Éric Zemmour (Montreuil, 31 agosto 1958) può essere il prossimo presidente francese? Diciamo che potrebbe esserlo. Ma chi è Zemmour? Zemmour rappresenta la Francia di una volta, quella beninteso  di Napoleone, di Notre Dame de Paris e del generale Charles de Gaulle, una Francia che certamente non vuole diventare una Repubblica islamica. “Il pericolo per la Francia è quello di diventare un secondo Libano”, dice spessissimo Zemmour.

Sta di fatto che Il Financial Times lo ha definito un  “estremista di Destra ”,  per il New York Times è “ l’esperto di Destra”,  per Die Zeit, è “ l’uomo che divide la Francia ”. Eric Zemmour, giornalista e saggista, non è (ancora -aggiungo io- purtroppo) un candidato ufficiale alla presidenza francese, ma a causa della sua popolarità, la Francia vive già una forte aria di elezioni.  A duecento giorni dalle elezioni presidenziali, non passa settimana senza che un sondaggio spinga E.  Zemmour sempre più in alto nelle proiezioni elettorali del 2022. Devo dire che la Francia si è svegliata, anzi risvegliata dal torpore dell’immigrazione e dell’identità. Non deve sorprendere il recente sondaggio condotto dall’agenzia demoscopica Harris Interactive, pubblicato dal magazine Challenges il 6 ottobre 2021 ,  che lo colloca al 17 per cento davanti a Marine Le Pen, la candidata di Rassemblement National (la quale si attesta al 15 per cento, in calo di 13 punti dall’estate).  E’ vero che Zemmour rimane ancora dietro il presidente in carica Emmanuel Macron, proiettato al 24 per cento, ma mi chiedo per quanto tempo ancora?

Vi dico che  le intenzioni di voto al 17 per cento a favore di Zemmour possono sembrare basse, ma non lo sono affatto perché la Francia,  ha per le elezioni presidenziali una competizione a due turni. I sondaggi di oggi  riguardano solo il primo turno, dove potrebbero esserci 25 candidati in lizza; pertanto le intenzioni di voto al primo turno sono necessariamente frammentate   Sta di fatto che se le elezioni francesi si svolgessero la prossima settimana, gli unici due candidati al secondo turno sarebbero Macron e Zemmour. “Mai prima d’ora abbiamo visto un’ascesa così fulminea in così poco tempo”, afferma  Jean-Daniel Lévy, vicedirettore della Harris Interactive. “Stiamo assistendo al crollo del cuore stesso dell’elettorato” di Marine Le Pen. Un libro pubblicato da Zemmour il 16 settembre 2021- che ho letto d’un fiato-  e intitolato “La France n’a pas dit son dernier mot” (La Francia non ha ancora detto la sua ultima parola ) tratta il tema dell’identità nazionale; pensate che questo saggio  ha venduto  centomila copie nella prima settimana. Zemmour rappresenta la Francia di un tempo, la Francia di Napoleone, di Notre Dame de Paris e del generale Charles de Gaulle, una Francia che non vuole diventare una Repubblica islamica. “Il pericolo per la Francia è quello di diventare un secondo Libano”, dice spesso  Zemmour, intendendo un Paese frammentato tra comunità settarie che si odiano e si combattono a vicenda. Badate bene che Zemmour non è un politico professionista, come Le Pen, e proprio per ciò intercetta i consensi e va temuto. Ha iniziato come reporter politico al quotidiano Le Figaro negli anni Novanta, era brillante, dava giudizi forti sui politici francesi e comprendeva profondamente la cultura politica e storica,  perciò iniziò ad essere invitato nei programmi radio-televisivi. Le Figaro gli ha offerto una rubrica fissa, e nel 2006 è diventato un’autentica star televisiva. La sua partecipazione per cinque anni a “On n’est pas couché”, talk show del sabato sera, lo ha fatto conoscere a tutta la Francia. Nel 2015, il conduttore del programma, Laurent Ruquier, si è pentito di aver collaborato con Zemmour. “Non pensavamo che sarebbe apparso un mostro”, ha dichiarato  Ruquier. Quello che oggi viene definito un mostro, oggi è osannato dai francesi e farà ridiventare la Francia grande, le restituirà onore e “grandeur”.  Ma volete sapere perché Zemmour è “un mostro”? Perché dice a voce alta che “i francesi di origine immigrata sono più controllati di altri perché la maggior parte dei trafficanti sono neri e arabi. (…) Questo è un dato di fatto”. Zemmour è stato condannato in tribunale per aver detto questo, non in quanto  bugia, ma perché una tale affermazione è impossibile da dimostrare. La legge francese ha rifiutato di utilizzare le statistiche etniche così come invece ci sono in Gran Bretagna o negli Stati Uniti.

