Fondazione CRC e Intesa Sanpaolo presentano il progetto espositivo “I colori della fede a Venezia: Tiziano, Tintoretto, Veronese”, fino a domenica 5 marzo 2023 presso il Complesso Monumentale di San Francesco a Cuneo. La mostra è a cura di don Gianmatteo Caputo e di Giovanni Carlo Federico Villa e vede il supporto organizzativo di MondoMostre.

La mostra conclude il ciclo di iniziative realizzate nel corso del 2022 per celebrare i 30 anni della Fondazione CRC, istituzione da sempre attiva per sostenere e promuovere attività culturali di valore finalizzate ad accrescere il ruolo e la riconoscibilità del territorio cuneese come centro di produzione culturale. Realizzato insieme a Intesa Sanpaolo nell’ambito di Progetto Cultura, piano pluriennale delle iniziative con cui la Banca esprime il proprio impegno per la promozione dell’arte e della cultura nel nostro Paese, il progetto offre al pubblico per la prima volta l’una accanto all’altra cinque grandi pale d’altare dei maestri del Rinascimento veneto Tiziano Vecellio, Jacopo Robusti detto il Tintoretto e Paolo Caliari detto il Veronese, provenienti da altrettante chiese veneziane.

Ospitata in una architettura medievale ora monumento nazionale, la mostra presenta alcuni fra i più grandi capolavori che la Chiesa veneziana possiede, sia per importanza che per dimensione, opera dei suoi artisti sublimi e più rappresentativi. La mostra si propone di restituire una precisa percezione di come il colore veneziano si sia posto al servizio della sacra narrazione. Le opere presentate, risalenti al periodo compreso tra il 1560 e il 1565, risultano in perfetto dialogo cronologico e stilistico e si confrontano con temi fondamentali nell’iconografia cristiana: l’Annunciazione e l’Incarnazione, il Battesimo di Cristo, l’Ultima Cena, la Crocifissione e la Resurrezione.

La mostra vuole offrire un’occasione di approfondimento del ruolo di queste grandi opere nel loro contesto veneziano così da dare al visitatore ogni strumento per percepire la necessità di una lettura che sia svolta nell’ottica fedele del tempo, oltre che per comprendere appieno l’importanza epocale del dialogo artistico svoltosi tra Tiziano, Tintoretto e Veronese. Apre la mostra una sala dedicata a Venezia, che sottolinea il suo ruolo e quello della Repubblica Serenissima quale ‘porta del mondo’ con i suoi commerci e la sua diplomazia. Il percorso espositivo entra nel vivo nella sala principale, dove ognuna delle cinque opere trova casa in altrettante cappelle del Complesso Monumentale. La prima opera è l’Annunciazione (1563-1565) di Tiziano proveniente dalla Chiesa di San Salvador. Del Veronese vengono presentate il Battesimo di Cristo (1560-1561) dalla Chiesa del Redentore e la Resurrezione di Cristo (1560 circa) dalla Chiesa di San Francesco della Vigna. Di Tintoretto vengono esposte l’Ultima Cena (1561-1566) dalla Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio detta San Trovaso e la Crocifissione (1560 circa) dalla Chiesa di Santa Maria del Rosario detta dei Gesuati. Due delle opere esposte, il Battesimo di Cristo del Veronese e la Crocifissione di Tintoretto, sono state restaurate nell’ambito di edizioni passate di Restituzioni, il programma di restauri curato e gestito da Intesa Sanpaolo.

Tiziano, Annunciazione, 1563-1565, olio su tela, 403 x 239 cm, Venezia, chiesa di San Salvador

La pala fu commissionata a Tiziano dal gioielliere veneziano Antonio Cornovi della Vecchia nel 1559 per un altare nella chiesa di San Salvador. Vista e annotata da Giorgio Vasari nel 1566, era forse destinata all’ambiente funerario di una cappella. Del resto il tema principale – l’umanizzazione di Dio, che termina con il suo sacrificio per l’umanità e conduce alla via eterna – è perfettamente in linea con la sua ipotetica collocazione. A livello stilistico l’opera appartiene alla fase matura di Tiziano. L’artista, già completamente affermato, era libero di creare e sperimentare. Per Roberto Longhi “uno dei dipinti più disperati dell’arte; dove la stanza è invasa come da un rogo semispento d’apocalisse che screzia le figure, le imbratta, le usura in un aspetto di «impressionismo magico”. Difatti la luce non sembra illuminare la scena, ma farla scintillare, vibrare, esplodere. É la potenza dell’episodio sacro.

