Buon compleanno Venezia. I 1600 anni della Serenissima, perla italiana che illumina il mondo.
Sono partite ieri, giovedì 25 marzo 2021, le celebrazioni per i 1600 anni della Serenissima. Tantissimi gli eventi che nel corso dei prossimi 365 giorni racconteranno la storia, le eccellenze e la cultura che hanno reso Venezia una città unica al mondo. Venezia è lì dalla sua fondazione, il 25 marzo 421, tra storie e meraviglie; una città dove le pietre si fanno acqua, il legno si trasforma in pietra e i lampioni hanno il colore del tramonto. Venezia è un luogo, una creatura che appartiene al mito, un miracolo che si rinnova ad ogni aurora, da oltre 1600 anni. Tante sono le primavere che ad oggi festeggia. Per ricordare la fondazione della «più antica città del futuro», questo lo slogan scelto dal Comune per l’occasione, ieri il Patriarcato di Venezia ha invitato tutti i parroci a suonare a distesa le campane, celebrando in modo doppiamente simbolico i suoi 1600 anni. Uno spettacolo sonoro che pochi hanno potuto vedere e sentire. I festeggiamenti il 25 marzo 2021 sono iniziati nella Basilica di San Marco, tra le autorità il prefetto di Venezia Vittorio Zappalorto, l’Assessore della Regione Veneto Francesco Calzavara in rappresentanza del Presidente Luca Zaia, il Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, il Presidente della Biennale di Venezia Roberto Cicutto, il Direttore Ufficio Regionale dell’UNESCO per la Scienza e la Cultura in Europa Anna Luiza Massot Thompson-Flores, Linda Damiano Presidente del Consiglio comunale di Venezia, Mariacristina Gribaudi Presidente della Fondazione Musei Civici di Venezia, e altre autorità, tra cui il Dott. Mattia Carlin Vicepresidente dell’Unione dei Consoli in Italia Ucoi e Francesca Zaccariotto già Presidente della Provincia di Venezia ed attualmente assessore ai Lavori pubblici, Edilizia e agibilità scolastica.
Sopraffatta da 25 milioni di turisti, da navi ammiraglie più alte del campanile di piazza San Marco, oggi Venezia ha ritrovato il silenzio, l’accento dialettale, i vogatori nella laguna. È tornata al suo splendore surreale, con l’acqua al posto delle vie, senza auto, biciclette o un monopattini. E ora, senza il via vai di vaporetti, sono tornati persino i delfini nel Canal Grande. Oggi alla sua veneranda età, Venezia è più bella che mai, e festeggia il suo importante compleanno per un anno intero, fino al 25 marzo 2022, con un ricco programma di eventi e con i suoi amici più stretti: i suoi abitanti, sempre pazzamente innamorati della loro Serenissima. Come spiega il sindaco, Luigi Brugnaro, saranno celebrazioni diffuse che andranno dagli Stati Uniti all’estremo Oriente passando per tutte le città italiane che ancor oggi si sentono idealmente legate a Venezia. Venezia, a dirla tutta, non vede l’ora di tornare ad accogliere i suoi viaggiatori, ma – lo dicono tutti i residenti – bisogna ricominciare in modo sostenibile. Una proposta interessante arriva da Toto Bergamo Rossi, architetto e direttore di, Venetian Heritage una fondazione no-profit che raccoglie ogni anno circa 2,5 milioni di fondi per la salvaguardia, il restauro e la valorizzazione dell’immenso patrimonio storico artistico della Serenissima; l’idea sarebbe gestire Venezia come il Louvre, con una cabina di regia in grado di controllare i numeri dei turisti, imponendo una prenotazione obbligatoria, in estate, per evitare l’invasione. In effetti Venezia è un museo, con un patrimonio artistico, architettonico e culturale di 1600 anni, ben conservato e aperto al pubblico. Da contemplare con il massimo rispetto, ma anche da godersi, sulle terrazze degli hotel di lusso ( un drink al Gritti e al St Regis o un pranzo in giardino al Belmond Hotel Cipriani), nei ristoranti tradizionali (i veneziani alla domenica amano andare a pranzo a Le Antiche Carampane) o a prendere un ombra de vin e qualche cichetto (traduciamo: vino e snack) nella zona dell’Erbario, ancora, a navigare nella laguna a bordo dell’Edipo Re, la barca su cui veleggiavano Pier Paolo Pasolini e Maria Callas: oggi, restaurata, organizza giornate tra le isole, con workshop sui prodotti tipici e la cucina a due stelle Michelin di Donato Ascani.Surreale quiete e silenzio da oltre un anno avvolgono la sua bellezza sempre più struggente, sospesa fra Oriente e Occidente, fra un mondo e l’altro. Le chiese, rimaste aperte, custodiscono tesori, infiniti capolavori, Fra Bellini, Tiziano, Tintoretto, Cima da Conegliano, Palma (che operò persino nella Collegiata di Alessano/Lecce), Veronese, Tiepolo, solo per citare quelli più noti. Venezia, patria di personaggi mitici come Marco Polo; Elena Lucrezia Cornaro, la prima donna laureata della storia; navigatori e scopritori di mondi come i Caboto; libertini come Giacomo Casanova; eppoi pittori, scrittori, musicisti con Vivaldi in testa; condottieri, eroi, imprenditori, intraprendenti commercianti. Qui trasuda l’arte del vetro, del merletto, dei tessuti, che ancora vengono fabbricati con telai manuali sul Canal Grande, dai Bevilacqua, eredi di una tradizione millenaria, e infine il suo leggendario carnevale. La leggenda, perché ogni città ne ha una, fa risalire la sua fondazione al 25 marzo del 421 in virtù di un documento dell’XI secolo, il Chronicon Altinate, nel quale è riportata la notizia della consacrazione di San Giacometo a Rivus Altus – da cui deriva il nome Rialto -, considerata da molti la prima chiesa di Venezia, e nel quale si legge che “Alberto Faletro e Tomaso Candiano, o Zeno Daulo, furono quelli sopredetta opera eletti, i quali insieme con tre principali gentiluomeni, andati a Riva Alta, l’anno sopradetto 421 il giorno 25 del mese di Marzo nel mezzo giorno del Lunedì Santo, a questa Illustrissima et Eccelsa Città Christiana, e maravigliosa fù dato principio ritrovandosi all’hora il Cielo in singolare disposizione”.
