Ricordo delle “Centoporte”. Il fascino dei treni degli anni ’20 delle Ferrovie dello Stato(1920-2020).Il 2020 è stato dichiarato l’anno del treno turistico.
“Il sole entrava dall’altro finestrino arrossando un rettangolo di tappezzeria.Fuori l’ombra dei vagoni era lunga, correva tutta quanta dove il grano cominciava a spuntare” ( Carlo Cassola, Ferrovia locale, 1968). Parole queste dello scrittore Carlo Cassola che mi riportano indietro negli anni tra il Cinquanta, il Sessanta e il Settanta del Novecento quando anch’io, con mia madre Ada Damiani e mio fratello Antonio, facevo uso abituale dei treni delle Ferrovie dello Stato da Loreto-Ancona a Lecce/Alessano, da Loreto-Ancona a Roma e viceversa, da Roma a Lecce/Alessano e viceversa, da Lecce/Alessano a Napoli e viceversa. Anni che mi riportano a quel modo di viaggiare vivendo le bellezze del paesaggio, ma anche la storia e la cultura del nostro Paese. Questo mio ricordo dei treni “centoporte”, come venivano chiamati, avviene oggi in occasione del 2020 anno del treno turistico, come ha dichiarato il Ministro per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo Dario Franceschini. Viaggi in treno,vecchie linee ferroviarie, binari senza tempo, attese in stazioni, addii e partenze, pianti e ricordi e luoghi del cuore lasciati. Che fascino quei treni del ‘900, locomotive e carrozze che costituiscono pezzi unici della nostra storia ferroviaria. Le “centoporte” esattamente 100 anni fa(1920-2020), divennero i veicoli simbolo del parco rotabili delle Ferrovie dello Stato. Proprio consultando l’orario ferroviario si trovavano le varie categorie dei treni, suddivisi per velocità e tempi di percorrenza. C’erano gli accelerati che fermavano in tutte le stazioni, poi i diretti che saltavano le fermate minori, i direttissimi che privilegiavano le soste solo nei grandi centri e i rapidi che erano veri “no stop” e univano i due capi di una linea con rarissime fermate intermedie.
Negli ultimi decenni tutto è cambiato e con l’arrivo dell’Alta Velocità e la regionalizzazione delle ferrovie abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione del sistema ferroviario italiano. Le stazioni minori sono state chiuse e le linee secondarie dismesse, in nome del maggior risparmio, scontentando da Nord a Sud migliaia di persone, sia turisti, sia pendolari che hanno visto mancare un mezzo di trasporto che non impattava nel traffico stradale, rispettava i tempi di percorrenza (salvo eccezioni) e riusciva a collegare angoli sperduti del Paese. Quando però tutto si pensava fosse perduto in nome dell’alta velocità e dei supertreni ecco che è sorta, quasi spontanea la voglia di “riutilizzare quei treni d’un tempo a scopo turistico”, magari a vapore, ma non solo, che sferragliando rumorosamente lungo tracciati abbandonati permettono di far godere dal finestrino delle carrozze paesaggi inconsueti e dimenticati e nel contempo di far gustare prodotti tipici del territorio. Anche il Ministero se n’è accorto, finanziando un programma di recupero delle ferrovie turistiche. Furono chiamate carrozze stile anni ’20, ma viaggiarono fino alla fine degli anni ’60 e oltre. Le ricordiamo con una bella livrea “verde vagone” e poi, dal 1935 con la più conosciuta “tinta castano isabella”, due toni di marroni, uno più chiaro l’altro più scuro- ed è quello che ricordo-, che caratterizzarono tutti i treni FS fino al secondo dopoguerra. Treni che abbiamo visto su scene del grande cinema, con quegli interni caratterizzati dalle lucide panche in legno, dai lampadarietti con le tipiche coppe bianche e le tendine ricamate, con il logo FS messo ovunque; quelle centoporte di metallo pesante e con le lamine esterne chiodate, che si sono aperte chissà quante volte in mille stazioni d’Italia(Lecce, Loreto, Bari, Fabriano, Ancona, Roma, Sulmona, ecc.), tra rumori, stridii di ruote ferrate, saluti, separazioni, addii, ecc.