Paolo Caliari, detto il Veronese, Battesimo di Cristo, 1560-1561, olio su tela, 214 x 100 cm, Venezia, chiesa del Redentore

La tela, richiesta al Veronese mercante veneziano Bartolomeo Stravazino e realizzata nel 1561, era destinata a un oratorio e sacello familiare presso la chiesetta di Santa Maria degli Angeli alla Giudecca. Veronese combina qui l’armonia decorativa e la gamma chiara dei colori (che lo oppongono alla ‘terribilità’ tintorettiana), con la monumentalità del manierismo padano. L’orchestrazione cromatica delle vesti – il rosso del mantello di Giovanni, l’azzurro cielo del perizonium del Battezzato, il giallo di piombo-stagno dell’angelo – è esemplare della visualità del Veronese. A renderla visibile è anche il restauro realizzato nel 1992.

 

Jacomo Robusti, detto il Tintoretto, Ultima cena, 1561-1566, olio su tela, 224,5 x 415 cm, Venezia, chiesa dei Santi Gervasio e Protasio, detta di San Trovaso

La grande tela, più di nove metri quadri di appassionata concitazione, fu richiesta a Tintoretto dalla Scuola del Sacramento dei Santi Gervasio e Protasio per il proprio ‘Banco’ nella chiesa di San Trovaso. In coppia con la Lavanda dei Piedi, l’Ultima Cena sottolinea i valori comunitari e l’umanità divina, propone la sapienza e l’umiltà, l’incrollabilità della fede opposta all’umana debolezza. Tintoretto l’allestisce con toni teatrali e gusto popolaresco, con elementi di inconsueto realismo. Tra questi l’ambientazione, un’umile locanda con la tavola dimessamente apparecchiata, le sedie sgangherate e il pavimento sporco. Ma soprattutto gli apostoli hanno i volti dei veneziani che si incontrano nelle calli, i mercanti e i maestri d’ascia che lavorano negli squeri sulle fondamenta di Ognissanti.

Crocifissione, 1560 circa, olio su tela, 297×165 cm, Venezia, chiesa di Santa Maria del Rosario, detta dei Gesuati

La Crocifissione di Tintoretto proviene della chiesa veneziana di Santa Maria del Rosario, detta dei Gesuati, realizzata intorno al 1563.  Cristo in croce, attorniato dalla gran luce di un’aureola, ha ai suoi piedi la Madre svenuta, in singolare isolamento. La luminosità irradiata dal Crocifisso è il trionfo sulle tenebre, la vittoria di Cristo e la certezza del riscatto dell’umanità, avviata nella speranza di resurrezione. Le presenze femminili riempiono lo spazio con morbidi veli, manti dai colori accesi e ampie vesti rigonfie. In particolare, il dolore della Vergine è un “secondo parto”, da cui nasce il popolo cristiano redento. Anche in questo caso l’opera è stata recentemente restaurata (1991).

Paolo Caliari, detto il Veronese, Resurrezione, 1560 circa, olio su tela, 247×130 cm, Venezia, chiesa di San Francesco della Vigna

La pala d’altare è conservata nella cappella Badoer in San Francesco della Vigna. L’opera è un esempio del colorire ‘alla veneziana’, ovvero un colore strutturale che determina la costruzione pittorica. L’esplosione di luce centrale accompagna l’energica figura di Cristo risorto, in movimento ascendente, imperioso. La raggiera intorno indica l’energia sovrumana che da lui si disperde. Il corpo si fa divino, le ferite della Passione si ritirano, rimane solo un lieve segno della ferita dei chiodi su un piede. A terra si accalcano i cinque soldati, spiazzata dalla visione. All’interno della composizione, perlopiù dominata dal verde, si scorgono tutti i colori tipici di Venezia: l’azzurrite, l’indaco, la lacca di cocciniglia, l’orpimento, il realgar.

Carlo Franza 

 

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