entrato in contatto con Warhol, Basquiat ed Haring, offre esempi di pop art all’italiana.
Un grosso cuore fatto di posate di plastica, che assomiglia a un centrino ricamato da Joana Vasconcelos, spezza il percorso espositivo mentre risuona un malinconico fado; e separa i due ieratici Beecroft di amore multietnico: bianchissime le donne, nerissimi gli uomini e i figli. Poi ci sono Gilbert e George con due giganteschi teleri (per dirla all’antica) illuminati e caleidoscopici che trattano sia l’amore omosessuale che l’amor di patria.
C’è il Nuovo realismo di Mark Manders che pare sciogliere nella resina, magmatica, donne intrappolate in una sedia o incastrate tra assi di legno. I messaggi d’amore primeggiano in Love paintings di Tracey Mofatt che tra post it e bigliettini attaccati con chewing gum raccoglie pensieri d’amore e desideri passionali (uno recita Voglio sposare Fernando Alonso) come d’altronde a fine percorso mostra, quando lo stesso visitatore si fa artista e lascia un pensiero, libero, liberale e libertino su “che cos’è l’amor”. Mostra decisamente bella, attiva sul versante della comunicazione, esplosiva nel raccontare e mettere in mostra l’amore.
Carlo Franza