Van Gogh il maestro dei girasoli, Van Gogh il pittore del manicomio e della pazzia suicida, Van Gogh il solitario artista immerso nella campagna, l’autodidatta senza molti appigli culturali. Questi sono solo alcuni degli stereotipi che hanno condizionato e ancora condizionano la narrazione al pubblico del mito di Vincent van Gogh (1853-1890). La tragica dimensione esistenziale del personaggio viene troppo spesso enfatizzata a scapito di una corretta conoscenza della vera grandezza creativa del genio olandese.

Van Gogh fu un pittore ma anche un intellettuale estremamente colto; e per comprendere la complessità della sua personalità, al di là dei più abusati luoghi comuni, è importante e doveroso mettere a fuoco non solo la sua poetica e la sua tecnica pittorica ma anche la ricchezza e la profondità degli interessi culturali che sono alla base della sua visione della vita e dell’arte. Questa mostra, che il MUDEC di Milano presenta al pubblico dal 21 settembre 2023 al 28 gennaio 2024, intende andare proprio in questa direzione: ribalta la prospettiva dello stereotipo-Van Gogh e presenta un Vincent van Gogh meno outsider e più sorprendentemente aggiornato sul dibattito culturale del suo tempo: appassionato lettore e collezionista di stampe, oltre che attento osservatore delle tendenze artistiche più attuali. Nelle sue lettere troviamo in una riga la più viva testimonianza: “I libri la realtà e l’arte sono una cosa sola per me”.

La mostra “Vincent van Gogh. Pittore colto”, prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, promossa dal Comune di Milano-Cultura con il patrocinio dell’Ambasciata e Consolato Generale dei Paesi Bassi in Italia, e che vede come Institutional Partner Fondazione Deloitte, è resa possibile grazie alla collaborazione con il Museo Kröller-Müller di Otterlo, Paesi Bassi, che possiede una straordinaria collezione di dipinti e disegni del pittore olandese seconda solo a quella del Van Gogh Museum di Amsterdam. Dal museo olandese provengono circa 40 delle opere esposte, tra cui straordinari capolavori come gli studi di teste e figure per I mangiatori di patate, e i disegni di cucitrici e spigolatrici della fase olandese; Moulin de la Galette, Autoritratto , l’Interno di un ristorante, Natura morta con statuetta e libri, degli anni parigini (1886-87); Frutteto circondato da cipressi, Veduta di Saintes-Marie-de-la-Mer, La vigna verde, Ritratto di Joseph-Michel Ginoux del periodo di Arles (1888-89); Paesaggio con covoni e luna che sorge, Covone sotto un cielo nuvoloso, Pini nel giardino dell’ospedale, Uliveto con due raccoglitori di olive, Tronchi d’albero nel verde, Il burrone, dipinti durante il suo internamento all’ospedale di Saint-Rémy (1889-90).   Attraverso un percorso allo stesso tempo cronologico e tematico, l’esposizione propone una inedita lettura delle opere di Van Gogh che mette in particolare evidenza il rapporto fra la visione pittorica e la profondità della dimensione culturale dell’artista, attraverso lo sviluppo di due temi di grande rilievo: da un lato quello del suo appassionato interesse per i libri, e dall’altro la fascinazione per il Giappone alimentata dall’amore per le stampe giapponesi, collezionate in gran numero.
Un terzo tema di essenziale importanza per la formazione artistica del pittore fu l’influenza che su di lui ebbe Jean-François Millet, grande maestro d’arte e di vita per Vincent. La visione profondamente religiosa della natura di Millet è il modello di riferimento a cui si ispira per la sua scelta di diventare pittore. La curatela della mostra è affidata allo storico dell’arte Professor Francesco Poli, a Mariella Guzzoni, ricercatrice e curatrice del fil rouge “Van Gogh. Vivere con i libri”, che si articola lungo tutta la mostra e Aurora Canepari, conservatore responsabile del Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone di Genova, curatrice della sezione “Van Gogh: il sogno giapponese. Da Parigi alla Provenza”.

