Omaggio a Pinuccio Sciola. Ascoltando le pietre. Il ricordo in un concerto all’Orto Botanico di Brera giovedi 6 giugno 2019, per il Festival Suono e Arte 2019 .
SUONO E ARTE 2019 – 11 CONCERTI TRA CLASSICA E CONTEMPORANEA
XXI Stagione dell’Associazione Gli Amici di Musica/Realtà fondata da Luigi Pestalozza
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI BRERA – Via Brera 28, Milano
PRESSO L’ORTO BOTANICO DI BRERA
GIOVEDÌ 6 GIUGNO 2019, ORE 15,30
A cura del Corso di Storia della Musica e del Teatro Musicale, Prof. Roberto Favaro
Ingresso libero fino a esaurimento dei posti – IN COLLABORAZIONE CON L’ORTO BOTANICO DI BRERA
ASCOLTANDO LA PIETRA. Omaggio a Pinuccio Sciola .
Concerto per Pietre sonore, fiati, percussioni ed elettronica
ANTONIO DORO
Postludium a “Contra Guerra Sonos” (2019)
Per percussioni intorno a pietre sonore di Sciola, flauto, clarinetto in sib, sintesi elettroacustica e suoni concreti. Voce-testimonianza di Luigi Pestalozza
FABRIZIO CASTI Resonances (2019)
Per flauto, suoni elettronici e pietre sonore ad libitum
MARCELLO PUSCEDDU Pin (2019)
Per flauto in sol, clarinetto in sib e pietre sonore
Concerto a cura di ICARUS ENSEMBLE: Giovanni Mareggini, flauto; Martina Di Falco, clarinetto; Gabriele Genta, percussioni; Francesco Pedrazzini, percussioni; Matteo Rovatti, percussioni
“C’è un patto tra Pinuccio Sciola e le pietre in Sardegna, tant’è vero che assomigliano l’uno alle altre come due gocce d’acqua. Deve essere la ragione per cui le pietre si lasciano fare di tutto da lui: tagliare, perforare, frammentare. Riesce perfino a farle suonare”(Renzo Piano). Utilizzo questa frase di Renzo Piano per dire che finalmente si parla di un grande e illustre artista italiano che io conobbi nei primi anni Settanta, e lo fa l’Accademia di Brera con questo concerto in suo onore, visto che faceva parlare le pietre con suoni inconfondibili. Se ne parla oggi come anche dell’altra artista sarda che è stata Maria Lai, due figure del nostro tempo e dell’arte contemporanea. Pinuccio Sciola oggi non c’è più, ma il paese-museo del cagliaritano, San Sperate, attira curiosi, turisti e artisti. Qui, in vita, il maestro continuava la sua produzione artistica, incentrata sulla realizzazione di pietre sonore e del giardino-museo che esiste da quarant’anni e da due è fruibile, con tanto di guide ed eventi, ai curiosi e agli appassionati. E’ in questo giardino che si ammira uno spettacolo unico al mondo, specialmente al tramonto, quando si accende il fuoco tra le sculture sonore e gli alberi di arancio.
È stato proprio il celebre architetto genovese, suo amico, ad accostare alle pietre di Sciola un termine che è solo apparentemente bizzarro: immaterialità. “Sai cosa sto facendo? – chiedeva mentre sfregava le mani davanti a una pietra levigata – Sto accordando le mani e sto facendo una preghiera. Credo sia la cosa più naturale del mondo, pregare per il sole e per le pietre, le due energie che giustificano la presenza di questo pianeta nell’universo. Ascolta il perché…”.Il maestro, mentre rifletteva a voce alta e lavorava : “Ci hanno sempre venduto la pietra dura, rigida, muta. Mi sapete dare una definizione di pietra? Per cosa è usata oggi? Eppure la tecnologia informatica nasce dalla pietra. Essa è elastica, ha un suono in sé. Io mi limito ad accarezzarla. Questi suoni, insiti dentro la materia, sono liquidi semplicemente perché è una pietra calcarea, cioè acqua fossilizzata, per questo a suonare è la memoria. La pietra non è materia morta, è vivissima”.