Leggenda a parte, secondo il Lorenzetti, autore di una delle migliori pubblicazioni dedicate alla storia della Serenissima, “Venezia e il suo estuario”, edita nel 1926, fra le paludi comprese fra Grado e Cavarzere, in mezzo alle quali è incastonata Venezia, “vivevano, fin dai tempi dei romani, povere e umili popolazioni, per lo più salinai, pescatori, orticoltori, conduttori di barche e traghettatori, cacciatori di palude, che vi conducevano la loro vita di stenti e di fatiche”. La trasformazione di questi piccoli isolotti lagunari in comunità abitate più stabilmente, avvenne fra il VI e VII secolo quando, per proteggersi dai Longobardi, le popolazioni dell’entroterra “costituiscono una provincia dell’Italia bizantina governata da magistrati dipendenti dall’esarca di Ravenna, formando un’associazione insulare che sarà la base del futuro Ducato Veneziano”. Dalle Fonti sappiamo che anticamente i centri della vita lagunare furono: Grado, dove era concentrato il potere religioso trasmigrato da Aquileia; Eraclea, oggi inabissata, sede del potere governativo; e Torcello, la più splendida di tutte, vivace emporio commerciale, della quale restano la splendida cattedrale dedicata a santa Maria Assunta, fondata nel 639 d.C., nella quale si conservano mirabili cicli di mosaici, compreso un gigantesco e spettacolare Giudizio universale, databile intorno al XII-XIII secolo; la chiesa di Santa Fosca, costruita a partire dal XII secolo; e il piccolo palazzetto del Podestà che ospita il grazioso piccolo Museo di Torcello nel quale è conservato il celebre Trono di Attila. Il primo “duca”, da cui ben presto deriverà la parola «Doge», venne nominato nel 697, quando l’aumento della popolazione da una parte, e la crescente pressione longobarda dall’altra, spinsero l’imperatore di Bisanzio a elevare di grado l’area veneziana. Sopravvissuta all’espansionismo di Carlo Magno e alla bellicosa incursione di suo figlio Pipino; passò nel volgere di pochi secoli, grazie alla sua potenza commerciale e marinara, dalla condizione di suddita a quella di preziosa collaboratrice dell’impero d’Oriente, e all’alba del XIII secolo «tramuta definitivamente il suo nome – Civitas Rivoalti – in quello ben più famoso di Venezia, toccando il suo apogeo.
Venezia è storia, entrata ormai nella leggenda e nell’immaginario del mondo intero. In piazza San Marco Ostro e Libeccio a turno fan vibrare le cime dei pennoni. Come un metronomo, scandiscono questo tempo rallentato. Dalla Torre dell’Orologio gli fanno eco le bronzee verghe dei Mori. Li hanno chiamati così perché fusi nel metallo che imbrunisce e sono lì dal 1499, da quando Venezia s’apprestava a vivere “l’alba dei libri, che qui videro la luce rivoluzionando il mondo (il protagonista della rivoluzione libraria arrivò a Venezia ormai quarantenne, era il pedagogo romano Aldo Manuzio; lì, a Venezia, inventò il mestiere dell’editore, contribuendo a rivoluzionare il mondo della cultura e dell’arte del suo tempo. Manuzio,in breve tempo, divenne “il principe degli editori”). Entrambi i Mori segnano le ore battendo la campana coi loro martelli (tante ore, tanti rintocchi), ma con una differenza: il Moro Vecchio batte le ore due minuti prima dell’ora esatta, a rappresentare il tempo che è passato; il Moro Giovane suona l’ora due minuti dopo per rappresentare il tempo che verrà. Ma Venezia, la Serenissima, la città che dominava il Mediterraneo ha visto anche nascere termini dal suo vissuto, basti pensare al termine Lazzaretto, coniato all’inizio del XV secolo, quando con compiti di prevenzione dei contagi – formula esportata in tutto il mondo ad iniziare da Milano – due isole della laguna vennero adibite a ospedali per gli appestati, rimanendo in funzione fino al XVIII secolo. Come non si può dimenticare la parola Ghetto, era il 1516 quando un decreto stabilì che tutti gli ebrei della Serenissima dovessero essere confinati su un’isola chiamata “geto” (che vuol dire “fondere, gettare”), un tempo sede di fonderie; gli ebrei askenaziti che per primi andarono ad abitarla non riuscendo a pronunciarla, la storpiarono in “gheto”. Nacque così il termine che portò alla nascita di “ghetti” in molte città italiane ed europee, da Ferrara a Roma, a Praga, dove vennero confinati gli ebrei. E sempre a Venezia hanno inizio e fine “Le città invisibili”, descritte a Italo Calvino.
Venezia non è solo questo, è molto di più, quel piccolo lembo di terra galleggiante, la cui forma è quella di un pesce, è tempo senza tempo; e chiudo con questa bella frase di Johann Wolfgang Goethe: “Tutto ciò che mi circonda [a Venezia] è pieno di nobiltà, è l’opera grande e rispettabile d’una forza umana concorde, il monumento magnifico non già d’un sovrano, ma d’un popolo”.
Carlo Franza