Di Maio, il Masaniello del XXI secolo.
Giorni febbrili, di consultazioni per la formazione del governo, che non portano a nulla, nonostante gli ammiccamenti del capopopolo del Sud, Luigino di Maio, grillino della prima ora, a PD e alla Lega di Salvini, con chiusura al Cavalier Berlusconi. Giorni fa Di Maio ha aperto bocca dicendo: “Forza Italia fuori dal governo”, e Berlusconi gli ha ben replicato: “ Ma chi si crede di essere”? Per la verità questo giovane trentunenne ha proprio la faccia da chierichetto. Cuperlo del Pd a “Cartabianca” gli ha dato anche del democristiano. Di Maio vuole fare il Masaniello del XXI secolo. Ne prende a modello la maschera.
Tommaso Aniello d’Amalfi, meglio conosciuto come Masaniello (Napoli 29 giugno 1620- Napoli 16 luglio 1647) è stato il protagonista della rivolta napoletana che vide, dal 7 al 16 luglio 1647, la popolazione della città insorgere contro la pressione fiscale imposta dal governo vicereale spagnolo. Nella vita di questo personaggio non è sempre facile distinguere gli avvenimenti realmente accaduti da quelli elaborati dal mito storiografico. Per molto tempo si è creduto che Masaniello fosse originario di Amalfi, mentre in realtà nacque a Vico Rotto al Mercato, uno dei tanti vicoli che circondano piazza del Mercato a Napoli. All’origine di questo equivoco c’è quel d’Amalfi, che è semplicemente il cognome, ma che è stato tradizionalmente interpretato come un riferimento al luogo d’origine del capopopolo. Alcune fonti sostengono che Tommaso Aniello nacque ad Amalfi, dove sarebbe stato amico di un altro singolare personaggio amalfitano, l’abate Pirone, così chiamato perché usava abusivamente la tonaca per sfuggire alla giustizia, in realtà bandito che uccideva dietro compenso, e che poi sarebbe stato anche suo collaboratore nei giorni della rivolta.
Masaniello, pescatore e pescivendolo come il padre, era descritto così dai suoi contemporanei:
“Era un giovine di ventisette anni, d’aspetto bello e grazioso, il viso l’aveva bruno ed alquanto arso dal sole: l’occhio nero, i capelli biondi, i quali disposti in vago zazzerino gli scendevano giù per lo collo. Vestiva alla marinaresca; ma d’una foggia sua propria, la quale, […] alla mezzana, ma svelta sua persona molto di gaio e di pellegrino aggiungeva”. |
Luigino Di Maio devoto a San Gennaro si atteggia a uomo sicuro, ma credetemi di sicurezza ne ha proprio poca, vista l’inesperienza politica, e non solo. Inesperto, lavoretti saltuari, nessun titolo di laurea, ha un diploma di scuola superiore che oggi vuol dire analfabetismo di ritorno, né sa parlare, né sa relazionarsi se non a strattoni, né sa comunicare, né sa di democrazia. E come lui nei 5stelle ce ne sono a bizzeffe. Sono lì ad aspettare lo stipendio e a bearsi del titolo di deputato o senatore. A studiarlo nel volto Di Maio ha spesso gli occhi come gettati nel vuoto, perché ha davanti a sé mille problemi, in quanto è facile fare il “Masaniello” in campagna elettorale e incitare le folle, ma se poi dopo le parole devi passare ai fatti, la storia è ben diversa. Ancora pensa di dettar legge visti gli undici milioni di elettori che lo hanno appoggiato, ma dovrebbe imparare che anche Renzi aveva compagnie, brigate e battaglioni e oggi è seduto per terra, abbandonato da tutti. Vi assicuro che anche Di Maio tornerà nella sua Napoli a invocare ancora San Gennaro per miracolare i 5stelle, ma il miracolo vi assicuro non arriverà. Parola di san Gennaro. Non basta usare vestiti e soprabiti di una certa taglia per apparire. Nonostante Luigino faccia sforzi, i più accorti di noi si rendono conto che l’essenza, per dirla alla Hegel, non riesce ad adeguare il concetto. Non servirebbero sostegni, corsi di recupero, studio o manuali di politica: già solo individuare talune soluzioni, che non sono certo il reddito di cittadinanza, è spia del problema centrale. Che è forse problema del nostro tempo in generale, ma che in Italia è sicuramente aggravato, da una parte dalla crisi del sistema di “ricerca e selezione delle élites” e, dall’altra, da un radicalismo democraticistico di tipo sessantottino che porta molti a credere che davvero “uno come Di Maio vale tutto”. Non è così. Feltri ha ben detto che uno come Di Maio offende tutta la nostra tradizione politica. A Di Maio manca proprio il senso politico che è il portato, in ultima istanza, della nostra epoca. A Di Maio manca non solo la laurea che oggi si dà a tutti, ma il filo della matassa.Persino ad Harvard uno studente ha detto a Di Maio: “ ma lei non ha la laurea!”. Di Maio e i 5 stelle al governo sarebbero la più grande iattura per il nostro paese. Dio ce ne scampi e liberi. I guai non sarebbero solo in politica interna; d’altronde i guai per l’Italia sono iniziati circa vent’anni fa. Era presidente del Consiglio proprio D’Alema nel 1999 quando l’economista Paul Krugman – poi Premio Nobel – ci avvertiva: “Adottando l’euro, l’Italia si è ridotta allo stato di una nazione del Terzo Mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera con tutti i danni che ciò implica”.
Carlo Franza