Queste “centoporte” per buona parte vennero costruite (o meglio, ricostruite su vecchi telai del 1906) negli anni tra il 1931 e il 1939 e, dopo la guerra, tra il 1948 e il 1951 per treni locali di forte affollamento ed erano caratterizzate da undici porte per ciascuna fiancata, numero inconsueto che però permetteva la rapida salita e discesa dei passeggeri. Erano suddivise in prima classe (Az), seconda classe (Bz) e terza classe (Cz). Esistevano anche carrozze miste di prima e seconda classe (ABz) e le versioni bagagliaio (Dz) e bagagliaio – postale DUz. Quelle di seconda classe (Bz serie 36000) furono le più numerose: 1416 esemplari, di cui ora ne rimangono alcune decine utilizzate per convogli rievocativi. Ricordare la loro storia e come ripercorrere gran parte di quella del trasporto di persone dalle FS. La colorazione era dapprima quel verde vagone tipico della Rete Adriatica che fusasi con la Ferrovie Siciliane e la Rete Mediterranea aveva dato origine alle F.S., con cornici dei finestrini, telaio e carrelli neri e tetto grigio cenere. Nel 1935/36 venne introdotto il bicolore castano (per carrelli e parte bassa della carrozzeria) e isabella (per la fascia corrispondente ai finestrini, con tetto in alluminio). Nel 1961 a motivo della necessità di smaltire le scorte di vernici di magazzino, fu eliminato l’isabella restando solo il castano. Nel 1964 si passò definitivamente al grigio ardesia. La marcatura della classe, originariamente in giallo e poi bianco avorio, dapprima in numeri romani venne sostituita con numeri arabi dopo la guerra. All’interno i sedili, suddivisi in moduli da due posti attraversati da un corridoio centrale, erano di legno di forma anatomica ma senza poggiatesta: il totale dei posti a sedere era 78 in quanto ad una estremità della carrozza, in corrispondenza del volante di comando del freno di stazionamento, una panca era sostituita dal posto di servizio del capotreno. L’illuminazione era data da gruppi di lampade ad incandescenza situati al centro del corridoio: Il riscaldamento era a vapore o elettrico (scaldiglia) a seconda del tipo di motrice. Le due “ritirate” situate al centro della carrozza erano alimentate per gravità da un serbatoio d’acqua posto sul tetto, riconoscibile dal coperchio squadrato. Un aspetto curioso della evoluzione di queste carrozze riguarda il materiale impiegato per le maniglie delle porte e la minuteria metallica. Infatti a partire dagli anni ’30 a motivo della autarchia imposta dal Regime quei particolari inizialmente di ottone e bronzo vennero sostituiti con altri economici in lega di alluminio. La versatilità di queste carrozze è testimoniata dai vari utilizzi speciali cui vennero destinate.Tra il 1935 e il 1942 ne vennero derivati treni-ospedale militari, detti “tipo 1935”. Al termine della guerra le carrozze di quei pochi convogli che non furono requisiti come preda bellica (in Russia soprattutto) vennero riconvertiti alla originaria funzione tranne nove unità che vennero ammodernate e poi utilizzate per convogli speciali per il trasporto di ammalati verso luoghi di devozione famosi (Lourdes e altri). Altre unità, sempre durante la guerra, vennero trasformate in luoghi di ristoro per ufficiali e posti mobili di comando.Non va dimenticato infine a ulteriore riprova della versatilità di utilizzo di queste carrozze e della loro importanza nella storia ferroviaria del nostro paese, che costituirono anche il primo esempio di carrozza semipilota. Il problema da risolvere era semplice: velocizzare il servizio abbattendo i tempi di manovra per l’inversione di marcia per i treni (poi detti) navetta. La soluzione adottata fu quella di modificare l’ultima carrozza del convoglio con la creazione di una cabina di guida collegata citofonicamente con la motrice, e dotandola di fanaleria e di quant’altro necessario. Il primo esperimento venne fatto su una carrozza a tre assi tipo BDiy (mista seconda classe e bagagliaio) poi riclassificata npBDiy 68900. Il successo fu tale che dopo la guerra si passò alla trasformazione di numerose vettura a carrelli (tipo “z”) che rimasero in servizio fino agli anni ’80.Questo è quanto aveva l’Italia in quegli anni storici -anni indimenticabili per chi li ha come me realmente vissuti-, per collegare il Sud al Nord, per portare gli italiani a studiare nelle università sparse nella penisola, per fare emigrare in Svizzera e in Germania e nel Nord Italia(Torino e Milano) i tanti che cercavano lavoro, per chi con il boom economico incominciava a fare le prime vacanze, ed anche a trasportare in quei lunghi treni dell’Unitalsi i malati che si recavano a chiedere grazie e miracoli nei Santuari di Loreto-Santa Casa e Lourdes.
Carlo Franza