Renato Galbusera, la nuova figurazione e i traumi della storia, in quaranta disegni esposti alla Biblioteca dell’Accademia di Brera a Milano.
L’ artista Renato Galbusera (Milano,1950) ci mette proprio tutta la faccia – così titola la sua mostra e a ben ragione- nell’esposizione in corso a Milano, aperta fino al 10 maggio 2019, nella Biblioteca dell’Accademia di Belle Arti di Brera dove è stato titolare di una cattedra di pittura dal 2009 al 2016. E’ una mostra certamente impegnativa non solo perché vive di opere su carta, ma esse datano dal 1968 al 2018, vale a dire coprono ben cinquant’anni di lavoro, non solo, ma un arco di tempo qual’ è stato quello della fine degli anni Sessanta e tutti gli anni Settanta, capace di raccontare il fermento ideologico e sociale che sostenne la storia dell’epoca. Fermento che attraversò maggiormente la società giovanile, le scuole e le università, la cultura tutta e, dunque, anche l’arte in cui Renato Galbusera si era affacciato e aveva preso a vivere con passione e vitalità. Le carte di Renato Galbusera e la sua stessa arte vanno riportate a quel contesto da cui mossero per lo stile, i contenuti e l’intero racconto. Senza dimenticare che proprio in quegli anni cresceva sul versante ribelle e contestatario la tensione e l’amplificazione di modelli più attinenti all’apocalittica realtà di crisi; in quella generazione beat sono da reperire i nomi di Fieschi e Trubbiani, Turchiaro e Adami, Cavaliere e Somaini , Bonalumi, Pozzati e Ferroni, Notari, Scanavino e Baratella, , Alviani, Pistoletto e Rotella, Guccione, Cremonini e Bodini, Vespignani e Guerreschi, ecc., cui guardano un larghissimo seguito di giovani, che aggiungono una fertile nozione del disegno alla stessa domanda tradizionale di leggibilità dei simboli e dell’elaborazione di significati estetici. Le carte e i disegni di Renato Galbusera reggono bene il quadro della nuova figurazione, con uno sguardo ai grandi maestri del passato come Sironi, con le sue architetture e scenografie spaziali. La concezione della figura è suggerita dalla sua stessa abilità di coglierne i precisi contorni, le forme piene(volto, mani, braccia, torsi), le trascendenze fisiche dell’immagine, del corpo intero; aggiungendovi la patologia della realtà narrante, una simbologia misteriosa e quotidiana esauriente ed anche didattica. Poi nei volti il ritratto, già indice di ricognizione severa e drammatica intorno all’uomo e al suo vuoto, tra levigatezze, segni di illuminazione, occhi e sguardi perfettibili, e accesi di attonita curiosità e di spirito fragile, angosciato. In questa sollecitazione fredda e tagliente è cresciuta la sua poetica, qui meglio avvertita nei pastelli e nelle matite, con il suo incedere che faceva capo alla Neue Sachlichkeit, in una fase oracolare, truce, omogenea, già sottraendo la figura a ogni assoluto sentimentalismo, immergendola invece nell’ossessiva e anedottica idealizzazione dell’espressionismo tedesco, così come fece più avanti negli anni Floriano Bodini quando si portò con l’insegnamento in una istituzione tedesca. E’ stato come essere assorti nella contemplazione puramente metafisica e veristica di una pittura in cui l’uomo Galbusera alla luce di valori nuovi, per bisogno autobiografico e un influsso che riporta a Grunewald, l’ingigantisce in stile e in soluzioni determinanti per la propria ambizione artistica. Eccole queste carte, poco più di quaranta, capaci di annodare tutta la scelta pittorica di Galbusera, letta fra segni, forme,campiture, ritratti, parti del corpo, ecc., dove ha poi sviluppato e inciso e soprattutto colorato, con toni sommessi, vale a dire neri e grigi, proprio i traumi della storia, la risonanza sociale dell’esistenza ( ecco il “metterci la faccia”), e quel potere di trascrizione ideografica che è stata come una confessione della vita.
Carlo Franza