Zemmour sbalordisce tutti perché afferma che la Francia ha smesso di essere la Francia il giorno in cui ha permesso ai genitori di origine straniera di dare nomi africani o musulmani ai propri figli (Mohammed è il nome più diffuso nei sobborghi parigini). Il giornalista francese dice di voler ripristinare  una legge del XIX secolo che obbligava tutti i cittadini francesi a “dare nomi francesi” ai propri figli. Zemmour esige inoltre che la Francia  non sia più assoggettata all’autorità dei giudici della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, perché  sono loro -osserva-  che impediscono il rimpatrio dei criminali stranieri.

Duro, durissimo sulle questioni sociali, più che contrario alla riproduzione assistita (“Voglio che i bambini abbiano un padre e una madre”), alla “propaganda trasgender” nelle scuole, ai “matrimomi tra persone dello stesso sesso” , e alla militanza LGBT a scuola. Zemmour non è anti-omosessuale, osserva solo che le “lobby LGBT” e le “minoranze” sono in guerra con la Francia proprio come gli islamisti sono in guerra con tutti i Paesi occidentali.  Gli ultimi sondaggi lo danno in continua crescita,  è ormai popolarissimo -ma in Italia chi ne parla? – perché sta esportando il dibattito dalla sfera dei media a quella politica. Dice: “Se non mi candidassi, deluderei molte persone”. Zemmour non è popolare perché fa commenti provocatori sull’immigrazione o sui diritti LGBT, ma perché desta nei media delle preoccupazioni che in precedenza erano espresse solo in famiglia o tra pochi amici.

E invece, per molte, moltissime ragioni, Zemmour ha la possibilità di essere il prossimo Presidente della Francia. Inserisce  nei media argomenti di discussione come “l’immigrazione” e “il jihad”, di cui nessuno aveva mai osato parlare pubblicamente. È un uomo che incarna la paura di vedere la Francia tradizionale – quella dei campanili e della “baguette” – scomparire sotto i colpi del jihad e del politicamente corretto. Non è poi vero che Macron ha dimostrato che può vincere un individuo che non appartiene a nessun partito politico? Tale esempio lo sarà, dunque per la seconda volta, proprio con Zemmour. Quando il saggista ha organizzato la promozione del suo ultimo libro, migliaia di persone si sono precipitate a stringergli la mano. Ha una popolarità inimmaginabile.

La fulminea popolarità di Zemmour rompe i paradigmi  francesi,oggi bloccati, perché questo sistema vigente, fino ad oggi compreso,   è stato messo in piedi a metà degli anni Ottanta dal presidente socialista francese François Mitterrand  proprio per dividere la Destra e impedirle di tornare al potere. Furbescamente Mitterrand ha promosso sui media di proprietà nazionale un piccolissimo  partito di estrema Destra, il Front National, il primo che ha osato parlare contro l’immigrazione.

E proprio da allora e cioè dalla metà degli anni Ottanta fino ad oggi, i media e la Sinistra, insieme, hanno messo in piedi  una macchina da guerra -vergognosa-  della forza industriale per bollare  come “razzista” e “nazista” chiunque  spendesse  voce sui temi dell’immigrazione. Questa politica e questa macchina da guerra è stata così forte che di recente anche Marine Le Pen, leader del Rassemblement National (come è ora chiamato il Front National), per sfuggire dall’essere bollata come “nazista” ha persino speso positivi giudizi sull’immigrazione musulmana perché a suo dire l’uso l’immigrazione serve a colmare una presunta carenza di manodopera. Oggi i media francesi sono purtroppo spiazzati, hanno perso colpi,  e più bollano Zemmour come un “nazista”, maggiore  sale  la popolarità tra i suoi elettori, sono divenuti già  una valanga.

Oggi è chiaro ed evidente a tutti che  i leader del partito di Destra Les Républicains, che non hanno osato pronunciare la parola “immigrazione”, ora propongono  di “porre fine al lassismo migratorio” e di fermare  “l’immigrazione incontrollata”. Anche Macron  ha ammesso  che Zemmour “aveva ragione” sull’immigrazione.

La guerra politica intrapresa da Zemmour è  solo agli inizi,  Zemmour mette in marcia finalmente  un autentico dibattito democratico su temi come la sicurezza, l’immigrazione e l’Islam, che contano davvero per i francesi. Il Confidence Barometer, un sondaggio pubblicato ogni anno in Francia dal Cevipof, il Centro di Ricerca dell’Istituto di Studi Politici di Parigi, è un buon indicatore “della stanchezza, del malumore e della sfiducia””che la maggioranza della popolazione francese sembra provare nei confronti della classe politica.

Per moltissimi francesi, Zemmour non  è solo l’ultima possibilità per la Francia di non diventare una nazione islamica o un “Libano in Europa”, ma l’ultima pedina per ridare alla Francia la sua grandeur.

Carlo Franza

 

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