Bruno Mangiaterra artista concettuale con una straordinaria mostra al Circolo Esteri della Farnesina a Roma. Evento colto e straordinario che incornicia la pietra filosofale, motore, archetipo, lezione e simbolo forte del mondo.
Presso il Circolo degli Esteri di Roma (Via dell’Acqua Acetosa 42), fondato nel 1936 con finalità di rappresentanza del Ministero degli Affari Esteri, è stata inaugurata mercoledì 5 maggio 2020, alle ore 18, la mostra personale dal titolo “Le poetiche del pensiero” di Bruno Mangiaterra, a cura del prof. Carlo Franza, il quale già nel titolo ha voluto lasciar leggere nella mostra la mistica del pensiero concettuale dell’artista, la filosofia del mondo ruotante attorno alla “pietra filosofale”, che è non solo motore, archetipo, ma lezione e simbolo forte. All’inaugurazione insieme all’artista, erano presenti Luigi Maria Vignali, Ministro Plenipotenziario e Presidente del Circolo degli Esteri-Roma che ha introdotto l’evento, il Professor Carlo Franza, Professore Ordinario di Storia dell’Arte Moderna e Contemporanea ed anche giornalista e critico de “Il Giornale”, l’Ambasciatore Umberto Vattani ideatore – fondatore della Collezione Farnesina e Presidente della “Venice International University” e l’Ambasciatore Gaetano Cortese che dirige la Collana sulle Ambasciate italiane nel mondo per l’Editore Colombo di Roma. Presenti ancora numerosi diplomatici, intellettuali italiani e un nutrito pubblico interessato all’evento. La mostra fa parte di “MONDI” un progetto – a cura del Prof. Carlo Franza- appositamente ideato per il Circolo Esteri del Ministero Affari Esteri di Roma nel ventennale della Collezione Farnesina di Arte Contemporanea. Esso vive nobilmente sulle arti che riprogrammano il mondo, si campiona ad essere uno spettacolare archivio decentralizzato ove le diverse discipline si nutrono di arte-mondo mira a rappresentare come si abita la cultura globale, ovvero l’altramodernità, che altro non è che una sorta di costellazione, una specie di arcipelago di singoli mondi e singoli artisti le cui isole interconnesse non costituiscono un continente unico di pensiero, ma lo specchio di un’arte postproduttiva e frontaliera, mobile, ipermoderna, ipertesa, ipercolta, mente e cuore, ma anche progetto e destino della comunicazione estetica. Con “MONDI”(2020-2021) si porgono dodici mostre personali di dodici i dodici artisti contemporanei, taluni di chiara fama. Questa mostra dal titolo “Le poetiche del pensiero” è la terza del nuovo percorso, ed è già una novità in quanto si veicolano a Roma nomi dell’arte contemporanea di significativo rilievo, che evidenziano e mettono in luce gli svolgimenti più intriganti del fare arte nel terzo millennio. L’esposizione riunisce una serie di opere dell’artista Bruno Mangiaterra, già apparso agli occhi della critica italiana come una figura delle più interessanti e propositive dell’arte contemporanea, e ricordato come chiaro e significante interprete. Tra i discorsi inaugurali, illuminanti le parole dell’Ambasciatore Umberto Vattani, ideatore e fondatore della Collezione Farnesina il quale ha trovato nella declinazione della tematica intrapresa dall’artista italiano e lauretano un’attualità senza precedenti.
