“Campi d’ostinato amore” di Umberto Piersanti ( La Nave di Teseo editore, pp.160, Milano 2020)  ultimo libro di poesia del poeta dell’anno 2020, come amo definirlo, è il risultato  più innovativo, più intenso  e più intimo  della poesia contemporanea. Un capolavoro di umanità, di poesia  divenuta canto italiano e del mondo,  versi che raccontano una storia di vita struggente -di un amico qual’è stato negli anni per me- ,   che arriva dopo cinque anni da “Nel folto dei sentieri”  che già allora aveva tutti sorpreso  per i versi  di poesia carichi di vita e dolore, di stringente storia quotidiana e una natura  -quella delle Cesane e dei Sibillini- capace di farsi ostensorio di un paradiso dove le stagioni raccontano,  parlano agli occhi con odori, colori e rumori, ricordi e atmosfere( ma davvero voi,mie Cesane/ sconfinate con la Galassia?/ Allora,  e solo allora,/ in un tempo/ remoto,/ remoto più d’ogni altra storia/ e vicenda/ e rade case/ giù per greppi e fossi/ e radi lumi/ dentro l’aria scura,…. E poi s’alza tutto/ lento nel cielo/ alberi,case, agnelli/ e l’intera Piantata,/il  Fontanino,/le Cesane immense/ su nell’aria/ oltre la luna/ che di giorno  appare/ ombra di nebbia chiara,/…). 

Non molti poeti di questi ultimi vent’anni di inizio del terzo millenio hanno raggiunto un così alto, complesso e articolato  esito  di scrittura e di realtà poematica,  lo stesso che Piersanti, tra le pagine di quest’ultimo libro “Campi d’ostinato amore”,  mostra con diverse componenti, da un lato  rimanendo attaccato ai moduli ritmici essenziali,  alle figure, alle radici e  alla natura che  avevano martellati i precedenti libri;  dall’altro,   allargando  oltre la misura dell’io  poetico  parlante lo spessore della sua ricerca, in una realta “altra”, spesso documentaria e visiva, vicina e lontana nel tempo e che  meditatamente  lo ha  messo davanti ai temi della elementare e disarmante passione civile, che ha poi caratterizzato  metaforicamente il senso e il linguaggio del suo lavoro. Motivato, carico, narrante, doloroso, interrogante, intriso di pietas lucida  e nella misura della quasi astrazione  naturale, il libro ottiene un largo respiro  nelle iterazioni  e nel modo della misura breve, nei brevi lampi che squarciano  le descrizioni di quel  mondo urbinate, disposto fra l’antico e il nuovo, e che si anima sempre esistenzialmente sul paesaggio o sulle cose vissute (vegelia, così chiamavi/ madre quel fiore/ dal calice allungato/ e dal profumo antico/ ai vetri solo/ somigliante,…”) , sullo spaesamento del viaggio, dei viaggi  nei campi e fra i boschi. E’ il corpo a corpo del poeta  messo alla prova, con la sua materia, di cavare scaglie di luce, senza nascondere  lo sconforto del nulla, del tempo che passa e consuma luoghi, amici, amori (terra di memorie/ l’età che s’inoltra,/di volti che s’affollano/ e vicende/ dinnanzi agli occhi/ e tremano nel sangue/ l’infanzia è la stagione/ più tenace/ e ogni altra /offusca/ e quasi oscura….ah! questa infanzia/ che negli anni s’inoltra/ e ti pervade,/ossessiona i tuoi giorni/ e un poco,/almeno un poco,/li consola/). Un percorso che ha la stessa energia  e valenza metaforica di una volta, pur includendo il suo minimalismo  e il suo epigrammismo  ragionativo. Talvolta  scavalca incisivamente  il precedente razionalismo  nella ben più espressiva  divaricazione  rimata di un “incipit”( “…e l’aria…e l’erba più verde/ e la più lieta, /e cielo e terra/…”)  con il giuoco delle rime  che si drammatizza ulteriormente, una divaricazione che si ripete e si rinnova  nel più esteso racconto in versi  di “La fonte dei due gelsi”, in cui l’apparentemente  ordinaria  gestione diaristica  urbinate  del paesaggio  fa da sfondo  a un ben più possente slancio  lirico interno, in cui il poeta batte e ribatte sul tempo  che  scuote una sorta di tempesta psico-sociale  che ha in qualche modo  coinvolto  l’essenza, il vissuto, l’inconscio del poeta.