Il calcare usato da Sciola arrivava da Orosei. Per un importante festival nel nord Italia, Sciola portò ugualmente le pietre dalla Sardegna: «Nelle Dolomiti non avevo trovato quelle che mi servivano, perché tutta la catena delle Alpi è tra le più giovani d’Europa. Discorso diverso per la Sardegna, che è una terra emersa. Un detto del Sud America recita così: “Quando è nata la luce, la pietra già esisteva”. La mia attività non è nient’altro che la continuità della cultura della pietra che c’è stata in Sardegna”. E’ così che la pietra diveniva trasparente, si spostava per centimetri, era elastica, cambiava colore a seconda dell’esposizione della luce. Sciola la accarezzava, ne faceva suonare la memoria, la faceva cantare.
Ecco un testo poetico dello scultore sardo: “Quando non ero e non era il tempo – Quando il caos dominava l’universo – Quando il magma incandescente celava il mistero della mia formazione – Da allora il tempo è rinchiuso da una crosta durissima – Porto con emozione i segni della civiltà dell’uomo – Il mio tempo non ha tempo”. E ancora Sciola a dire: “Mi son chiesto: se la pietra ha un potenziale mnemonico, perché non può avere un suono? Quando la sfioro, con la coda dell’occhio vedi che molti si rimboccano le maniche, a volte piangono. Qua si stanno ribaltando molti concetti acquisiti da tempo. Io so di avere una missione – confidava lo scultore – quella di ricreare un nuovo rapporto con la natura. E so che chiunque, una volta che esce fuori dal portone di casa, avrà un nuovo rapporto con la natura”. Non aggiungo di più, perché oggi ricordarlo ci è caro, e questo concerto a Milano ad opera dell’Accademia di Brera e del talentuoso musicologo che è Roberto Favaro, sottolinea come la grande arte, la si ritrova già in natura, e la pietra che parla ci riporta indietro nei millenni e nell’antica storia dell’umanità.
PASSIAMO All’ EVENTO.
Così si è espresso il collega Roberto Favaro, musicologo e illustre docente dell’Accademia di Belle Arti di Brera: “ Le Pietre sonore di Pinuccio Sciola appaiono come straordinarie opere d’arte in costante e irrisolvibile oscillazione tra scultura, architettura e musica. Irrisolvibile è la domanda che viene da porsi, sempre, di fronte a questi lavori: sculture o strumenti? oggetti da vedere o manufatti da ascoltare? Le Pietre sonore di Pinuccio Sciola condensano in realtà, fin dal titolo, la duplice natura di elementi spaziali votati al suono e, al tempo stesso, di materia acustica che dichiara esplicitamente la propria fonte, la propria origine spaziale, materica, rocciosa. Dunque pietre che suonano, ma anche, specularmente, suoni pietrosi, suoni fatti di pietra, dalla pietra. La risposta al quesito è già perciò bell’e pronta nella titolazione stessa di queste meravigliose invenzioni di Sciola, risposta offerta alla deliberazione del fruitore comune, del musicista o dello studioso che in modo del tutto autonomo scelgono a quale dei due termini affidare la propria esperienza artistica e recettiva.
Resta il fatto che le Pietre sonore sono sculture che suonano, che producono concretamente e secondo diverse modalità esecutive una viva e ben udibile materia sonora; e al tempo stesso non c’è dubbio che sono “machine da sonàr”, come le chiamerebbe Luigi Nono, veri e propri strumenti musicali dotati di una meravigliosa qualità estetica, architettonica e plastico-scultorea. Adottando le parole di John Cage, con queste Pietre l’artista scopre “mezzi con cui i suoni possano essere se stessi invece che veicoli per le teorie create dall’uomo oppure espressioni di sentimenti umani”. Scopre mezzi, insomma, che consentano “di lasciar andare i suoni là dove essi vanno e di lasciarli essere ciò che essi sono”. Perché, al fondo di tutto il progetto (scultoreo e musicale) di Sciola, c’è la poetica della liberazione: del suono, innanzitutto, imprigionato da milioni di anni in questa materia dura, maldisposta a farsi ascoltare, gelosa della propria voce pietrificata al tempo della formazione stessa della roccia basaltica o calcarea; e liberazione dell’ascolto, portato a riconoscere e tutelare nella realtà l’esistere libero e incondizionato di quegli stessi suoni finalmente emancipati. Ma liberazione anche dell’opera, della massa rocciosa che dopo l’intervento transitorio di Sciola, dopo il suo contributo dato al lavoro inesausto della natura e del tempo, ritorna nella disponibilità piena del mondo e di chi lo abita.
