In Giappone, per esempio, la bellezza è iniziatica, la si merita, è il premio d’una lunga e talvolta ricerca, è finale intuizione, possesso geloso. (Fosco Maraini, Ore Giapponesi). Il Paese del Sol Levante da sempre esercita un fascino magnetico sugli artisti occidentali, che in ogni tempo lo hanno raccontato attraverso immagini e parole.
La mostra  “In Giappone la bellezza è iniziatica”  aperta fino  2 maggio 2021, a Biella, riunisce tre artisti in sedi diverse che attraverso le loro fotografie e le loro opere indagano il concetto di estetica applicato al mondo giapponese, costruendo una lettura inedita, a cavallo tra passato e contemporaneo: Palazzo La Marmora ospita la mostra Ki Kyō del fotografo romano Olmo Amato, celebre per la sua capacità di unire in un’immagine il passato e il digitale e che ci pone di fronte a immagini di un Giappone lontano dai grattacieli e dalla tecnologia dominante. Nella stessa sede espositiva,  Endocosmo Maraini offre l’opportunità di godere di immagini spettacolari che il grande osservatore e narratore del mondo,  Fosco Maraini,  ha scattato durante la sua permanenza in Giappone. La terza esposizione, allestita presso la sede di BI-BOx, è Iris. Inverno (e poi sarà di nuovo primavera) e raccoglie delle opere inedite di Michela Cavagna, un omaggio alla cultura giapponese, dove silenzio e vuoto assumono un significato ricco di interpretazioni lasciate a chi le osserva. In Giappone la bellezza è iniziatica è un progetto di BI-BOx – APS a cura di Irene Finiguerra e realizzato in collaborazione con l’associazione StileLibero. Le tre mostre fanno parte del percorso espositivo Viaggio. Orizzonti, Frontiere, Generazioni  a cura di Fabrizio Lava.

 

KI KYŌ DI OLMO AMATO – Palazzo La Marmora (Corso del Piazzo, 19 – Biella). Il ciclo di fotografie di Olmo Amato, già conosciuto e apprezzato dal pubblico per la mostra Rinascite, continua con Ki Kyō, risultato del suo incontro con la cultura e le tradizioni del Giappone, sempre ricorrendo a fotomontaggi che sono la fusione di paesaggi contemporanei con immagini d’archivio, unita alla sapienza di una stampa su carta tradizionale washi, realizzata artigianalmente e adattata alla moderna tecnologia di stampa fotografica a getto d’inchiostro. Sono immagini di ambiente naturale (boschi di bambù, spazi verdi) che Amato ha fotografato in una lunga ricerca di luoghi incontaminati dove si trova il Giappone più antico, lontano dai grattacieli di Tokyo. Affascinato dalla profonda connessione dei giapponesi con la natura, egli ritrae luoghi evocativi, tra cui la celebre foresta di bambù di Arashiyama a Kyoto, per realizzare fotomontaggi secondo la sua personale poetica. Le figure femminili – tratte da album fotografici ritraenti il Giappone di fine Ottocento – sembrano così ritrovare le loro radici spirituali, al di là di tempo e spazio, grazie ad un’alchimia digitale.  Olmo Amato, fotografo e filmmaker dal 2010 si occupa di stampa fine art, post produzione e didattica. Nei suoi progetti personali, prevalentemente in bianco e nero, integra foto d’epoca all’interno di scatti da lui stesso realizzati viaggiando. Le sue opere sono state selezionate ed esposte in festival, gallerie e fiere d’arte contemporanea. Nel 2018 vince il premio Setup come miglior artista under 35, nel 2019 il premio Campolmi e il premio Malamegi Lab.

ENDOCOSMO MARAINI. IL GIAPPONE DI FOSCO MARAINI – Palazzo La Marmora (Corso del Piazzo, 19 – Biella) a cura di Nour Melehi e Mujah Maraini Melehi in collaborazione con Istituto Giapponese di Cultura di Roma, Alinari, Gabinetto G.P. Vieusseux, Aistugia. Le fotografie di Fosco Maraini provengono dall’archivio Maraini. Sono un percorso nella storia di una esperienza scientifica e di vita straordinaria quale è stata quella di Fosco Maraini (1912-2004) viaggiatore, etnologo, antropologo, fotografo, narratore, professore, orientalista, alpinista. Nel 1938 Maraini partiva – con lui la moglie Topazia Alliata e la primogenita Dacia – alla scoperta di nuove possibilità fuori dall’Italia (su di essa incombono gli spettri del Fascismo e del Nazismo) e all’incontro del suo, allora nascente, interesse per una pratica etnografica in terra d’Oriente. Quello che inizialmente può apparire come una destinazione casuale, una scelta dettata dalla necessità di lasciare il proprio paese, è in realtà frutto di un seme gettato nel suo animo fin dall’infanzia, grazie a certi racconti su affascinanti paesi lontani e letture compiute in casa da bambino. A Biella si propone una selezione di quaranta fotografie della grande mostra del 2018, a cura delle nipoti Nour Melehi e Mujah Maraini-Melehi, fortemente voluta dall’Istituto Giapponese di Cultura, con il contributo di Alinari e del Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Viesseux. Nour Melehi, dopo gli studi in Etnoantropologia, collabora con gallerie d’arte e istituzioni private e pubbliche, in Italia come all’estero, occupandosi di fotografia e intercultura. Dal 2009 dirige l’Associazione Fondo Alberto Moravia e coordina le attività della casa museo dello scrittore. Mujah Maraini-Melehi (regista-produttrice-sceneggiatrice) è cresciuta tra Marocco, Italia e Stati Uniti. Mujah si laurea in Lettere al Sarah Lawrence College di New York specializzandosi in Teatro con Shirley Kaplan e critica cinematografica con Gilberto Perez. Studia filmmaking alla Boston University, recitazione alla Royal Academy of Dramatic Arts di Londra, all’Actors Studio di New York e privatamente con John Strasberg e Allen Savage. Recita al Teatro La Mama di New York sotto la guida di Ellen Stewart. Continua a lavorare in teatro e televisione negli Stati Uniti, dove vive per oltre vent’anni.  Il documentario Haiku on a Plum Tree segna il suo esordio alla regia e il suo ritorno in Italia.