Entriamo nel vivo della mostra. Più stagioni di lavoro artistico hanno caratterizzato negli anni del secondo novecento il percorso di Bruno Mangiaterra, traversando le pianure dell’arte concettuale, dell’arte povera e del minimalismo, con stagioni misurate e dense di temperature, attitudini, inclinazioni, espressioni, contaminazioni, capaci – come lo sono state- di spingersi in un’area qual’ è stato lo spazio espositivo concepito come un luogo da percorrere, all’interno del quale le sue opere sono entrate in relazione tra loro e con gli spazi che le circondavano, in virtù del valore fisico dei materiali stessi che le costituivano, per instaurare riflessioni e rimandi visivi e concettuali. Mangiaterra si è fin dagli anni Settanta mosso nella scena artistica italiana grazie alla consapevolezza e interazione del pensiero della critica più avvertita e la produzione di artisti italiani concettuali -penso a Scarpitta e non è il solo- con anche la scoperta degli statunitensi Donald Judd e Carl Andre che mostrarono da subito una lezione di solidità, pensiero e ordine filosofico. Recentemente la sua presenza alla mia mostra storica dal titolo “Narrazioni” curata al Liceo Artistico Statale di Brera di Milano, lo ha trovato interessato al proprio mondo interiore, ovvero a interagire con i propri moti dell’anima, mai dimenticando quanto diceva Picabia e cioè che “la testa è tonda per permettere alle idee di circolare”. E con questa frase lapallissiana, Mangiaterra ha lasciato capire la sua volontà di rinnovarsi e rinnovare la sua sigla espressiva, portando maggiormente avanti, incurante della disputa astrazione-figurazione, quell’intellettualità e quella soglia che circoscrive un’intima adesione ai moti dell’anima. Per l’artista lauretano alla base di ogni ideazione artistica vi è un dialogo con lo spazio e con l’osservatore, con il passato e con il presente, con il mondo e con la realtà, con la siepe e il bosco e l’intera natura, sicchè l’esperienza estetica e percettiva non è mai stata chiusa e conclusa, ma mutevole, evolvendosi e animandosi in una processualità incessante. E dopo il suo muoversi nell’arte concettuale e nell’arte povera, oggi il suo fare evolve verso un dato ancor più filosofico, maggiormente vocato a un contenuto sensibile che pare richiamare non solo quanto disse Hegel, che l’arte è la parvenza sensibile dell’idea e che tiene conto di nuove cartografie del sapere. E in questo viaggio esistenziale/culturale, oggi un’opera che l’artista titola “c’est la poésie des non lieux” svela le fasi dell’opus alchemico. Il derma estetico è ciò che ci sfiora, che trasmette vibrazioni sulla nostra pelle. Con Mangiaterra si va oltre le apparenze, la pelle delle cose e delle parole ci viene incontro come al loro primo apparire. Natura viene da “nascor” ovvero nascere, crescere, provenire, aver origine, cominciare. La natura stessa trasferisce in noi l’immagine aurorale del suo gioco creativo, lo fa nell’alternarsi caleidoscopico di forme e colori. Benjamin scriveva: “in veli, che sono veli di pioggia, sul bambino cadono doni che gli rivelano il mondo”. Oggi Bruno Mangiaterra ha prestato il fianco del suo lavoro all’alchimia, a questa scienza immaginaria che contiene una grande potenza immaginativa e suggestiva. In essa vive un impulso spirituale utopistico in cui si destruttura e si realizza l’oro, che vale come simbolo e come metafora, ad affrancarsi dalle umane miserie per innalzarsi in una zona superiore. I colori dell’opus alchemico (nigredo, albedo, citrinitas, rubedo) portano all’oro, alla pietra filosofale, rintracciata anche nel travaso naturale dei boschi che Mangiaterra ci lascia leggere. L’oro o pietra filosofale, ricerca assoluta e finale, simbolo della ricchezza interiore, transita nel fare artistico, nel creare; la base dell’Opera (Opus) è dunque la materia prima, ossia uno dei più celebri misteri dell’ alchimia. C’è di più se osservo che l’aver lavorato Mangiaterra in ambito concettuale sia con materiali e installazioni, sia con il pensiero fermentante a volte e a volte più riflessivo, lo mostra oggi palpitante alla cultura nell’accezione più ampia del termine, che comprende anche le espressioni estetiche del terzo millennio, tanto da non apparire strettamente minimalista e concettualista, lezione che pure ha rappresentato per lui una fonte d’insegnamento e di meditazione preziosa, ma osmotico al rimando a un qualcosa di ulteriore, compresa la ricerca ininterrotta di uno spessore filosofico affidato a gesti, a materiali e a linguaggi nuovi. Gli stessi materiali sono un atto nel quale c’è un aspetto emozionale importante, anzi primario, ma anche filosofico e mistico. L’alchimia, designata come Grande Arte (Ars magna) è sempre stata considerata dai suoi adepti – che si autodefinivano artisti, poeti (poietès) o filosofi (il cui frutto magistrale era appunto chiamato Pietra filosofale – Lapis philosophorum) come l’espressione per eccellenza dell’attività artistica. E, a