Verrebbe già da dire che queste opere sono dunque insieme sculture e strumenti, anzi, che sono sculture così costruite (visivamente e plasticamente) proprio per concedere al mondo il dono di quella voce così speciale, e che quella voce è così speciale perché l’opera scultorea, specialissima anch’essa, ne condiziona e costituisce l’esclusiva identità vocale. Quelle forme determinano il suono, anzi, quel suono. E quei suoni inducono la materia pietrosa ad assumere quella particolare forma, quel rapporto tra pieno e vuoto, tra presenza dell’opera e assenza definita dall’intorno vuoto del fuori di sé, dell’oltre da sé. Più precisamente, la forma del solido incide sulla fisica del suono. Quest’ultima restituisce la cortesia, indirizzando la scienza della costruzione a dirimere le proprie strategie architettoniche. Forse poche volte come nell’opera di Sciola vale l’assunto di Goethe secondo il quale l’architettura è “musica pietrificata”.
Questa disposizione dell’arte di Sciola a stimolare variegate modalità di ricezione polisensoriali, si innesta d’altra parte in uno dei percorsi più attraenti e stimolanti delle vicende artistiche, estetiche e musicali degli ultimi cento e oltre anni, almeno da quando, sull’onda della problematica e dirompente proposta wagneriana di un’opera d’arte totale, le prime avanguardie letterarie, poetiche, visive e sonore a cavallo tra ‘800 e ‘900 hanno iniziato a esplorare i territori di intersezione tra i linguaggi artistici e a indicare l’opportunità di una inter-penetrazione o reciproca sollecitazione tra parola, segno, suono, spazio, colore, luce. Ma anche in questo pur ricco panorama di nobili e affascinanti precedenti, l’opera di Sciola mostra tutta la propria originale unicità fondata sull’incrocio e sul riflesso tra mondi artistici diversi, sull’attrazione reciproca tra forme di espressione umana anche distanti, sull’attivazione di reazioni e orizzonti nuovi, altri: sculture che si suonano; oggetti sonanti che si lasciano guardare come sculture; strumenti musicali che definiscono spazi inediti di architettura sonora; sculture-case-strumenti che le persone possono infine vivere, abitare, eseguire nella pienezza di un rapporto intenso, carezzevole, anche drammatico ed espressivo; superfici audio-tattili, in cui il piacere di accarezzare (o percuotere, sfregare, pizzicare) accende il dispositivo acustico naturale della pietra, liberando il suono imprigionato dentro di essa.
Non vi è dubbio che le Pietre sonore implicano una visione aperta e moderna dell’idea di musica, un orizzonte esteso, grandangolare, arieggiato, proteso a guardare non solo in avanti, verso il futuro dell’arte sonora, ma anche intorno a sé, in territori altri, nei luoghi dell’altrove musicale e culturale. E anche all’indietro, verso le massime lontananze della storia umana e delle sue forme di comunicazione sonora. O ancora più indietro, fino ai suoni primordiali del mondo quando non era ancora mondo. Chi ascolta i fantastici suoni delle Pietre sonore, d’altra parte, non può non recepire immediatamente la singolare, emozionante coesistenza di tre universi di tempo e di storia tra loro distantissimi: la contemporaneità, con il suo slancio inventivo spinto verso il futuro musicale; la preistoria, con le modalità archetipiche e antropologiche di significare e comunicare attraverso il suono; il tempo pre-culturale della natura sonante, accolta qui nelle sue dimensioni ancestrali del tempo quasi incalcolabile delle origini del mondo. Sulla linea del moderno, la concezione musicale cui fa pensare l’arte di Sciola rinvia – oltre che alle ramificate tesi sulla sinestesia di cui si è già detto (dopo Wagner, Mallarmé, Baudelaire, Kandinskij, d’Annunzio, ecc.) – almeno ai primordi delle avanguardie storiche dove si vanno gettando le basi di un pensiero e di una visione della composizione musicale aperti ai materiali e agli spazi extra-musicali, al rumore, al coinvolgimento del paesaggio sonoro, alla dimensione degli ambienti aperti, en plein air, all’abbraccio con la natura sonante. Claude Debussy pensa a “un’arte libera, zampillante, un’arte d’aria aperta, un’arte a misura degli elementi, del vento, del cielo, del mare”, tanto che ogni musicista non dovrebbe “ascoltare i consigli di nessuno se non del vento che passa e ci racconta la storia del mondo”. L’arte musicale di Pinuccio Sciola, veicolata dalla sua creazione scultorea, si insinua in questo solco – lontano cronologicamente, ormai, ma ancora assai presente e avanzato – di pensiero e di pratica musicale, agganciando lungo il suo corso anche altre idee e altre visioni spazio-sonore. Del Futurismo, per esempio, o di John Cage. Non si può evitare di pensare infatti, guardando e ascoltando le Pietre sonore, alle parole del musicista americano, là dove, auspicando la scoperta di “mezzi con cui i suoni pos-sano essere se stessi”, e ricordando che “le emozioni degli esseri umani sono smosse di continuo dagli in-contri con la natura”, indica nel 1939 la musica percussiva come la via rivoluzionaria per la nuova musica.
