Marisa Settembrini a Recanati inscena una nobilissima mostra che rende “Omaggio a Giacomo Leopardi e ai 200 anni de L’Infinito”. Evento voluto da Regione Marche-Assessorato alla Cultura e dal Comune di Recanati.
Marisa Settembrini illustre artista italiana e illustre Docente di Brera a Milano, ha messo in piedi un significativo “Omaggio a Giacomo Leopardi” in occasione della ricorrenza de i 200 anni dell’Infinito, a Recanati nella famosissima Chiesa di San Vito patrono della cittadina e dove Giacomo da piccolo nell’Oratorio annesso teneva sermoni ai nobili in occasione dei riti della Settimana Santa. La mostra a celebrazione dell’evento storico-letterario voluta dalla Regione Marche-Assessorato alla Cultura nella persona dell’Assessore Moreno Pieroni, dal Sindaco di Recanati Francesco Fiordomo e dall’Assessore alle Culture di Recanati Rita Soccio, si è tenuta nel mese di maggio 2019. Con le personalità regionali e comunali intervenute al taglio del nastro all’inaugurazione dell’evento recanatese ad iniziare dal Sindaco Francesco Fiordomo anche la partecipazione di numerosi intellettuali e artisti italiani, dal singolare poeta italiano Umberto Piersanti docente all’Università di Urbino che in catalogo ha dedicato una poesia alla Settembrini, al figlio del famosissimo artista futurista Ivo Pannaggi, al professor Bruno Mangiaterra artista lauretano, al Professor Carlo Franza Ordinario di Storia dell’Arte Moderna e Contemporanea che oltre al testo in catalogo, ha presentato l’evento tenendo una lectio magistralis. Nel catalogo lo scritto di Rita Soccio (Assessore alle Culture del Comune di Recanati): “È per noi un vero piacere ospitare nello spazio recuperato della chiesa di San Vito, dove, nell’Oratorio delle Congregazioni ad esso annesso, il giovane Giacomo Leopardi recitava i suoi discorsi religiosi, l’esposizione dell’artista contemporanea Marisa Settembrini. Nell’anno delle Celebrazioni del Bicentenario de “L’Infinito”, l’Artista rende omaggio al Poeta recanatese interpretando con un pensiero pittorico, il concetto dell’infinito. Il lavoro della Settembrini tocca le corde dell’animo umano più intime e le fa vibrare attraverso colori, luci e materia che in ogni opera si fa scrittura e iconografia, in un vissuto tutto personale. Il suo linguaggio è al tempo stesso visione e concretezza, realtà e immaginazione. Nella Città della Cultura per eccellenza, la mostra dell’artista Settembrini è senza dubbio un’altra occasione per riflettere e interrogarci su cosa oggi significa volgere lo sguardo…al di là della siepe”.
E veniamo alla mostra e a una sua lettura. Due secoli d’infinito, anzi due secoli dalla stesura de “l’Infinito” di Giacomo Leopardi, poeta e filosofo, come amo ricordarlo, mi portano a fare una riflessione sull’infinitezza nel mondo dell’arte, e a leggere quei tratti estetici e quelle poetiche che hanno indagato attraverso scritti, parole, dipinti e opere d’arte in genere, l’infinito legato al sentire dell’individuo. E badate bene che dal Romanticismo al Duemila sono stati tanti gli artisti che hanno trovato in questo concetto la vera visione del mondo. Duecento anni orsono, nella “tormentata quiete” di Recanati, Giacomo Leopardi (Recanati, 1798 ‒Napoli, 1837) scrisse L’infinito, un idillio d’ineffabile bellezza che indagava sulla potenza immaginativa del pensiero umano (“e quel profondo infinito seren…”), sulla capacità di spingersi oltre le siepi e i muri, ovvero oltre quel limite d’orizzonte, per esplorare regioni sconosciute dove proiettare la propria anima e lasciare traccia di sé e della propria esistenza. Quel pensiero “ove per poco il cor non si spaura”, più che richiamo alla selva dantesca, lascia pensare al clima d’angoscia di Nietzsche. Tuttavia Leopardi, poeta e filosofo del dolore, ma anche fiero assertore del potenziale dell’umanità in lotta contro la natura, affronta l’immensità con stoico coraggio. E, ispirata da lui, anche l’arte ha guardato e guarda oltre la siepe. Da questi concetti, da queste icone, l’orizzonte, il bosco e la siepe, il muro, e altro ancora, muove Marisa Settembrini per rendere con un corposo suo lavoro concettuale e installativo di teleri sequenziali un senso alle apparenze, l’invisibile che si nasconde al visibile, l’insondabile che si nasconde nel sondabile, di leggere le apparenze negli sguardi, in un fiore, nei volti, nel paesaggio, nel mare, di leggere gioia e tristezza, inquietudine e angoscia, nostalgia e disperazione. Questa mostra omaggio a Leopardi di Marisa Settembrini messa in opera qui a Recanati , a ridosso della casa del poeta, ci riporta a Rainer Maria Rilke che in “Vento e destino” lascia osservare l’infinità di chiaro e di scuro, di luci e di ombre, di segreto e misterioso che germoglia nella vita e nel silenzio delle