Raffaello. L’invenzione del divino pittore. Una collezione di stampe d’après Raffaello a Brescia nel Museo di Santa Giulia. Una mostra singolarissima fa conoscere il collezionismo bresciano.
Ho visitato la mostra proprio in fase di inaugurazione e ne ho ricavato l’idea che tale esposizione rende non solo grande merito al nome di Raffaello, ma ne fa ancor più grande il suo nome e il suo mito. Sta di fatto che questa mostra è una delle due, unitamente a due cataloghi e un programma destinato a tessere, tra Milano e Brescia, un itinerario dedicato all’eredità di Raffaello e a coloro che, nelle città lombarde, sono stati i lungimiranti custodi del suo mito universale. Ora, proprio sul finire dell’anno che ne celebra il cinquecentenario della morte dell’Urbinate – pur non avendo avuto il nostro in vita specifiche relazioni con il territorio lombardo – sono stati inaugurati tra Brescia e Milano, per poi allargarsi ad altri centri della Lombardia, una serie nutrita di appuntamenti in varie tappe, che, tra ottobre 2020 e marzo 2021, stanno celebrando l’artista attraverso l’eredità di alcune autorevoli figure lombarde. Le iniziative sono il frutto di un concerto di istituzioni – dalla Fondazione Brescia Musei al Castello Sforzesco, dall’Ateneo di Brescia all’Accademia Carrara di Bergamo, dalle Civiche Raccolte d’Arte di Palazzo Marliani Cicogna di Busto Arsizio all’Accademia di Belle Arti di Brera – destinato ad accogliere nuove adesioni. Tra gli eventi di punta si inseriscono due mostre fortemente incentrate sulla valorizzazione dei patrimoni bresciani e milanesi, che indagano la figura di Raffaello attraverso due protagonisti illuminati della stagione culturale ottocentesca lombarda: Paolo Tosio e Giuseppe Bossi. A Brescia, il Museo di Santa Giulia ospita fino al 10 gennaio 2021, la mostra Raffaello. L’invenzione del divino pittore, a cura di Roberta D’Adda, una collezione di stampe d’après Raffaello, realizzate in Italia e in Europa dall’inizio del Cinquecento alla metà dell’Ottocento, insieme a una scelta di dipinti e oggetti d’arte. La mostra abbraccia un periodo che, dal Cinquecento, si allunga fino a metà Ottocento, intrecciando il racconto della produzione incisoria con quello del collezionismo bresciano. Una grande e prestigiosa mostra che mette a nudo fogli e documenti di enorme rilevanza, fogli preziosi, incisioni rare. Un susseguirsi di incisioni e soprattutto di artisti che hanno contribuito a fare del maestro urbinate uno dei protagonisti indiscussi dell’arte italiana nel mondo. Ben seicento i fogli che gli appassionati bresciani avevano a disposizione per conoscerlo e dei quali poteva beneficiare lo stesso Paolo Tosio, noto collezionista bresciano, conquistato dall’arte di Raffaello dopo un soggiorno giovanile a Roma. È una narrazione visiva che va, dicevamo, dal Cinquecento e attraversa gli anni, fino a giungere all’Ottocento. Si inizia con alcune sale dedicate a Marcantonio Raimondi, incisore emiliano che riproduce in stampa i disegni di Raffaello, cioè le opere del pittore non trasposte su tela, grazie al lascito di Raffaello stesso che, alla sua morte, consegna al Baviera alcuni disegni per mantenere l’amata Fornarina, ma anche per garantire alla sua arte una promozione secolare attraverso le incisioni di artisti celebri come il tedesco Gruner. Non va dimenticato che il Cinquecento è il secolo della tecnica del chiaroscuro, sicchè l’incisione è più simile ad un acquerello. Raffaello muore fra grandi considerazioni e, con il sacco dei Lanzichenecchi, Roma si spopola: oltre a perdere i suoi artisti, Roma, la città eterna perde il suo primato. Gli artisti rimpatriati portano nei loro paesi la memoria di ciò che hanno visto. Ha inizio l’epoca delle incisioni di traduzione, derivanti dall’interpretazione delle opere pittoriche. Con il ’600 il baricentro artistico si sposta in Francia e cambia