Il cuore a fette di Sean Shanahan è la chiave della sua teatralità. La mostra alla Building di Milano
BUILDING presenta Sean Shanahan. Cuore a fette, una mostra tematica completamente frontale, aperta fino al 25 marzo 2023, che nasce da una riflessione personale e intima dell’artista sul tema della morte e dell’eternità.
Il percorso espositivo, che si sviluppa su tre piani della galleria, è composto da una selezione di dipinti autonomi inseriti in un contesto site-specific caratterizzato da una forte teatralità. L’imprevisto, l’attesa e la sorpresa sono gli elementi chiave del progetto, che propone tre diverse letture del rapporto tra il quadro, lo spazio espositivo e lo spazio reale. Sfondando metaforicamente e concretamente i confini imposti dagli elementi strutturali della galleria, le opere di Sean Shanahan, derivati della pittura monocroma, abitano fisicamente lo spazio tridimensionale di BUILDING in un allestimento che si pone al limite con l’installazione.
L’utilizzo del supporto in MDF (medium density fireboard), cifra stilistica dell’artista, contribuisce in modo essenziale a esaltare l’ambigua oggettualità dell’opera, suggerendo una percezione del dipinto come elemento concreto che necessita di farsi spazio e non solo di occuparlo. Anche il colore a olio, steso a campiture monocrome piatte e assorbito dal materiale ligneo, assume un carattere sostanziale in questo processo, divenendo parte integrante del quadro e non mero rivestimento della superficie.
La mostra ideata per BUILDING è scandita in tre momenti strettamente interconnessi tra loro e consiste in un susseguirsi di situazioni inaspettate, in cui l’ambiente viene plasmato e modellato dall’artista per permettere al fruitore di percepire le sue opere da prospettive inedite e differenti.
Al piano terra le opere interagiscono con lo spazio espositivo grazie a un uso drammatico e concettuale del colore. Dalla compenetrazione reciproca tra opere e parete ha origine una “danza macabra”, che dà il nome ai cinque grandi dipinti che scandiscono con regolarità l’ambiente espositivo. Il fulcro visivo è localizzato nel foro centrale che contraddistingue tutte le opere in mostra e che con la sua presenza-assenza diventa il vero e proprio filo conduttore dell’esposizione. Questo buco squadrato, la cui visibilità è accentuata dai bordi bisellati lasciati volutamente intonsi, diventa il focus su cui siamo invitati a concentrarci, prima di poter estendere lo sguardo al dipinto nella sua interezza e al contesto immersivo di cui è parte integrante.
Il percorso espositivo prosegue al primo piano che prende il nome di “Histerical Aftermath”. Nel contesto tradizionale del “white cube” è il quadro-oggetto a imporsi, instaurando una relazione dinamica con la parete bianca e l’ambiente circostante. Tre opere di grandi dimensioni, intitolate Flounder (2022), Float (2022) e Flight (2022), si stagliano nello spazio espositivo, rifuggendo la bidimensionalità tipica del medium pittorico e rimarcando piuttosto la loro presenza materica e tangibile. Le inaspettate tonalità dei colori a olio assorbiti dal supporto in MDF, lavorato dall’artista per essere parte strutturale attivamente visibile, si irradiano nello spazio candido del primo piano sottolineando la loro profondità e la loro sostanza.
Il terzo e ultimo momento della mostra è liberamente ispirato alla locuzione latina “sub specie aeternitatis” e suggerisce un richiamo diretto al concetto di incommensurabile e di eterno. Al secondo piano è lo spazio reale a prevalere sul quadro e a dettare il posizionamento delle opere stesse. Il dipinto-oggetto si configura a tutti gli effetti come una “finestra sul cortile”, affacciata sul mondo esterno. Allo sguardo è permesso oltrepassare il dipinto attraverso il foro squadrato, sfondando i confini del supporto e della galleria, per indagare lo spazio reale senza alcuna limitazione ed estendere il proprio raggio assaporando un assaggio di infinito.
La mostra è completata da un catalogo, edito da BUILDING, nel quale è possibile ripercorrere idealmente gli spazi di BUILDING attraverso una ricca documentazione fotografica delle opere in mostra. La pubblicazione è ulteriormente arricchita da interessanti approfondimenti e autorevoli contributi teorici, tra cui testi di Luca Massimo Barbero, Federico Ferrari, Giuseppina Panza di Biumo e Alberto Zanchetta.
Sean Shanahan nasce a Dublino nel 1960 e si forma presso l’Heatherley School of Fine Art a Chelsea, Londra e il Croydon College of Art and Design, dove compie studi di pittura e storia dell’arte. A 22 anni si sposta a Milano, dove tiene la sua prima personale nella galleria di Luigi De Ambrogi. Nel 1986 vince una borsa di studio alla Fundación Olivar de Castillejo di Madrid e tra il 1986 e il 1990 vive e lavora tra Colonia e New York.
La sua elaborazione creativa respinge qualsiasi tipo di narrazione: forma e colore sono i mezzi della pittura e il suo unico interesse. Fin dagli esordi della sua ricerca si volge verso la natura morta indagandone la capacità di cogliere l’istante non dinamico del fluire, il momento di stasi che fissa azioni, gesti, emozioni. Questa propensione viene tradotta in una profonda riflessione sul colore e un intervento su superfici in legno duro.
Nel 1990 Shanahan si trasferisce in Italia e poco dopo compie la scelta cruciale di abbandonare l’acrilico, in favore dell’olio, che permette una stesura più fluida e trasparente e che consente una percezione immediata della resa finale. Nel 1994, in mostra alla Orchard Gallery di Derry, presenta Untitled, un olio su MDF, in cui pentimenti e rimaneggiamenti del colore sono ancora visibili e argomentano il processo pittorico dell’artista. Quest’opera segna il superamento dell’evidenza di tale processo sulla superficie; nelle opere successive le campiture verticali e orizzontali in più colori vengono gradualmente sostituite dalla pittura monocroma, che diviene per Shanahan una scelta definitiva, come quella di adottare I’MDF come supporto, un materiale industriale che assorbe il colore e che viene lavorato con bisellature lungo i margini, enfatizzando la corporeità dei dipinti.
Nel 1997 si trasferisce a Montevecchia dove allestisce il suo studio e si dedica all’uso di un solo colore, steso in modo omogeneo e uniforme, e a costruzioni formali semplici definite da una rastrematura che ne restituisce tridimensionalità. La direzione intrapresa da Shanahan in questi anni incontra l’interesse di Giuseppe Panza di Biumo, che dal 2000 inizia a collezionare in maniera sistematica i suoi lavori. Tra il 2010 e il 2016 partecipa a importanti collettive con la Panza Collection: nel 2010 State of Mind. Minimal Art al Lucca Center of Contemporary Art, e nel 2015 La percezione del Futuro. La collezione Panza a Perugia alla Galleria Nazionale dell’Umbria.
Tra le numerose partecipazioni a mostre personali e collettive si ricordano inoltre Sudden Time (2021) a Villa Panza, Varese, Singular Episodic (2020) presso il Museo d’Arte Contemporanea di Lissone, Body of Light (2018) presso Luca Tommasi Arte Contemporanea a Milano, Seven Last Words (2016) presso la Galleria San Fedele a Milano, Unique Act (2008) presso The Hugh Lane a Dublino.
Carlo Franza