proposito della Pietra filosofale, questa doveva portare all’homo totus illuminato della conoscenza del suo mondo interiore. Basti pensare che sul frontone del tempio di Apollo a Delphi ci sono due parole incise : Gnoti Seauton (conosci te stesso), tanto che gli alchimisti non si stancavano di indicare che il loro oro (aurum philosophorum) non era l’oro metallico (aurum vulgi), ma la trasmutazione del piombo in oro valeva come metafora per l’autotrasformazione dell’uomo. Il lavoro di Bruno Mangiaterra non è mai stato isolato, ancor più oggi perché riguardo al rapporto fra arte e alchimia è utile ricordare alcuni momenti rilevanti della riemersione del Mito dell’Alchimia: la celebre mostra Arte e Alchimia di Arturo Schwarzt nel 1986 alla Biennale di Venezia (che ha avuto il merito di rilanciare il mito dell’alchimia quale metafora di processualità e di trasformazione), il catalogo tedesco dell’omonima mostra Art and Alchimy (2014) al Kunstpalast di Dusseldorf, la mostra fiorentina L’Alchimia e le Arti. La Fonderia degli Uffizi, da laboratorio a stanza delle meraviglie (2012-2013), dedicata alle arti decorative e alla raffinatezze della metallurgia di corte, fino alla citazione dell’alchimia nel catalogo della mostra sui tarocchi viscontei Il segreto dei segreti. I tarocchi Sola Busca (2012-2013) presso la Pinacoteca di Brera. Le sequenze del suo lavoro che interrogano i luoghi e i non luoghi, le parole e la poesia, la finitezza del nostro immaginare e l’infinità della natura, il vedere che è un raccogliere e il processo creativo del sogno, le lacerazioni del mondo e le nostre lacerazioni, le divisioni in parti uguali della memoria, il diario degli anni, svela anzitempo come l’intera sua arte e lo stesso modo di concepirla interrogano la poetica e le poetiche del pensiero nei suoi tratti più intimi, riconoscendole il ruolo di maestra dell’umanità. Non dimentichiamo che la bellezza è misteriosa, e si dà sempre in un velo, tanto che Bruno Mangiaterra nell’intero percorso artistico mosso dal pensiero e dalla poesia, e dalla filosofia sempre più nomade, per frammenti ha messo in piedi immagini inscalfibili e universali da poter essere tradotte e lette, senza perdere nulla di ciò che in loro è intimo, essenziale e poetico. D’altronde l’arte è un’attività che consiste nel produrre rapporti con il mondo intero, e materializzare -in una forma o nell’altra- le sue relazioni con lo spazio e il tempo. Riscrivere la modernità è stato il compito storico di questo inizio del XXI secolo, non beninteso ripartire da zero, ma inventare e selezionare le poetiche del pensiero come ha argomentatto Bruno Mangiaterra, in una narrativa lineare, capace di costituire nuovi alfabeti dell’arte.
Bruno Mangiaterra è nato a Loreto nel 1952. Negli anni dello studio pratica frequentemente artisti e critici d’arte contemporanea e nel contempo effettualizza il suo lavoro ed espone alle prime mostre. Fin dal 1973, studente all’Accademia di Belle Arti di Urbino, lavora ininterrottamente presentando il proprio lavoro in rassegne culturali personali e collettive, in Italia e all’ estero. Vive e lavora nelle Marche a Loreto (An). E’ docente di Discipline Pittoriche presso il Liceo Artistico “E. Mannucci ” di Ancona. E’ stato segnalato più volte da Giulio Turcato, ha pubblicato libri d’arte e cartelle di incisioni con testi poetici e filosofi contemporanei tra gli altri : Carla Clementi, Giacomo Luigi Busilacchi, Umberto Piersanti, Eugenio De Signoribus, Plinio Acquabona, Paolo Volponi, Gianni D’Elia, Giuseppe Cacciatore, Pasquale Venditti, Alessandro Catà, Francesco Scarabocchi, Graziano Crinella. Le sue opere sono presenti in numerose Collezioni pubbliche e private. Ha ideato numerose rassegne di Arte Contemporanea e convegni culturali per Enti e Istituzioni. Hanno scritto di lui fra gli altri Giacomo Luigi Busilacchi (An), Carlo Cecchi (Jesi), Carla Clementi (An), Vincenzo Piermattei (An), Giancarlo Bassotti (Jesi), Mariastella Rizzo (Mi), Gualtiero De Santi (PU), Armando Ginesi (Jesi), Mariano Apa (Roma), Giorgio Verzotti (Mi), Toni Toniato (Ve), Carlo Melloni (Ap),Enrico Savini (Jesi), Daniela Bontempo (An), Eenzo Di Grazia (Firenze), Vittorio Erlindo (Mn), Pierre Restany (Mi), Giovanni Grassi (Sorrento), Donatella Gallone (Napoli), Grazia Maria Torri (Fo), M.Savini (Ap), E. Di Mauro (To), Roberto Lambarelli (Roma), Vittorio Rubiu (Roma), Giulio Turcato (Roma), Laura Monaldi (Ap), Bruno Ceci (Urbino), Lucilla Nicolini (An), Roberta Ridolfi (PU), Gabriele Perretta (Roma), Franco Jesurun (Trieste), Bruno Cantarini (Ancona), Luciano Marucci (Ap), Giovanni Bonanno (Palermo), Valerio Dehò (Bo), Massimo Raffaeli (An), Carlo Franza (Mi) Enrico Capodaglio (PU), Daniela Simoni (Fermo), Marck Delrue (Belgio). Ha vinto nel 2008 il Premio delle Arti-Premio della Cultura al Circolo della stampa Milano. Nel 2011 è presente alla 54° Esposizione Internazionale d’arte della Biennale di Venezia, Padiglione Italia Marche.
Carlo Franza