la tecnica di produzione. Il bulino viene abbandonato a favore dell’acquaforte, per cui la lastra viene incisa in maniera chimica e non meccanica. Questa forma d’arte diventa strumento politico trasformandosi in dono prezioso per re e papi: la mostra ne ospita una con dedica a Filippo D’Orleans. È il secolo di un gusto enciclopedico ed esagerato che si traduce nella produzione continua. In questo periodo Volpato e Morghen sono gli incisori più importanti, i protagonisti della sala definita ironicamente come «i musei vaticani» di Brescia. Volpato può considerarsi l’inventore del souvenir d’italie grazie alle incisioni realizzate come ricordo prezioso per il gran tour in Italia dei nobili europei. Le sue riproduzioni delle logge dei Musei Vaticani modificano il gusto europeo, facendo virare il rococò verso il neoclassicismo. A Morghen si deve la fortuna della «Madonna della seggiola», uscita dagli appartamenti privati di Palazzo Pitti soltanto grazie ad una sua incisione, modello per tutte le Madonne realizzate fino all’Ottocento. È proprio questo che la mostra accolta dal Museo di Santa Giulia vuole riconoscere all’arte dell’incisione: la sua capacità di trainare attraverso i secoli l’opera di un grande artista a nome Raffaello.
In mostra si leggono le incisioni di Marcantonio Raimondi, che fu il primo a dare il via alla divulgazione di immagini raffaellesche (con la collaborazione dell’artista stesso). La realizzazione di stampe d’après Raffaello da quel momento ha attraversato i secoli, arricchendosi gradualmente di innovazioni e conquiste tecniche nel campo dell’incisione. Come nel caso di Ugo Da Carpi (in mostra si vedono Morte di Anania e Cena in casa del fariseo), inventore del chiaroscuro a due o più legni, che restituisce una morbidezza all’opera tale da avvicinarsi all’effetto pittorico. “Le stampe costituiscono l’ordito su cui andò tessendosi la trama del mito”, ha dichiarato la curatrice Roberta D’Adda; “veri e propri surrogati degli originali (che prima dell’epoca dei musei e della fotografia erano alla portata di pochissimi), le stampe furono documento per i conoscitori, strumento di formazione per i pittori, oggetto di desiderio per i collezionisti e cultori del mito”. La visita si completa con un itinerario che tocca due importanti luoghi dell’arte in città: la Pinacoteca Tosio Martinengo, fondata dal collezionista Paolo Tosio, figura chiave nella diffusione dell’opera di Raffaello a Brescia, che ne custodisce due opere (Redentore e l’Angelo, entrambi frammenti esportati da una pala d’altare); e l’Ateneo di Brescia – Accademia di Scienze Lettere e Arti, che presenta una serie di stampe raffaellesche di grande formato realizzate da Giovanni Ottaviani e Giovanni Volpato. Ma che rapporto ebbe Raffaello con l’incisione? Sono molti gli incisori che, secondo la tradizione stabilita da Vasari, furono coinvolti dall’Urbinate nell’attività della sua bottega con il compito di tramandare la memoria e garantire la diffusione delle sue invenzioni.
In mostra a Brescia presenti stampe di Giorgio Ghisi, Carlo Maratta, Orazio Borgianni, Nicolas Dorigny.
A molti che si chiedono come mai una tal mostra a Brescia, rispondo che nell’Ottocento Brescia, grazie all’operato di Paolo Tosio e del suo circolo di conoscitori e artisti, divenne un nodo importante nella rete di relazioni che determinarono un rinnovamento romantico del mito di Raffaello. L’acquisto, nel 1821, del Redentore trasformò Palazzo Tosio in un polo d’attrazione, come prova un disegno giovanile del Piccio, un’impegnativa copia pittorica della Scuola di Atene realizzata da Giuseppe Bezzuoli. E per finire, a partire dalla fine di gennaio 2021, la mostra Raffaello. L’invenzione del divino pittore, partirà per una tournée che toccherà, nell’ordine, Zagabria, Tirana e Sarajevo. E’ la grande arte italiana che si muove nel mondo.
Carlo Franza