Una intensa ventata  di protesta civile, di umori, una sorta di radicale  ripensamento  di tutto al lume di un presente che lo indigna e anche lo scuote. Ed è la stessa esistenza  dell’uomo in questo mondo  a costituire  il tema  vero del libro, a scavare le sue radici familiari , a ritrovarne in un certo senso il romanzo affettuoso e illuministico ad un tempo,  a specchiarvi anche le sue non esauste inquietudini, riassumendone le lezioni vitali. In questa sua incantevole arca familiare, i simboli e la storia,  le occasioni  che non sono affatto montaliane, ma riportano  le sue non più rimosse esperienze di bambino, l’immagine  tutta solidamente presentabile  della sua perduta tribù familiare, compresa la casa che ancora lo affascina (“L’antica casa”). Ecco il senso profondo  e la durata delle tre  poesie del capitolo “Jacopo”, la grande suite poetica  che fa da spina dorsale  e centro di questo libro – tra le le poesie davvero memorabili e compiute scritte negli ultimi decenni –  se non quello di coinvolgere  in un unico flusso  verbale a più livelli, la natura, i ricordi,  gli affetti , il dolore e l’esistenza. Per non dire di poesie più impegnative sul piano referenziale e autobiografico, piuttosto  che su quella della  vera e propria invenzione metaforica che spesso gli preme. Un intero universo che si articola fra diario, memoria, racconto in versi e recupero di figure, luoghi, eventi, occasioni,  piante,   animali, pensieri, provenienti ora da un’intera vita  che collega ad ampio raggio il passato e il presente.

Un discorrere  a momenti allegorico e generico, mentre altre volte  folgora nella propria invenzione  animalistica-allegorica (…giù nella macchia/ striscia una faina/ che il nido dell’averla/ ha scoperchiato,/ con la lepre/  tra i denti s’allontana/  la volpe rossa/ nei cornioli spogli/ e trema lo scoiattolo/ sul ramo/ il nibbio vola a cerchi/ alto nel cielo…);  un’inventività  che più spesso come in  “Fuga d’infanzia” e anche in altri testi,  si affida alla confidenza dei ricordi d’infanzia. Qui in questo libro  è presente un’espressività  che nella stratificazione  del suo quadro poematico-diaristico, tocca vertici lirici e simbolici di  altissimo livello,  bene al di là  di ogni appunto memoriale, come nella memorabile, fulminante, toccante  poesia “Campi d’ostinato amore( i cori che vanno eterni/tra la terra e il cielo,/ma tu li ascolti/Jacopo quei cori?… ma il tuo male/ figlio delicato, quel pianto che non sai/ se riso, stridulo/ che la gola t’afferra/…).  

Ne risulta l’immagine di  un libro  attualissimo, ricco di pagine e versi  sfumati e liricamente articolati, in cui la dimensione reale,  lo spessore,  nell’intreccio interattivo  fra il dentro e il fuori  di chi scrive, fra il privato e il pubblico del suo messaggio, lascia  vivere la qualità del vissuto e il sensitivo scatto dell’invenzione poetica. La maturità  sempre più inquieta  e profeticamente straniata  ha  portato in questo libro  di Umberto Piersanti un  movimento di immagini che sono il suo limbo numinoso e più dolcemente illuminato (quale millennio scorre/ per le strade, nei caffè della sera/ ragazzi dai jeans strappati,/ i volti così incerti/ e luminosi,/…. mentre guardi il Carpegna/ annuvolato, passi lento/  tra ornelli e ginepri,/ da forestiero cammini/ dentro il Presente.”),in cui il vivissimo talento figurale  ha saputo far trovare  i suoi narrati  in ritmi intensi e sospesi, tanto che questi “campi d’ostinato amore” sono l’esito più nuovo e sicuramente durevole, che apre e chiude nella sua interezza  il cerchio e la spirale  poetica piersantiana, di un poeta  che radicato nella sua terra originaria, da sempre e per sempre,   è  stato capace di tessere su un filo  ben personale, la macerazione d’amore, la scintilla immaginaria del cosmo.

 

Umberto Piersanti è nato ad Urbino nel 1941 e nella Università della sua città ha insegnato Sociologia della letteratura. Ha pubblicato numerose raccolte poetiche, tra cui La breve stagione (1967), I luoghi persi (1994), L’albero delle nebbie (2008), ed è anche autore di romanzi e opere di critica. Ha realizzato un lungometraggio, L’età breve (1969-70), tre film-poemi e quattro “rappresentazioni visive” su altrettanti poeti per la televisione. Le sue poesie sono apparse sulle principali riviste italiane e straniere, tra cui “Nuovi Argomenti”, “Paragone”, “il Verri”, “Poesia”, “Poetry”. In Spagna, nel 1989, è uscita l’antologia poetica El tiempo diferente e negli Stati Uniti la raccolta Selected Poems 1967-1994 (2002). Tra i numerosi premi vinti, ricordiamo il San Pellegrino, il Frascati, il Mario Luzi, il Ceppo Pistoia, il Tirinnanzi, il Camaiore e il Penne. È il presidente del Centro mondiale della poesia e della cultura “Giacomo Leopardi” di Recanati.

Carlo  Franza  

 

 

 

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