Le pietre sono spazi sonori che ci invitano ad ascoltare meglio e di più, ad allargare l’orizzonte, a tendere l’orecchio, a vivere lo spazio che abitiamo anche per gli indizi sonori che ci racconta, per i consigli che ci dà, per le storie che ci tramanda. Queste opere sono, infine, pietre-orecchio, sono il nostro orecchio, una sua protesi rocciosa, e ci insegnano ad ascoltare il mondo, ad ascoltare noi stessi e gli altri. Ci insegnano a essere ascoltati.”
ANTONIO DORO Postludium a “Contra Guerra Sonos” (2019), per 5 set di percussioni intorno a pietre sonore di Sciola (3 esecutori), suoni risonanze di flauto e clarinetto in sib, sintesi elettroacustica per campi relazionali e suoni concreti. Voce-testimonianza di Luigi Pestalozza
Questa musica nasce su invito di Roberto Favaro e dell’Icarus Ensemble. Per le circostanze in cui nacque e la presenza di Luigi Pestalozza che scrisse e lesse dal vivo una sua toccante testimonianza contro la guerra, alla prima esecuzione, Contra Guerra Sonos, azione-ascolto in una forma-tempo discontinua, era giusto che trovasse qui, a Milano, in questa occasione, una sua continuazione, un postludium. Grazie a Pestalozza, che accolse la mia idea con entusiasmo, le pietre sonore di Sciola suonarono per la prima volta a Milano, per La Scala, in Luigi Nono gewidmet. La peculiare impostazione della partitura soggiace, come per quasi tutti i miei lavori, a forti limiti di discontinuità temporale e di bassa correlazione lineare delle catene di suoni. Più propriamente, dall’impiego del testo alla sua unione con i suoni strumentali e alla loro distribuzione nello spazio, tutto dipende dalla nozione teorica di campo relazionale, per sua natura connessa all’idea di un tempo non assoluto, ma legato al microtempo delle relazioni strutturali minime. I suoni elettroacustici sono in larga parte generati come uno studio sulle influenze paraquantistiche del tempo estremamente piccolo sulla natura del suono stesso. “La guerra è un’invenzione dei dominanti, fin dall’inizio dell’uomo. Da quando anche dalla loro parte ci furono i sottomessi, gli uomini costretti a farla. Così la guerra annulla l’idea e la prassi dell’uomo che vive prima di morire. Riguarda la morte prima della vita. E io infatti ho capito da partigiano perché la guerra non va fatta, non perché in guerra si nuore ma perché in guerra si uccide” (Luigi Pestalozza).