La mostra racconta la vita artistica e intellettuale di Van Gogh in una successione che segue il filo cronologico. Quattro le fasi storiche fondamentali nella vita dell’artista: dal primo periodo 1880-1885 (nel Borinage, all’Aia, e a Nuenen) al soggiorno parigino nel 1886-1887, dal periodo ad Arles nel 1888-89 a quello dell’internamento nell’ospedale di Saint-Rémy. Nelle sale le opere provenienti dal Museo Kröller-Müller vengono presentate in dialogo con il primo fil rouge della mostra, ovvero con una accurata selezione di oltre trenta edizioni originali di libri e riviste d’arte, provenienti dalla collezione della curatrice e dalla Biblioteca Malatestiana, disseminati in vetrine a tema lungo tutto il percorso di mostra.

IN OLANDA. LE BRUME DEL NORD

Si parte dalla prima fase della vita di Van Gogh, il periodo olandese, tra le brume del nord Europa.Van Gogh arriva a dicembre 1878 nel bacino carbonifero del Borinage in Belgio, dove si impegna come predicatore evangelico laico nella comunità dei minatori fino al 1880. L’artista faceva già dei disegni, ma è nell’estate di quell’anno che prende la decisione definitiva di diventare pittore. Il grande disegno elaborato a tecnica mista (la sua prima opera ambiziosa, emblematica della sua svolta dalla missione religiosa a quella dell’arte) Le portatrici del fardello, rappresenta in modo sinteticamente realistico un gruppo di donne che trasportano sacchi di carbone con le schiene piegate in un paesaggio desolato. Sono il simbolo della fatica e delle sofferenze che segnano la condizione di vita dei poveri e diseredati della società. Le vetrine dedicate ai riferimenti letterari ci raccontano di un Van Gogh profondo conoscitore della Bibbia, costante testo di studio e meditazione durante la sua missione da predicatore laico tra i minatori e anche dopo. Fondamentali per lui in questo periodo sono opere di scrittori contemporanei che affrontano grandi temi sociali, come Michelet che, con la sua monumentale Storia della Rivoluzione Francese, restituisce per la prima volta al popolo un ruolo attivo mettendolo al centro della dinamica rivoluzionaria, e Beecher Stowe con La capanna dello zio Tom, che denuncia la condizione degli schiavi in America. E poi anche Dickens, Hugo, e Shakespeare. Impressionante è il numero di libri letti da Van Gogh, che conosciamo perché continuamente citati e commentati nelle sue lettere al fratello Theo e agli amici. I temi che più lo coinvolgono sono: lo sguardo verso i poveri, i diseredati, le ingiustizie sociali; la semplicità, l’umiltà, la fatica dei lavoratori, la terra, la natura; l’indagine dell’animo umano.   Di grande importanza per la sua formazione è Jean-François Millet, l’artista che, fin dall’inizio e per tutta la vita, ha influenzato maggiormente Van Gogh. Ed è per tale motivo che un focus specifico della mostra è dedicato a questo rapporto previlegiato. La lettura della biografia illustrata che Alfred Sensier dedica a Millet (pubblicata nel 1881) è per il pittore olandese una rivelazione. La visione profondamente religiosa della natura di Millet diventa il modello di riferimento a cui si ispira per la sua scelta definitiva di diventare artista. In mostra si possono vedere dei notevoli disegni di Van Gogh copie di opere di Millet tra cui il celebre Angelus, gli Zappatori (disegno messo a confronto con un’incisione del pittore francese) e Il Seminatore. Quest’ultimo è per Van Gogh una figura simbolo della sua missione di seminatore di verità attraverso l’arte, ed è per questo che diventerà protagonista di molte sue opere successive. Di Millet è presente in mostra il bellissimo dipinto La fine del villaggio di Gruchy (1856).

