Da Magnasco a Fontana. Collezioni in dialogo Bassi Rathgeb – Merlini. La mostra al Museo Villa Bassi-Rathgeb di Abano Terme.
Moretto da Brescia a fianco di De Chirico, Baschenis con Severini, Soffici, Melotti, Guttuso, Parmiggiani o Dorazio. Magnasco e de Pisis, Morlotti, Fontana, ecc. “Seicento-Novecento. Da Magnasco a Fontana. Collezioni in dialogo Bassi Rathgeb – Merlini”, promossa dal Comune di Abano Terme nel Museo di Villa Bassi Rathgeb (dal 17 ottobre 2020 al 5 aprile 2021), offre spunti, stimoli, emozioni infinite. Cui concorre anche il “contenitore”, ovvero la Villa, con i suoi affreschi, stucchi, arredi. Virginia Baradel ha scelto di “entrare con il passo dell’amatore” nelle collezioni Bassi Rathgeb e Merlini. La prima, formata da tre generazioni di notabili bergamaschi, Alberto Rathgeb, Giuseppe Bassi Rathgeb e Roberto Bassi Rathgeb, venne donata da quest’ultimo al Comune aponense celebre per le cure termali, cui era legato da lunga e prediletta consuetudine. Una collezione eclettica con opere riconducibili alla vocazione familiare rivolta al ‘600-‘800 lombardo e bergamasco in particolare, che annovera inoltre sculture e reperti archeologici, argenti, mobili e arredi. Assai nota e celebrata è la collezione di arte contemporanea di Giuseppe Merlini formata da una galleria così ampia e cospicua di pezzi, da prestarsi a instaurare dialoghi e corrispondenze inedite con opere e luoghi di altre epoche. Pur nell’evidente diversità, le due collezioni tuttavia sono state formate entrambe con opere dettate dal gusto personale del collezionista e dai rapporti di stima e, spesso, di amicizia intrattenuti con gli artisti. Le due collezioni presentano il medesimo profilo di pregio artistico orientato esclusivamente dalla soggettività che nel caso di Roberto Bassi Rathgeb si estende anche a un approccio di studio e di riscoperta dei maestri vedutisti lombardi del ‘700. “Avendo come pregevole ed esigente interlocutore una villa d’impianto cinquecentesco, rimaneggiata e decorata in più epoche, con nobili spazi e notevoli affreschi, ho pensato di comporre -afferma la curatrice- un percorso intrecciato con le opere appartenenti alle due collezioni che consenta un viaggio nell’arte contemporanea italiana.” Gli affreschi delle varie sale (databili dal ‘600 all’800) offrono delle narrazioni così cariche di suggestioni, sia dal punto di vita tematico che pittorico, da porsi quale schermo privilegiato per incursioni di un contemporaneo che, nella diversità, esalta ulteriormente le qualità di entrambe”. Il percorso si snoda attraverso tre sezioni che prendono spunto da tre generi, Ritratto, Natura morta e Paesaggio, che sono presenti nella collezione aponense. Il Ritratto ci introduce al tema della figura, del soggetto particolare, esteso nell’arte contemporanea alla figura tout court, che subisce profondi mutamenti diventando oggetto delle sperimentazioni più ardite. Il ritratto della sorella di Cesare Tallone troverà stridente ma emozionante controcanto nella scomposizione di Donna e luna di Renato Birolli del 1947 e ne La moglie di Picasso di Enrico Baj del 1964: due busti femminili lacerati e incalzati da un segno potente che, minandone la compostezza ne carica la potenza espressiva e la arricchisce d’indizi concettuali. Nondimeno la modella in Lo studio di Achille Funi del 1942 mostra come l’eco del “Ritorno all’ordine” avesse ricomposto, con ben altra condotta di pittura, l’assunto della classicità. Il sublime incanto di Modigliani, nell’elaborato disegno in collezione Merlini, racconta altresì l’altro capo della classicità: il fascino del purismo linearistico della scultura primitiva. Il ritratto maschile trova nell’imprinting cinquecentesco del Moretto una plastica identità sociale, una fierezza di timbro e prestanza che eleva la fedeltà ritrattistica a canone di affermazione sulla ribalta del mondo, requisiti che nel Novecento precipiteranno nella coscienza dell’uomo “senza qualità”, come i piccoli uomini sperduti in una Piazza d’Italia di de Chirico, o nel relitto figurativo vagamente clownesco nelle composizioni di Sironi del dopoguerra, o nell’uomo baconiano di Ferroni. La Natura morta ci consente di entrare nel merito dei valori compositivi della pittura e dunque, partendo dalla natura morta di strumenti musicali del Baschenis della collezione di Villa Bassi, si snoda un percorso che vede in scena Soffici, Severini, Tozzi, Melotti, Guttuso, via via sino a Magnelli, Pirandello, Dorazio, Romiti, Parmiggiani; si passa dunque dal vigore sintetico di ascendenza cubista di Severini all’esuberanza coloristica di Guttuso, via via sino all’ossatura spaziale astratta che procede per linee geometriche e partiture cromatiche piatte. Ma è nel Paesaggio che la metamorfosi tra Natura e Pittura, che il collega Francesco Arcangeli definì come propria dell’Informale del suo “Ultimo naturalismo”, si compie sino in fondo. Partendo da una serie di paesaggi della collezione del Museo aponense dal ‘600-‘800, primi fra tutti quelli di Magnasco e Marini, Porta, Ronzoni, Fidanza, si svolge un nastro di progressiva e affascinante destrutturazione e mutazione delle forme da un lato nelle “viscere” della pasta cromatica, dall’altro nell’ordito della composizione che tende a raggelarsi in versione astratta. Dunque lo sguardo trascorrerà da Tosi e de Pisis sino a Morlotti e Mandelli da un lato, Rho e Radice dall’altro sino alle suggestioni eteree di Valentino Vago e Claudio Olivieri e allo spazio senza più traccia di pittura che affida alla pura fisicità della tela l’iniziativa della forma come in Fontana, Bonalumi, Castellani. Un angolo di silente sacralità è affidato alle piccole sculture di Wildt e Fontana.
Carlo Franza