Fritz Koenig. Retrospettiva a Firenze agli Uffizi e al Giardino di Boboli, dedicata al creatore di “The Sphere” delle Torri Gemelle di New York.
“Poi è arrivato l’11 settembre 2001. Il giorno dell’attentato siamo a casa nelle Pacific Palisades e seguiamo dal vivo alla televisione come si consuma la fatidica tragedia. Telefono a Koenig. Lui dice: L’unica cosa che ora conta è la catastrofe umana. Chi sono io o il mio lavoro in confronto a tutto ciò. E dopo una lunga pausa. Adesso è polvere. Per 28 anni, dal 1973, la grande cariatide sferica di New York (Grosse Kugelkaryatide N.Y.), conosciuta nel linguaggio popolare come The Sphere, si era specchiata su una superficie d’acqua mentre ruotava in maniera quasi impercettibile. Nella Plaza, tra i due grattacieli alti 400 metri, era diventata il simbolo dell’incontro. Adesso è polvere, il che significa che è stata schiacciata fino a diventare un epitaffio. Tre settimane dopo mi telefona. Fa capolino. E il giorno dopo. È danneggiata. Non distrutta.
Devi andarci gli dico”. Lo racconta Percy Adlon, regista fra l’altro di Sugar Baby e di Bagdad Cafè e autore di cinque documentari sullo scultore, nel suo testo “Fritz Koenig – come lo conoscevo” che è nel catalogo edito da Sillabe in italiano, inglese e tedesco, pieno, strapieno, di fotografie che documentano tutta la carriera, la vita, dell’artista bavarese, scomparso, novantatreenne, un anno e mezzo fa.
Fino al 7 ottobre 2018 Firenze celebra Fritz Koenig, da molti considerato fra i più importanti scultori del ventesimo secolo, con una grande mostra monografica, la prima dopo la sua morte, presentando nei magnifici spazi verdi del Giardino di Boboli e nelle sale della Galleria degli Uffizi una grande quantità di sue opere, fra sculture e disegni, compresi anche, per la prima volta, i lavori degli ultimi quarant’anni della sua vita.
Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi, ben volentieri ha messo a disposizione gli spazi di sua competenza per questa occasione straordinaria.
Il bronzo, la pietra, il corten delle monumentali sculture di Koenig ritmano gli spazi del capostipite dei giardini all’italiana offrendo alla vista l’intreccio prezioso fra le loro forme, lisce o ruvide, spesso apparentemente instabili e padrone di uno studiato disequilibrio, e lo sfondo di panorami unici e le quinte delle siepi, dei grandi alberi, dei prati.
Personalità forte e complessa Koenig negli anni rifiutò il mondo dell’arte e decise di ritirarsi, con la moglie Maria, nella sua tenuta di Ganslberg, in Baviera, dedicandosi con passione anche ai suoi amati cavalli purosangue arabi dei quali diventò allevatore, ai suoi pavoni, alle galline, ai gatti, insomma alla sua “arca di Noè” come la chiamava, circondato dalla sua collezione di arte africana tra le più notevoli al mondo.
“Fritz Koenig aveva occhi blu, attenti. Aveva anche delle mani bellissime con dita forti e allo stesso tempo affusolate, proprio come lui stesso le ha disegnate. Era un uomo pieno di fascino, subito ammaliava chiunque. Il fascino è, secondo un’ineguagliabile definizione di Albert Camus, ciò che porta una persona a dire sì prima ancora che gli sia stato chiesto qualcosa. Con le donne diventava addirittura un seduttore, e a loro non riusciva a resistere” scrive sul catalogo Alexander Rudigier, curatore della mostra. Proprio l’amore, l’eros è stato fra temi dominanti del suo lavoro, come la morte del resto, gli epitaffi, l’olocausto. Ci andò a New York, Koenig. La sfera si era miracolosamente salvata dal disastro grazie a due grandi lastre di acciaio che precipitate l’avevano protetta. Si era danneggiata ma non gravemente, l’artista intervenne, la restaurò ed è ancora lì, a Ground Zero.
Fritz Koenig è nato il 20 giugno 1924 ed è morto il 22 febbraio 2017. La mostra si svolge sotto il patronato del Duca Franz di Baviera, amico personale dell’artista e importante collezionista internazionale di arte contemporanea.
Carlo Franza