tempeste del cuore e nelle inquietudini dell’anima. Così Marisa Settembrini attraverso questi corpi-cosa, di scenari ossificati avvolti da un silenzio divorativo, legge esteticamente e pittoricamente il mondo che è forma e colore, e la vita stessa che scorre in superficie, e la transitorietà del tempo che riduce tutto a un frammento, a un simbolo, a quell’infinito che espone la natura alla vita e alla morte, e in quanto così esposta -osserva Benjamin – è “allegoria da sempre”. D’altronde proprio l’indagine sull’infinito ha caratterizzato e mosso la pittura di paesaggio in età romantica, pittura di paesaggio che riflette lo stato emotivo dell’osservatore e del pittore, basti pensare a Caspar David Friedrich che realizzò nel 1818 il “Viandante sul mare di nebbia”, ove il Mare del Nord è stato visto con inquietudine kantiana; mentre nell’America del 1951 Edward Hopper in “Rooms by the sea” s’è mosso da un’inquietudine più profonda, angosciante e forsanche distruttiva, ove il mare che si allarga attorno alla stanza è sia una sorta di via di fuga ma anche un richiamo alla fine. E se si osservano installazioni come “Descension” di Anish Kapoor, si noterà che quei flutti neri agitati e risucchiati in un vortice aprono a un principio di infinito meccanico, a ritrovarsi nel vuoto dell’infinitezza spaziale, in un vuoto sia come inquietudine che come terrore. Persino le architetture di James Turrell, spaziano concettualmente intorno all’ombrosa siepe leopardiana, attraversate da irruenti fasci di luce naturale, come una finestra verso l’infinito, luogo mentale di pareti in cui è racchiuso lo spazio interno delle strutture; è così non solo in Skyspace, ma anche nel monumentale “Roden Crater”. E’ certo che l’infinito acquista per ognuno di noi una diversa raffigurazione, per gli esploratori è il mare, i grandi deserti e le vaste pianure; per Vasilij Kandinskij l’infinito è stato il silenzio, eterno e vuoto, come lo spagnolo Joan Mirò visse il perenne silenzio con il colore blu, attingendo al colore del cielo. Questa sensibilità è stata maggiormente viva nel periodo romantico – il periodo leopardiano – in cui, come già accadeva in ambito letterario e filosofico, il sentimento prevaleva sul ragionamento ricorrendo a temi esistenziali come la meditazione sul trascorrere del tempo e sugli spazi infiniti. La stessa natura è stata fortemente personificata con ambientazioni fosche, e riferimenti simbolici, magici e misteriosi; sicchè gli artisti hanno cercato di movimentare l’emozione e la sensazionalità, promuovendo il coinvolgimento emotivo e l’adesione passionale degli spettatori. Con il Novecento sono nati nuovi modi di rappresentare la realtà esterna ed interiore, sono cambiati i criteri di rappresentazione dello spazio e delle cose nello spazio, esprimendo il mutare e lo scorrere del tempo, il movimento, il ritmo della vita moderna e l’infinito nelle sue sfaccettature. La rappresentazione dell’infinito messa in piedi da Marisa Settembrini, illustre artista del Brera a Milano, anche nella sequenza della “Rosa” o del “Ritratto di Leopardi” va letta come indagine sulla transitorietà del tempo e delle cose, sul decrescere della rosa e sul suo sfiorire, come pure sul ritratto e il volto del poeta che ne contiene la sua vita vissuta. In questo movimento l’evento artistico della Settembrini si è venuto ad esaurire con l’atto stesso della creazione. Arte non è dunque la pittura eseguita ma l’atto di eseguirla. E se l’arte è eseguire un gesto, il valore artistico sta soprattutto nel gesto stesso, in secondo luogo nel prodotto di quel gesto. Tra i vari gesti simbolici della Settembrini, quello di raccontare e assemblare la tela riassume il concetto di rappresentazione dell’infinito. Questo atto si impone come azione di ricerca e apertura verso uno spazio fisico e reale (il bosco, il giardino, la siepe, i fiori, l’orizzonte, l’accavallarsi infinito di ore e giorni) anche se infinito. La superficie stessa dei teleri, tra vuoti e pieni, come scenari aggettanti, è entrata in rapporto diretto con lo spazio e la luce reali. Tutto è qui giocato su collage-dècollage, su racconti di simbologie mitizzate, con cui, specie la luce radente, sottolinea le soluzioni di continuità. “In-finitum” è non solo ciò che è senza fine, illimitato; ma anche non-finito, incompiuto. Visioni che mettono in gioco le categorie del tempo e dello spazio. Ecco che con i teleri espressi e lavorati da Marisa Settembrini ci viene proposto con questa mostra “Omaggio a Leopardi” sia un viaggio alla ricerca del concetto di infinito nelle sue diverse accezioni, che ad esperire il senso cosmico dell’infinito e il prevalere della natura su tutto, come nel caso dell’installazione del bosco-siepe, spoglio e disadorno ma anche vegetante.
Carlo Franza