Antonio Doro. Nato a Sassari nel 1958. Studi di composizione con Franco Oppo al Conservatorio di Cagliari. Musica elettronica con Alvise Vidolin al Conservatorio di Venezia. Brevi periodi di formazione a Darmstadt nel 1982 e presso il CSC dell’Università di Padova, nel 1983 e nel 1987. Ha scritto musica da camera, elettronica, per orchestra e per il teatro musicale. Dal 1983 le sue musiche sono presenti in varie rassegne nazionali e internazionali (Antidogma, Torino; Spaziomusica, Cagliari; The Gallery Series Bucknell University, Lewisburg; Internationale Ferienkurse für Neue Musik, Darmstadt; Musica Presente-Musica in Europa e Metafonie, Musica/Realtà-Teatro alla Scala, Milano; e ancora Madrid, Lyon, Montreal, Bourges, Parigi, ecc.). Su proposta dell’etnomusicologo Pietro Sassu ha collaborato in diverse circostanze con Pinuccio Sciola: Luigi Nono gewidmet, fu eseguita al teatro alla Scala nel 1999. Si è largamente occupato di teoria e metodologia della composizione e del problema dei fondamenti nelle teorie della musica classiche e contemporanee, pubblicando articoli e saggi su riviste di studi musicali, su volumi collettivi e agli atti di convegni. È stato fra i fondatori del CERM (Centro Ricerche Musica e Sperimentazione Acustica) di Sassari e suo direttore, ed è fra i fondatori di Archivi Sassu, in cui coordina il SeLM (Segmento di Logica e Metodologia dei Sistemi Compositivi). Negli anni ‘90 il CERM si è affermato per la originalità dell’impostazione. Dagli anni 90, su invito di Luigi Pestalozza, fa parte del Comitato di Redazione di Musica/ Realtà. È stato per molti anni titolare di Teoria dell’Armonia e Analisi al Conservatorio di Sassari, in cui ha fortemente contribuito alla ideazione e realizzazione di iniziative di studio e di esecuzione per la musica contemporanea. Dal 2018 è docente al Conservatorio di Musica di Palermo in cui svolge vari insegnamenti teorici e analitici.
FABRIZIO CASTI Resonances (2019), per flauto, suoni elettronici e pietre sonore ad libitum
Resonances è un progetto che indaga i due paradigmi compositivi oggi disponibili: astratto (strumenti acustici, interpreti, compositore, partitura); concreto (tecnologie di registrazione, riproduzione, manipolazione e montaggio del suono su supporto) nell’intento di realizzare un’opera che contempli, per la sua realizzazione, la loro compresenza paritaria. Questo sonoro è poi perturbato da suoni situati altrove, come i suoni materici delle pietre di Sciola che nel loro sonoro accolgono il rumore oggettivo del mondo – il rumore assordante delle emozioni; i percorsi invisibili dei pensieri; espressione di un nuovo ordine; punti di vista e atteggiamenti verso la vita. Il progetto è stato realizzato in stretta collaborazione con Elio Martusciello.
Fabrizio Casti. Nato a Guspini (CA) nel 1960. Il suo lavoro musicale deriva essenzialmente dalla compo-sizione con gli strumenti acustici ma lavora anche con strumenti e live electronics nell’improvvisazione. Ha partecipato con commissioni, inviti e performance a Festivals e Rassegne nazionali e internazionale. Ha studiato composizione a Cagliari con Franco Oppo e musica elettronica a Venezia con Alvise Vidolin. È Direttore Artistico della Associazione Spaziomusica che con le sue attività si occupa di produzione, promozione e diffusione della musica e delle arti performative contemporanee. Sue musiche sono pubblicate da RaiTrade, dalla Ricordi e da Ut Orpheus e incise da ECM, da Die Schachtel, da Stradivarius, da Nuova Fonit-Cetra, da Spaziomusica, da LIMEN, da Nuova Era e da Warsaw Automn. È docente presso il Conservatorio Statale di Musica di Cagliari ed insegna Elementi di Composizione e analisi musicale nel Corso di Didattica della Musica, Analisi delle forme compositive nel Corso di Musica Elettronica.
MARCELLO PUSCEDDU Pin (2019), per flauto in sol, clarinetto in sib e pietre sonore.
Marcello Pusceddu, nato nel 1956 ha studiato composizione con Franco Oppo nel Conservatorio della sua città. I suoi lavori sono stati eseguiti in numerosi festival internazionali di musica contemporanea. Nel 1991 con “Cuncordia” ispirata alla tradizione vocale della Sardegna, in seguito incisa con l’Orchestra del Teatro Lirico di Cagliari, ha vinto il concorso di composizione Ennio Porrino. Nel 1999/2000 è stato consulente musicale per il progetto transnazionale SIMETNICA organizzato dai GAL del Montiferru (Sardegna), Salento (Puglia), Irlanda e Bretagna. Su commissione ha scritto nel 2000 per l’ Archaeus Ensemble di Bucarest, “Tokau” che elabora elementi ritmici della ritualità bizantina-ortodossa; nel 2004 “Missa Eulalie” dove antiche tecniche vocali e compositive si fondono con l’elettronica dal vivo; nel 2007 “Jubilate Deo” per soprano e doppio coro di sassofoni per l’inaugurazione della cattedrale di Noto restaurata; nel 2010 “Genesis” per coro femminile, 2 pianoforti e percussioni su testo in lingua sarda. Ha tenuto conferenze sulla musica contemporanea e il suo rapporto con le tradizioni popolari in Irlanda, Bretagna, Argentina, Messico e Giappone. I suoi ultimi lavori cameristici sono pubblicati da Sconfinarte. E’ membro dell’Unione Compositori e Musicologi della Repubblica Moldava. Insegna Storia ed Estetica musicale al Conservatorio di Musica G. Pierluigi da Palestrina di Cagliari. E’ Presidente dell’Associazione Spaziomusica e direttore musicale dell’Ensemble multimediale Dark Project che recentemente ha effettuato concerti nella penisola, in Sicilia, Finlandia e Tunisia.
