Jean Dubuffet in una grande retrospettiva alla Fondation Pierre Gianadda di Martigny/Suisse.
L’audacia formale di Jean Dubuffet in una grande retrospettiva. La Fondation Pierre Gianadda presenta (fino al 12 giugno 2022) una selezione eccezionale di opere di Jean Dubuffet (1901-1985), provenienti principalmente dal Musée national d’art moderne Centre Pompidou di Parigi, partner frequente della Fondazione. Per illustrare tutti gli aspetti della produzione di questo grande sostenitore dell’art brut, la mostra si articola secondo un percorso cronologico attorno ai tempi forti alternando i capolavori della sua pittura con le principali serie delle sue opere su carta, disegni e gouache. Artista prolifico, pittore refrattario alle convenzioni sia sociali che pittoriche, Dubuffet elesse il non-sapere a fondamento della sua ricerca, cadenzata per serie successive, le più significative delle quali si possono ammirare in questa rassegna. Si parte dai “Premiers travaux” (primi lavori) che Dubuffet cataloga come tali, quelli realizzati a partire dal 1942, che testimoniano il suo interesse per i disegni dei bambini, i graffiti e l’art brut, termine quest’ultimo coniato da lui che designa le produzioni artistiche di persone che evolvono fuori da ogni contesto culturale. Le studierà e le raccoglierà assiduamente, cercando egli stesso di evitare questo condizionamento, al fine di cambiare la prospettiva proposta, concentrando lo sguardo sulle cose e sul mondo. Esporrà queste “posizioni anticulturali” attraverso scritti illuminanti, che accompagnano la sua attività di pittore, preferendo alla frequentazione degli artisti quella degli scrittori. Il ritratto di uno di essi – Dhotel nuancé d’abricot, 1947 – è emblematico di questa rinuncia a qualsiasi ordine estetico: lo caratterizzano frontalità, goffaggine del disegno, libertà di colore e ricorso a materiali insoliti. La serie “Corps de Dame”, tra cui l’abbagliante Métafizyx del 1950, consentirà a Dubuffet di compiere un ulteriore passo avanti, mettendo a rischio la figura a favore della pittura, che diventa il soggetto dell’opera. Sempre alla ricerca di invenzioni pittoriche, l’artista negli anni Cinquanta si allontana dalla figura per approfondire le sue ricerche sulla materia. Le opere poi, come la “Texturologie” Sérénité profuse, 1957 vengono presentate, in visioni avvicinate al terreno, inteso come continuazione vibrante dell’immagine dipinta. Queste “Célébration du sol”, paesaggi di ciottoli, di terra, di sabbia, esplorano le turbolenze telluriche e continuano nella serie di “Matériologies”, come la maestosa Messe de la Terre, 1959-1960, che simula la consistenza di un terreno accidentato. I “Phénomènes”, rilevante insieme di litografie eseguite tra il 1958 e il 1962, saranno contemporaneamente l’apoteosi e il culmine di questa ricerca. L’audacia formale di questo ribelle lo portò poi a riprendere la figura nei primi anni Sessanta con la serie sorprendente “Paris Circus”, illustrata dalla gioiosa Rue passagère, 1961, che racconta il brulichio variopinto della città ritrovata. Ma rapidamente, gli alveoli colorati e tremolanti si fanno più precisi, come in La Gigue irlandaise, 1961, per inaugurare un vasto ciclo, “L’Hourloupe”, che costituisce la proposta di un nuovo linguaggio, fatto di alveoli a volte pieni, a volte tratteggiati, con uno spettro di colori ristretto (nero, bianco, rosso, blu). Opere emblematiche di questa serie, come l’imponente Houle du virtuel, 1963, o Le Train de pendules, 1965, illustrano questo linguaggio pittorico unico. “L’Hourloupe” occuperà Dubuffet per dodici anni, dal 1962 al 1974: questa modalità espressiva è applicata sia alle opere bidimensionali che all’esplorazione del volume, come nella stupefacente scultura Figure votive, 1969, e dell’architettura, fino alla progettazione di uno spettacolo dal carattere insolito, Coucou Bazar. Tre elementi, tra le scenografie e i personaggi destinati a prendere vita lentamente nel corso di questo spettacolo, sono proposti in mostra (Site agité, 1973, Papa gymnastique e Le Veilleur, 1972) e danno con la loro singolare presenza un’idea di questa impresa sorprendente. Diverse ulteriori serie importanti scandiscono ulteriormente la carriera dell’artista, come “Psycho-sites” o “Mires”, con in particolare l’eccezionale Cours des choses, 1983, dalla gestualità vigorosa, che reinventa ogni volta una lettura del mondo che rimette in discussione la percezione, fino alla serie finale dei “Non-lieux”, che conclude l’opera radicale di Dubuffet, tra le più ardite della storia dell’arte del XX secolo. La rassegna è curata da Sophie Duplaix, conservatrice capo delle collezioni contemporanee del Musée national d’art moderne, Centre Pompidou. Il catalogo presenta, dopo le introduzioni di Léonard Gianadda e di Serge Lasvignes, presidente del Centre Pompidou, il testo di Sophie Duplaix, e le illustrazione delle opere esposte accompagnato da citazioni di scritti di Jean Dubuffet, oltre ad una biografia illustrata da immagini d’archivio.
Carlo Franza