I Presepi di Maria Lai. Al Museo Novecento di Firenze i capolavori dell’artista italiana filtrati dalla poesia dell’esistenza.
Il 20 dicembre 2018 il Museo Novecento di Firenze ha inaugurato Room, nuovo spazio espositivo al piano terra, con un progetto dedicato a Maria Lai (Ulassai, 1919 – Cardedu, 2013), una delle più importanti artiste italiane del XX secolo. A quasi cento anni dalla nascita il museo rende omaggio a questa protagonista silenziosa dell’arte contemporanea, con la mostra “L’anno zero” (fino al 28 marzo 2019) dedicata ai presepi in terracotta, pietre, stoffa e legno, uno dei temi più cari all’artista, già presente a Firenze nella monografica Maria Lai. Il Filo e l’infinito, mostra dedicatale questa primavera a Palazzo Pitti.
Con i presepi Maria Lai – che nel corso della sua lunga vita si è dedicata con costanza ad una ricerca del tutto personale sulla delicata poesia dell’esistenza – coglie l’essenza stessa della povera immagine della nascita del Messia e dell’adorazione di pastori e Magi tratta dal Vangelo, e ne fissa l’anno della nascita con un titolo emblematico: l’anno zero. Inizio della storia e vertigine del simbolo che si trovano all’incrocio tra favola ed epica, tra terra e cosmo, tra umano e divino. Dalle mani di Maria Lai nascono manufatti poveri costruiti con sapienza antica, piccoli monumenti al desiderio di pace e di fratellanza che parlano prima di tutto all’infanzia, minuscole scenografie che riproducono il mondo intero, la storia, i sogni e le utopie che resistono sparsi dovunque sulla terra, tra i popoli. Ogni presepio è un’invenzione inedita che non ripete mai se stessa e rinnova la matrice originale, quella trama evangelica che sempre replica un’esperienza di avvicinamento al sacro, alla manifestazione del dio tra noi. “Amo il presepe – diceva l’artista –come esperienza di qualcosa che, più ne indago l’inesprimibile, più trovo verità, più divento infantile e ingenua, e più rinasco”. Il presepe prima di tutto è per l’infanzia, quell’epoca della vita che sappiamo non essersi mai conclusa e mai compiuta. Il mondo in piccolo del presepe resta sempre in bilico tra favola e storia, tra il fatto miracoloso, unico e irrepetibile, e l’accadere quotidiano che sempre si ripete: un bambino nasce in una catapecchia ma è il re del mondo, e sua madre, una bella ragazza sposata a un falegname, l’ha partorito da vergine. L’ordine normale degli eventi umani si rispecchia in un disegno superiore. Questa eco, questa risonanza nella storia del sacro è quanto affascina del presepio. Ma è un sacro che parla nel linguaggio della favola, per la meraviglia dei bambini, e questo è il suo potere affabulatorio e un tantino magico, incantatorio.
Scriveva Giovanni Papini “che senza infanzia nessun vero senso della cosmicità si rende possibile e nessuna poesia si dà senza canto cosmico”. Non è un caso che al centro dello spazio prospettico del presepe ci sia un bambino e in alto una stella. Sono due traiettorie dello sguardo, quella dell’infanzia e quella del cosmo, che Maria Lai segue sempre nel suo viaggio artistico e poetico. Vi è ritornata negli anni con una costanza e una dedizione che dicono come, dal suo punto di vista, quel soggetto fosse un paradigma aperto, da cui partire per dire semplici verità sull’esistenza umana e la sete di infinito, sulla vita e la oscura presenza dell’ignoto, sull’amicizia e la compassione, su domande e verità ancestrali. Pensando al presepe in termini seriali, ma praticandolo con lo sguardo dell’infanzia poetica, Maria Lai supera la fredda esecuzione concettuale per entrare nel mondo della pura immaginazione, in quello della affabulazione figurativa, incrociando antropologia e metafisica, favola e teologia. Nelle sue opere la semplicità lirica del linguaggio del poeta, la beatitudine musicale del soliloquio mistico, accolgono e amplificano in senso profetico la sua forte, essenziale, voce politica, che registra le grandi lotte e le piccole rivoluzioni, le paure e i dolori, le guerre fratricide e i collassi planetari. Maria Lai ha scritto: “Amo il presepe per l’attualità delle sue migrazioni verso mete improbabili”, assegnando alle fragili immaginazioni in terracotta e pietre, stoffa e legno, una funzione politica che non si esprime con il tono retorico dell’ideologia, ma con le parole semplici e per questo veramente originarie della cultura arcaica. Si conservano molte altre dichiarazioni di Maria Lai con le quali l’artista ha voluto affermare il suo amore per il presepe e motivarne le ragioni: “ Amo il presepe perché, come l’arte, è il vasto respiro di un viaggio”, oppure “Amo il presepe perché, come l’arte, dialoga con l’infinito” e contemplando uno dei suoi piccoli teatrini cosmici, in cui i personaggi vivono inscritti in una porzione di infinito, immaginiamo la strada percorsa dai migranti Maria e Giuseppe, quella di una stella cometa nel cielo, la storia di un dio che è sceso in terra. Un viaggio iniziatico che è pure quello della fantasia e dello sguardo, quello della vita interiore, e quello della speranza di un mondo diverso: “Amo il presepe perché ci raccoglie intorno alla speranza di un mondo nuovo”. Del fascino emanato dal presepe coglie la dimensione archetipica della sua messa in scena o scenografica architettura: “Amo il presepe perché, nell’oscurità della notte, si fa grembo, rifugio”, oppure, “Amo il presepio perché nello spazio di un tabernacolo contiene angeli e stelle, greggi e pastori, tragedie e profezie”. Maria Lai trasforma ricordi ed esperienze personali in immagini universali, tradizioni e riti popolari della sua terra in un linguaggio artistico universale e internazionale: “Amo il presepio perché si propone a tutti i linguaggi del mondo”, e anche “Come l’arte anche il presepe ha la possibilità di infinite interpretazioni personali”.
Carlo Franza