A Senigallia Città della Fotografia, Museo MAXXI, Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, ecco  “Giacomelli / Burri. Fotografia e immaginario materico”, una grande mostra itinerante dedicata a due grandi artisti del ‘900: Mario Giacomelli e Alberto Burri. La mostra racconta, attraverso un corposo nucleo di fotografie dedicate da Giacomelli a Burri, relative ad una personale visione del paesaggio e della terra (in dialogo con la pittura Informale), e a lettere e documentazioni di archivio, le vicende artistiche e umane che hanno legato due grandi protagonisti del ‘900.

L’esposizione, ideata da Magonza e prodotta con il Comune di Senigallia, promossa da Fondazione MAXXI, Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Archivio Giacomelli e Archivio Sarteanesi,  aperta dal 1 luglio a Senigallia a cura di Marco Pierini, per poi spostarsi, in allestimenti diversi nel dialogo con gli spazi, in autunno al Museo MAXXI di Roma per la curatela di Bartolomeo Pietromarchi, e successivamente alla Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri a Città di Castello, nella sede degli Ex Seccatoi del Tabacco per la cura di Bruno Corà. Le opere in mostra provengono dalla Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, dagli Archivi Mario Giacomelli di Senigallia e Sassoferrato, dall’Archivio Sarteanesi e dalla Galleria dello Scudo di Verona.

Le vite di Mario Giacomelli e Alberto Burri si sono intrecciate negli anni più volte, in un rapporto di reciproca stima e ammirazione che è confluito in una ricerca comune, che questa esposizione vuole indagare ponendo in dialogo le loro opere sia di pittura che fotografiche. Intorno al 1966 avviene il primo incontro tra i due, grazie all’intercessione di Nemo Sarteanesi – pittore, intellettuale e amico di Burri – che casualmente conosce Giacomelli a Senigallia.

La mostra di Palazzo del Duca a Senigallia propone un importante nucleo di fotografie che Mario Giacomelli dedicò ad Alberto Burri e Nemo Sarteanesi e che appartengono ai fondi della Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri e agli Archivi Giacomelli e Sarteanesi. Attraverso le importanti testimonianze degli scatti di paesaggio che appartengono a serie come Presa di coscienza sulla natura, Storie di Terra o Motivo suggerito dal taglio dell’albero, viene ricostruito e preso in esame il legame tra le poetiche e gli stili di Giacomelli e Burri, creando un dialogo fra pittura e fotografia attraverso un linguaggio “astratto” e “informale”.

Nel percorso espositivo inoltre troverà spazio un’opera pittorica di Giacomelli che l’artista realizzò prima di consacrarsi interamente al mezzo fotografico. Le sue celebri fotografie di paesaggio saranno poi accostate ad alcune opere grafiche e uniche di Alberto Burri – come la serie Combustioni 1965, Cretti 1971, e ancora, Sacchi, Combustioni su carta e legno, un prezioso Cretto bianco – rintracciando affinità nell’organizzazione formale dello spazio dell’opera e rispetto ad una latente visione zenitale del paesaggio, restituito negli accostamenti delle diverse materie.

Questo incontro tra i due grandi segnerà l’attività di Giacomelli e la sua scelta di dedicarsi totalmente alla fotografia: “Quando l’ho incontrato io dipingevo, ero tra figurativo e astratto, dopo invece sono stato troppo influenzato dalla sua pittura e ho smesso. Mi affascinava troppo, non potevo fare diversamente”.

Nel 1968, sotto la guida di Nemo Sarteanesi, e nel 1983 attraverso Nemo Sarteanesi alla direzione della ormai nata Fondazione Palazzo Albizzini vengono inaugurate le mostre a Città di Castello dedicate a Giacomelli. E se nella prima nel 1968 è presente una fotografia dal titolo Paesaggio Burri, nella seconda viene esposta una serie di otto fotografie di paesaggio dedicate al maestro tifernate, quasi a sancire un rapporto di amicizia, stima e affinità. Il testo critico è del collega  Arturo Carlo Quintavalle che afferma: “non legge le sue Marche o l’Appennino centro-italiano come un paesaggio da cartolina, si trasforma invece in progettista di una ricerca, di un’arte che ripensa un territorio. Insomma una diversa idea, una land art che penetra nel profondo della storia, […] legata a un diverso senso della materia e della sua durata. […] I grandi paesaggi di Giacomelli sono densi di paura, di un senso di morte durissimo, come molti quadri di Burri”.

L’interesse di Giacomelli per i paesaggi sappiamo essere iniziata molto presto, quando inizia a fotografare le campagne intorno a Senigallia, con lo sguardo rivolto alla terra, attività che continuerà a perseguire fino alla morte. Dice Giacomelli: “Apposta parlo di segni. Li potrei fare anche sulla carta, nel mare, ma sarebbero tutti voluti, quindi tutti falsi. A me interessano i segni che fa l’uomo senza saperlo, ma senza far morire la terra. Solo allora hanno un significato per me, diventano emozione. In fondo fotografare è come scrivere: il paesaggio è pieno di segni, di simboli, di ferite, di cose nascoste. È un linguaggio sconosciuto che si comincia a leggere, a conoscere nel momento in cui si comincia ad amarlo, a fotografarlo. Così il segno viene a essere voce: chiarisce a me certe cose, per altri invece rimane una macchia”. E ancora: “La fotografia mi ha aiutato a scoprire le cose a interpretarle e rivelarle. Racconto la conoscenza del mondo, in una architettura interiore dove le vibrazioni sono un continuo fluire di attimi, di avventure liberanti come espressione totale dove sento tutta la completezza della mia esistenza”. La mostra Giacomelli / Burri. Fotografia e immaginario materico  pone dunque  l’accento sul dialogo intercorso su questi due grandi artisti e sulle influenze che ebbero l’uno sull’altro.

Carlo Franza

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