Piegare i santi. Inchini rituali e pratiche mafiose (Edizioni Marietti) in un libro del Professor Berardino Palumbo, Ordinario dell’Università di Messina.
Inchini mafiosi, anzi, inchini e vassallaggio ai capi mafiosi. Sottomissione delle persone e della religiosità al servizio delle famiglie mafiose. Una sorta di “rispetto” ai clan mafiosi. Esempi eclatanti li abbiamo avuti nel recentissimo passato con commistioni improprie di religiosità e criminalità, in taluni paesi del sud, dalla Sicilia alla Calabria. Come se i santi patroni dei paesi del Sud guardassero benevolmente questi criminali che hanno sulla coscienza decine e decine di morti e vessazioni di ogni tipo. Rendere omaggio ai boss della mafia o ai loro familiari facendo inchinare le statue dei santi durante le processioni è un aspetto della più ampia religiosità diffusa in molte aree del Mezzogiorno, ma anche in alcune realtà del nord Italia. Liquidato come gesto pagano e premoderno, esso in realtà richiede una lettura in grado di comprendere la complessa e più generale macchina rituale della festa. Le famiglie mafiose talvolta provano a controllare i tempi e i ritmi delle processioni religiose e, occupando una precisa posizione sotto le “vare”, decidere il movimento delle statue; possono gestire i tempi, i luoghi e le modalità dello sparo dei fuochi d’artificio (“masculiate”) e così rappresentare pubblicamente il proprio status sociale e i rapporti di forza tra uomini. Questi esperti manipolatori dello spazio pubblico guidano auto di grossa cilindrata, maneggiano armi e droga e investono in complesse operazioni finanziarie; non sono dunque gli attori di una società arcaica, ma esponenti del cosiddetto “casinò capitalism”. In più parti del Sud del nostro paese nel corso degli ultimi anni si sono verificati casi di commistione tra momenti rituali pubblici interni alla tradizione devozionale cattolica e presenza della criminalità organizzata. Tutto ciò nel libro “Piegare i santi” di Berardino Palumbo, Edizione Marietti 1820, pp.167, Euro 13,00, 1 edizione 2020.
Qualche esempio? Eccolo! In Calabria nel luglio del 2014, ad Oppido Mamertina, nella Piana di Gioia Tauro, il maresciallo dei carabinieri comandante della locale caserma che coordinava il servizio d’ordine durante la processione della statua della Madonna delle Grazie si allontanò dopo che l’effige fu fatta sostare, in segno di omaggio e di rispetto, davanti alla casa del boss Giuseppe Mazzagatti. Il sottufficiale inviò un’informativa alla Dda di Reggio Calabria e quell’episodio fece scattare l’intervento del Vescovo di Oppido Mamertina-Palmi, mons. Milito, che dispose la sospensione per tre anni di tutte le processioni religiose nella Piana di Gioia Tauro. Nella stessa diocesi, poco dopo quella di Oppido e prima del provvedimento del vescovo, c’era stata una processione del corso della quale la statua di san Procopio si era fermata davanti all’abitazione in cui abitava la moglie di Nicola Alvaro, 70 anni, detenuto da anni e ritenuto dagli investigatori un elemento di spicco dell’omonima cosca.
Episodi analoghi si sono verificati negli ultimi anni anche in provincia di Vibo Valentia. Due i casi più eclatanti, a Sant’Onofrio e a Stefanaconi. Nel primo centro, in particolare, “regno” della cosca Bonavota, su disposizione del vescovo, mons. Luigi Renzo, il “rito dell’Affruntata”, l’incontro nel giorno di Pasqua tra la Madonna ed il Cristo Risorto, fu “commissariato” per due anni In occasione di una delle due interruzioni, le statue furono portate dai carabinieri, mentre la volta successiva a sostenere le effigi sacre furono i volontari della Protezione civile comunale, scelti in base a un sorteggio e dopo una disamina della loro fedina penale. Analoga procedura fu seguita per un anno, sempre su disposizione di Mons. Luigi Renzo, a Stefanaconi dopo la scoperta delle pesanti ingerenze da parte della cosca mafiosa Patania. Anche in quel caso i portatori furono estratti a sorte tra i volontari della Protezione civile.