IRIS. INVERNO (E POI DI NUOVO SARÀ PRIMAVERA) DI MICHELA CAVAGNA – BI-BOx Art Space – Palazzo Ferrero (Corso del Piazzo, 25 – Biella) a cura di Irene Finiguerra.  “Nel mio giardino ho piantato dei bulbi di iris. E ogni anno senza che io li guardi o curi più di tanto loro mi regalano delle foriture magnifche… un giorno, osservando un grumo di foglie adagiate sul terreno gelido, ghiacciato, della mattina, mi è venuta alla mente la trasformazione a cui va incontro la natura durante il periodo invernale. Ho cominciato a pensare alla ciclicità della vita delle piante, al tempo del trasformarsi in humus per dare linfa alla nuova vita che verrà l’anno successivo, al tempo della gestazione per la rinascita”. Un riferimento implicito al momento che l’umanità sta attraversando.  Così Michela Cavagna racconta le sue incisioni su carta Kozo, con una ventina di opere inedite che costituiscono un omaggio alla cultura giapponese che spesso interpreta le stagioni e il loro scorrere nel tempo, dove silenzio e vuoto assumono un signifcato ricco di interpretazioni lasciate a chi le osserva.
I riferimenti ai principi estetici ed etici della cultura giapponese sono esplicitati nell’uso della stampa mokuhanga e nella tecnica sashiko del rammendo. Il BORO, l’arte che lo comprende, si fonda sul riutilizzo di vecchi tessuti rammendati per creare nuovi capi, elogia l’imperfezione, la sobrietà, il senso della circolarità delle cose, in questo modo si rimanda al concetto di rinascita.
Michela Cavagna nasce in un distretto industriale tessile, in gioventù sceglie l’architettura come forma di ribellione alla tradizione. Affascinata da figure quali quella di Anni Albers ed il laboratorio tessile del Bauhaus fonda nel 2009 una fucina tessile. Dal 2015 vive per quasi 4 anni in Indonesia e qui iniziano a prendere forma lavori influenzati e contaminati dalla cultura del Sud-Est Asiatico. A cavallo fra 2017 e 2018 è invitata a tenere una personale all’Istituto Culturale Italiano di Jakarta. Oggi tornata in Italia, crea opere in fiber art e con l’incisione mokuhanga grazie al suo amore per la cultura giapponese. Racconta delle sue paure, del rapporto con le figure femminili della sua famiglia, del suo stesso ruolo femminile, indaga il significato di parole come ciclicità, valore del passato, equilibrio.

 

  • Olmo Amato, fotografo e filmmaker dal 2010 si occupa di stampa fine art, post produzione e didattica. Nei suoi progetti personali, prevalentemente in bianco e nero, integra foto d’epoca all’interno di scatti da lui stesso realizzati viaggiando. Le sue opere sono state selezionate ed esposte in festival, gallerie e fiere d’arte contemporanea. Nel 2018 vince il premio Setup come miglior artista under 35, nel 2019 il premio Campolmi e il premio Malamegi Lab.
  • Nour Melehi, dopo gli studi in Etnoantropologia, collabora con gallerie d’arte e istituzioni private e pubbliche, in Italia come all’estero, occupandosi di fotografia e intercultura. Dal 2009 dirige l’Associazione Fondo Alberto Moravia e coordina le attività della casa museo dello scrittore.
  • Mujah Maraini-Melehi (regista-produttrice-sceneggiatrice) è cresciuta tra Marocco, Italia e Stati Uniti. Mujah si laurea in Lettere al Sarah Lawrence College di New York specializzandosi in Teatro con Shirley Kaplan e critica cinematografica con Gilberto Perez. Studia filmmaking alla Boston University, recitazione alla Royal Academy of Dramatic Arts di Londra, all’Actors Studio di New York e privatamente con John Strasberg e Allen Savage. Recita al Teatro La Mama di New York sotto la guida di Ellen Stewart. Continua a lavorare in teatro e televisione negli Stati Uniti, dove vive per oltre vent’anni. Il documentario Haiku on a Plum Tree segna il suo esordio alla regia e il suo ritorno in Italia.
  • Michela Cavagna nasce in un distretto industriale tessile, in gioventù sceglie l’architettura come forma di ribellione alla tradizione. Affascinata da figure quali quella di Anni Albers ed il laboratorio tessile del Bauhaus fonda nel 2009 una fucina tessile. Dal 2015 vive per quasi 4 anni in Indonesia e qui iniziano a prendere forma lavori influenzati e contaminati dalla cultura del Sud-Est Asiatico. A cavallo fra 2017 e 2018 è invitata a tenere una personale all’Istituto Culturale Italiano di Jakarta. Oggi tornata in Italia, crea opere in fiber art e con l’incisione mokuhanga grazie al suo amore per la cultura giapponese. Racconta delle sue paure, del rapporto con le figure femminili della sua famiglia, del suo stesso ruolo femminile, indaga il significato di parole come ciclicità, valore del passato, equilibrio.

 Carlo Franza

 

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