Alberto Ziveri. Il Postribolo in venti disegni del realista romano alla Galleria Lo Spazio di Torino.
“Caro Alberto, voglio ripeterti quello che ti ho detto ieri sera. La tua mostra alla Nuova Pesa mi ha commosso come uomo e come pittore, per la sua qualità, per il suo rigore, per la poesia che c’è dentro. Sembra una cosa dell’altro mondo, quando il mondo è così incredibile e assurdo.” E in questa ultima frase, della sentita lettera scritta dall’amico Renato Guttuso ad Alberto Ziveri, che possiamo ritracciare in pieno la poetica delle opere di Ziveri. Una rappresentazione della realtà che nella sua stranezza sfiora il paradosso, un intrico di umanità e passioni, di violenza e brutture, che proprio per questo riesce a immortalare nel profondo il nonsense della società.
Fino al 14 novembre 2021 a Torino presso Lo Spazio, si potrà visitare la mostra “Il Postribolo”. Una raccolta di ventisei disegni del realista romano Alberto Ziveri – esponente di spicco della corrente della Scuola Romana – che racconta una realtà, quella delle case di tolleranza, che l’artista indagò a fondo durante la svolta stilistica che lo porterà a ricercare e immortalare nei propri lavori i più reconditi aspetti dell’animo umano. L’evento realizzato in collaborazione con gli Archivi del Novecento mira a dare luce alla produzione di questo importantissimo autore del Novecento, uno tra i realisti maggior rilievo di tutto il panorama italiano dello scorso secolo, proprio grazie alla rarissima raccolta di bozzetti in questa occasione in mostra. Attese senza tempo, amplessi, lotte, decadenza, solitudine sono solo alcuni aspetti che emergono da questi lavori, e che li legano alle opere dell’importante ciclo di pitture dedicate a questa tematica e realizzate durante gli anni Quaranta, che sono da considerare come punto cardine della produzione realista dell’autore.
Tra il 1921 e il 1929 frequenta il Liceo Artistico e la scuola serale di Arti ornamentali del San Giacomo, dove studia con Antonino Calcagnadoro. Sperimenta anche la scultura che gli serve per comprendere il senso del volume e della luce. Il mestiere lo apprende nella bottega di Giulio Bargellini. Qui si lega d’amicizia con Guglielmo Janni, pittore di grande e raffinata cultura, che lo incoraggia sulla strada della pittura. Nel 1928 Janni gli regala una copia del volume scritto da Roberto Longhi su Piero della Francesca, la cui arte diventa ben presto l’essenza stessa della sua pittura tonale. Sempre nel 1928 esordisce con dei disegni alla XCIV Esposizione della Società Amatori e Cultori di Belle Arti. Nel 1931, frequentando la scuola Libera del Nudo conosce il giovane scultore marchigiano Pericle Fazzini, che diventa il suo migliore amico: insieme affittano uno studio. Agli inizi degli anni Trenta fa parte della nuova generazione artistica che, con Corrado Cagli, Renato Guttuso, Pericle Fazzini, Afro e Mirko Basaldella, gravita intorno alla Galleria di Dario Sabatello. Il giovane gallerista punta molto su di lui: gli organizza nel 1933 la prima personale, in cui riscuote un discreto successo di critica e nel 1935 lo inserisce nella “Exhibition of Contemporary Italian Painting” che, itinerante negli Stati Uniti, include artisti come Giorgio de Chirico, Gino Severini, Giorgio Morandi e Mario Sironi. Da questo momento prende parte a tutte le più importanti esposizioni in Italia e all’estero. Nel 1933 realizza una pittura murale in un interno della “Casa di Campagna per un uomo di studio”, realizzata da alcuni architetti romani, tra cui Luigi Moretti, per la V Triennale di Milano. Nell’ottobre 1933 “Quadrante”, pubblica quattro suoi disegni. Nel 1935 alla II Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma espone accanto ai programmatori del “tonalismo”: Giuseppe Capogrossi ed Emanuele Cavalli, mentre la critica lo segnala tra le rivelazioni dell’esposizione. Il culmine della sua stagione tonale è costituito dalla personale nel 1936 nella Galleria della Cometa, fondata a Roma da Anna Laetitia Pecci Blunt, tra i suoi collezionisti. Nel 1937 e nel 1938 è in Olanda, Francia, Belgio e Svizzera dove prende visione della pittura di Gustave Courbet, Eugène Delacroix, Rembrandt e Jan Vermeer ed osserva altre realtà. Nel 1938 alla XXI Biennale di Venezia avviene il suo esordio realista, che concorre ad aprire una nuova fase stilistica all’interno della scuola romana. D’ora in poi, come dichiara lo stesso artista nei suoi scritti, il realismo è la sua “morale”. Tormento, violenza e solitudine, traspaiono in immagini crudelmente quotidiane. Nascono così gli intensi Autoritratti, ritratti di soldati, mercati della carne, processioni religiose, attese senza tempo nei postriboli, amplessi vissuti come lotta e risse. La nuova libertà acquisita lo porta a una lievità e ricchezza di pennello, che con ombre verdi, alla maniera di Rembrandt o nere come quelle di Goya, scopre lo psicologismo dei volti, la nudità luminosa e sensuale delle carni. Nel 1943 vince il terzo premio per la pittura alla IV Quadriennale di Roma con uno dei suoi capolavori, Giuditta e Oloferne. Nel 1946 alla Galleria di Roma tiene la prima personale con la nuova produzione, tra cui il primo dipinto dedicato ai postriboli, dal titolo Composizione eseguito un anno prima. Vi presenta anche un nutrito gruppo d’incisioni, tecnica che va coltivando dal 1926, ma che dalla scoperta di Rembrandt si è caricata di tutt’altre potenzialità espressive. Nel 1952 l’editore Luigi De Luca gli dedica la prima monografia, con un saggio di Leonardo Sinisgalli. In piena deflagrazione tra “formalisti” e “realisti” si schiera dalla parte di quest’ultimi. Nel 1956 alla XXVIII Biennale di Venezia, Roberto Longhi lo definisce il maggiore realista italiano vivente, riconfermando questa consacrazione storica nella presentazione alla personale del 1964, che allestisce a Roma nella Galleria La Nuova Pesa. Nel 1983 D. Durbè, M. Fagiolo e V. Rivosecchi raccolgono in un volume le sue incisioni. Gli stessi critici nel 1984 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna curano un’antologica sulla sua pittura, mentre nel 1989 Ziveri vince il Premio Viareggio-Rèpaci.
Carlo Franza