Dunque, gli inchini, tanto che persino i santi si piegano -o meglio vengono piegati- ai criminali. Da sempre la criminalità organizzata utilizza simboli e riti religiosi per dimostrare il suo potere e ostentare al mondo la sua esistenza. Il santuario della Madonna della Montagna a Polsi (Reggio Calabria), nel cuore dell’Aspromonte è indicato in diverse inchieste della magistratura come luogo d’incontro – in concomitanza con la festa dell’1 e 2 settembre che richiama migliaia di fedeli – delle cosche di ‘ndrangheta per decidere di affari e strategie. Tanti anche gli “inchini” nel corso delle processioni: sono diverse quelle finite nel mirino degli investigatori per il sospetto di una strumentalizzazione da parte della ‘ndrangheta con gli “omaggi” rivolti alle abitazioni dei boss locali. La Conferenza episcopale regionale ha predisposto un vademecum nel quale sono contenute le direttive per i sacerdoti.
I casi in Sicilia. L’inchino è un’abitudine che sconfina anche nelle altre mafie: è del 2014 un altro caso in occasione della processione della Madonna del Carmelo nel quartiere Ballarò di Palermo, dove i padri carmelitani si sono dovuti difendere dall’accusa di aver fatto fermare il corteo per tributare “onori” a un boss in cella al 41 bis. Nel 2015, invece, a Paternò, nel Catanese, la processione durante i festeggiamenti di Santa Barbara, si fermò davanti alla casa di un esponente del clan Santapaola, in quel momento detenuto, che fu “omaggiato” sulle note della colonna sonora de “Il Padrino”. I commenti degli opinionisti e le reazioni dei protagonisti degli episodi, tendono a polarizzarsi intorno ad alcuni luoghi retorici; episodi che metterebbero in luce una religiosità non corretta, rispetto alla quale la Chiesa dovrebbe prendere energicamente le distanze; è che simili forme di devozione siano, in realtà, residui di paganesimo rimasti impigliati tra le maglie della religiosità popolare. E’ da chiedersi, cosa intendiamo per “religione”? Pratiche devozionali come l’auto flagellazione, la spogliata di neonati sotto le statue di santi patroni e Madonne, lo stesso posizionarsi sotto le statue durante i riti processionali, le gare di vario tipo messe in atto per giocare questo ruolo o l’annacata (ossia l’andatura oscillante che i portatori delle vare processionali imprimono alle statue durante le processioni e che, spesso, gli attori sociali leggono come un’affermazione di forza personale, sociale e “politica” da parte dei portatori) sono atti religiosi – come rivendicano con decisione coloro che li compiono – o semplici manifestazioni esteriori di una distorta concezione della fede cattolica, facilmente manipolabile dalla criminalità organizzata, se non addirittura esempi di superstizione – come una parte sempre più significativa della Chiesa cattolica sembra supporre? Simili pratiche, con riti e disposizioni emotive, le passioni incorporate che le rendono possibili e visibili sono indici di una società arrettrata. Spesso un capovara (colui, sempre maschio, che guida una macchina processionale e ne determina l’andatura) o la persona addetta a spogliare i bambini e sollevarli verso il Santo è un personaggio legato alla criminalità organizzata, cioè qualcuno che probabilmente spaccia e usa cocaina, maneggia armi sofisticate, si muove tra la Campania e l’Irlanda, ha le mani in pasta in complicate operazioni finanziarie e si sposta in Suv di ultima generazione. Come si fa a non vedere in lui una delle figure del nostro più che contemporaneo tardo capitalismo. Come rapportare ciò con l’arretratezza, la modernità e la “religione”? Nello scenario rituale, quel “mafioso” non solo compie quei gesti, ma li reputa anche sottolineandoli, atti devozionali, espressione di una religiosità che le persone che con lui danno vita a quelle scene sociali mostrano di condividere e comprendere. Il libro in questione che ha per titolo “Piegare i Santi” di Berardino Palumbo prova a rispondere a simili questioni, attraverso una prospettiva di analisi di taglio antropologico sociale; è un capitolo di pura e alta sociologia che dopo Ernesto De Martino trova in Palumbo un intellettuale singolare.
Eccolo il Sommario del libro in questione: Introduzione. 1. Tram e spazi sacri. 2. Tra inchieste ed etnografia. 3. Una religiosità contro la religione? 4. Le chiese di Catalfaro. 5. «Cento gocci di lacrime». 6. Pienamente moderni. 7. Conclusioni. Corpi, violenze e masculiate. 8. Bibliografia. Note sull’autore. Berardino Palumbo, professore ordinario di Antropologia sociale all’Università di Messina, è autore di saggi pubblicati sulle principali riviste scientifiche internazionali di antropologia. Tra le sue pubblicazioni L’Unesco e il campanile (Meltemi 2003) e Politiche dell’inquietudine (Le lettere 2009).
Carlo Franza