Icarus Ensemble nasce nel 1994. Ensemble di livello internazionale è stato più volte presente nelle Americhe (Messico, Argentina, Stati Uniti), Asia (Giappone, Indonesia), Africa (Egitto) e naturalmente Europa (Olanda, Belgio; Inghilterra, Svizzera, Croazia, Francia, Germania, Azerbaijan, Lituana, Irlanda, Romania, Moldavia, Russia. In Italia ha suonato per quasi tutte le maggiori istituzioni e festival. I loro concerti sono stati trasmessi dalle reti nazionali italiane, giapponesi, messicane, argentine, olandesi, francesi, svizzere, rumene e azerbaigiane. Hanno inciso per Ricordi, Stradivarius, Bottega Discantica, Sincronie, Ariston, Spaziomusica.
Con il sostegno di SIAE – CLASSICI DI OGGI 2018-19
Biografia di Pinuccio Sciola (1942-2016) è stato uno dei maggiori artefici della scultura contemporanea, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. A Firenze, nel 1964, frequenta il Magistero d’arte e a Salisburgo l’Accademia Internazionale (Sommerakademie), dove segue corsi di Kokoschka, Minguzzi, Vedova e seminari di Marcuse. Viaggiando per l’Europa conosce vari artisti fra cui Aligi Sassu, Giacomo Manzù, Fritz Wotruba e Henry Moore. Nel 1967 frequenta l’Università di Moncloa a Madrid; in questo periodo studia le pitture rupestri delle Grotte di Altamira. Nel 1973 è invitato dall’Unesco a recarsi in Messico. Qui incontra il maestro muralista David Alfaro Siqueiros, ne apprende i segreti e collabora ai grandi murales nel popoloso quartiere Tepito. Nel 1976 partecipa alla Biennale di Venezia. Nel 1983 viene invitato al Festival dei Due Mondi di Spoleto. È presente con le sue opere alla Quadriennale di Roma, a Barcellona, Parigi, Vienna ecc. e tra l’86 e l’87 nei musei d’arte moderna di varie città della Germania. Vicino a Stoccarda, nel centro storico di Kirchheim Unter Teck, una sua scultura viene posata come prima pietra del Parlamento Europeo. Nel 1996 la sua ricerca personale sulle pietre e la loro natura intrinseca, e le tecniche di incisione sperimentate lo portano verso una musicalità della pietra. Le pietre sonore, presentate per la prima volta nel 1997 a Berchidda (il paese natale del musicista Paolo Fresu), in Sardegna, sono state poi esposte nel 1998 alla Biennale europea di Niederlausitz presso Cottbus in Germania, nel 2000 all’Expo Internazionale di Hannover e a L’Avana. Due anni dopo il Müvèszet-Malom Szentendre di Budapest gli dedica una grande mostra antologica. Nel 2003, a seguito della sua collaborazione con l’architetto Renzo Piano, una sua gigantesca Pietra Sonora viene scelta per la Città della Musica a Roma; altre sue opere vengono esposte nella Piazza della Basilica inferiore di San Francesco ad Assisi e nell’Arsenale di Venezia. Le Pietre sonore di Pinuccio Sciola vengono esposte in tutto il mondo. Vengono organizzati concerti in cui queste sculture sono veri e propri strumenti musicali; esse sono fonte di ispirazione per artisti, musicisti e compositori.
L’evento “Omaggio a Pinuccio Sciola” ne sottolinea intanto l’intreccio delle arti, ed è poi un inconfondibile modo di leggere la storia, il tempo, l’arte e la vita dell’uomo.
Carlo Franza