Max Beckmann. L’arte, il tormento e la Riforma. Al Museo d’Arte di Mendrisio (Svizzera Italiana) le opere di uno dei massimi Maestri dell’Arte Moderna.
Max Beckmann è, insieme a Pablo Picasso ed Henri Matisse, uno dei massimi Maestri dell’arte moderna. Con loro figura nelle sale dei più importanti musei del mondo; e nonostante la sua maestria pittorica, plastica e grafica, le sue opere – inquietanti, enigmatiche e sensuali – continuano a essere una sfida per l’osservatore. Tuttavia, incredibilmente, la sua opera non è conosciuta in ambito culturale italiano: l’unica mostra degna di nota si tenne nel 1996 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
30 dipinti, 17 acquarelli, 80 grafiche e 2 sculture presenti fino al 27 gennaio 2019 nella grande mostra antologica realizzata dal Museo d’arte Mendrisio – grazie al sostegno della famiglia Beckmann e al contributo di Siegfried Gohr, tra i massimi studiosi dell’artista – daranno modo non solo di riscoprire, finalmente, i principali capitoli dell’opera di questo maestro unico, ma di rivisitare il suo percorso artistico attraverso tutte le tecniche da lui utilizzate. Sarà, tra l’altro, una occasione rara per poter ammirare buona parte della sua eccezionale produzione grafica, elaborata principalmente tra il 1917 e il 1925 e dopo la Seconda Guerra Mondiale, decisiva sulla base di una nuova idea dello spazio nell’elaborazione del linguaggio maturo dell’artista, tra sogno e realtà.
L’allestimento, concepito con un andamento cronologico e con sale dedicate a tematiche specifiche, consentirà di cogliere chiaramente l’evoluzione del suo linguaggio da uno stile ancora tardo impressionista alla cesura dalla Grande Guerra e alla successiva riduzione all’essenziale di linee, forme, colori.
Max Beckmann ha toccato, nella sua parabola, grandi vette e conosciuto fasi di abissale declino. Nato a Lipsia nel 1884, nel 1899 entra all’Accademia di Weimar, dove rimane fino al 1903. Nel 1906 si unisce alla Secessione a Berlino, dove vive fino al 1915. Raggiunge precocemente la celebrità con una pittura ancora legata a uno stile tradizionale e tardo-impressionista. Il profondo shock fisico e psichico causato dalla Prima Guerra mondiale lo spinge però al confronto con la pittura modernista, soprattutto francese. Trasferitosi a Francoforte, giunge di nuovo alla celebrità durante gli anni Venti, ma già nel 1933 i nazionalsocialisti lo costringono a lasciare l’incarico di insegnamento e ben presto ricade nell’anonimità. Nel 1937, dopo che la sua arte viene marchiata come “degenerata”, sceglie senza esitazione l’esilio, dapprima in Olanda e in seguito negli Stati Uniti, dove si trasferisce definitivamente nel 1947. Negli anni Trenta e Quaranta realizza, oltre a paesaggi e nature morte, i celebri autoritratti e quadri a tema mitologico e biblico. La sua epoca e la sua vita, compresa tra fama e marginalità, trovano espressione in opere impressionanti, spesso enigmatiche e cariche di simboli, caratterizzate da grande sicurezza nell’uso del colore.
Gli ultimi anni americani gli apportano una rinnovata celebrità e vedono il suo stile evolvere verso una maggiore sintesi, con l’uso di colori più intensi. Max Beckmann muore improvvisamente nel 1950 nel Central Park, mentre si reca ad ammirare una sua opera esposta al Metropolitan Museum di New York. L’artista amava il sud dell’Europa. Durante molti mesi estivi ha viaggiato in Italia e in Francia, sulla costa mediterranea. Amava le sue spiagge e si è lasciato ispirare dal suo paesaggio: dal mare, dalla vegetazione e dalla cucina mediterranea nella realizzazione di dipinti che irradiano serenità e gioia di vivere. Il lavoro di Beckmann non è stato, però, ancora messo in giusto valore nei paesi del Sud.
Di recente, il curatore della mostra Gohr in un libro che sarà edito parallelamente alla mostra di Mendrisio, si è soffermato su alcuni elementi centrali della sua opera, quali gli specchi, gli strumenti musicali, i libri, i fiori e le piante, essenziali per mettere in evidenza la forma e il pensiero dell’artista. Si tratta di un approccio del tutto inedito. Contrariamente ad altri studi che hanno sottolineato i riferimenti alla teosofia, alla letteratura e alla storia politica, Gohr parte da oggetti comuni presenti nei dipinti o nei lavori su carta per indagarne il senso e il significato. Mostra e catalogo consentono di capire come ogni elemento, anche quello apparentemente più banale, abbia in verità un significato profondo nell’arte beckmanniana e faccia parte di un complesso di simboli.
Beckmann ha conferito nuova vita alle tradizionali categorie dell’arte: alle nature morte, alle scene in interni, al paesaggio, al ritratto. Soprattutto gli autoritratti costituiscono un’impressionante testimonianza biografica e storica contemporanea, mentre la parte complessa del suo lavoro è costituita da invenzioni di stampo mitologico e allegorico, che spesso si presentano come particolarmente enigmatiche.
Tra gli artisti del XX secolo, Max Beckmann è uno di quelli che più ha intensamente vissuto, sentito e sofferto il proprio tempo. La fama, l’esilio, l’ostracismo, e poi un nuovo apprezzamento nel corso degli ultimi anni della sua vita, rispecchiano il destino dell’arte moderna e dei suoi creatori nella prima metà del secolo.
Carlo Franza