Alla fine del 1881 Van Gogh si trasferisce da Etten (dove abitano i genitori) all’Aia, e per qualche tempo si esercita nello studio del pittore Mauve, suo parente, ma poi interrompe i rapporti. Nel gennaio 1882 inizia il suo legame con Clasina Maria Hoornik (detta Sien), una povera prostituta incinta e con un figlio, che intende sposare per salvarla dalla sua condizione. Il progetto provoca l’indignazione dei famigliari, e dopo un anno e mezzo di convivenza sisepara da lei. Van Gogh raffigura Sien nel famoso disegno Donna sul letto di morte esposto in mostra. In questo periodo Vincent vorrebbe guadagnarsi da vivere diventando illustratore: colleziona quasi duemila illustrazioni che cataloga e studia giorno e notte, in particolare dal The Graphic, settimanale inglese illustrato. Nel luglio del 1882 Vincent scopre il padre del naturalismo francese Émile Zola, che diviene più che un preferito, leggerà leggerà “tutto” di lui. Rilegge tutta l’opera di Charles Dickens, lo scrittore che denuncia la povertà della Londra dei suoi giorni, e ne studia le illustrazioni. Dopo aver lasciato Sien nel settembre 1883, trascorre un periodo in solitudine nella regione della Drenthe e a dicembre ritorna dai genitori a Nuenen (dove il padre era stato trasferito). Qui, in due anni di intenso lavoro, disegna moltissimo e dipinge circa duecento quadri dai toni scuri e terrosi. Realizza delle nature morte come I nidi, i paesaggi, e una serie di studi di teste e ritratti di contadini. E realizza la sua prima grande composizione, I mangiatori di patate.
A Nuenen Vincent studia in modo sistematico la Grammaire des arts du dessin di Charles Blanc, un testo fondamentale per la conoscenza degli effetti pittorici della legge del contrasto simultaneo dei colori complementari, già utilizzata da Delacroix e alla base della tecnica neoimpressionista di Seurat e compagni, che influenzerà anche Van Gogh a Parigi.

A PARIGI. LA VILLE LUMIÈRE

Il periodo parigino – che dura due anni, dal febbraio 1886 al febbraio 1888, segna una svolta fondamentale della sua ricerca. Grazie a Theo, direttore di una filiale delle Gallerie Goupil, entra in contatto con l’ambiente artistico più avanzato, quello degli impressionisti e neoimpressionisti. Nella sua pittura scompaiono le drammatiche tonalità scure e i temi sociali più pauperisti, e la sua tavolozza diventa cromaticamente più viva e luminosa con l’adozione di una tecnica impressionista e “pointilliste” elaborata in modo molto personale. Anche la mostra al Mudec si accende cromaticamente nell’allestimento, come a sottolineare l’enorme cambio di passo del periodo parigino.
Grande è la curiosità di Vincent per tutti gli aspetti della cultura. In particolare, conosce a fondo la storia dell’arte anche delle ultime tendenze, attraverso manuali, monografie, riviste, stampe originali e riproduzioni e visite di musei e gallerie. Frequenta per breve tempo lo studio del pittore Fernand Cormon dove incontra Henri Toulouse-Lautrec e Émile Bernard che diventano suoi amici. Insieme a Bernard e Paul Signac va a dipingere paesaggi a Asnières. Per evidenziare il rapporto con la pittura neoimpressionista, in questa parte della mostra sono esposte, accanto ai quadri di Vincent, due vedute di Montmartre di Maximilien Luce, e un dipinto di Paul Signac. In omaggio ai romanzi parigini, i libri diventano anche soggetti dei suoi quadri. Nella luminosa Natura morta con statuetta e libri (1887) vediamo al centro Bel-Ami di Guy de Maupassant e Germinie Lacerteux dei fratelli Goncourt che considera dei capolavori perché raccontano “la vita così com’è”. Ad attirare magneticamente l’attenzione, fra i quadri parigini, spicca l’eccezionale Autoritratto (1887), uno dei più intensi in assoluto, dipinto con tonalità chiare e pennellate tratteggiate. In quel periodo Parigi era invasa dal fenomeno del Giapponismo, che non risparmiò di certo Van Gogh.
Il termine “giapponismo” viene coniato nel 1872 dall’artista Philippe Burty, per definire il fenomeno di fascinazione per il Giappone che ha interessato gran parte degli artisti europei alla fine del XIX secolo. In particolare, a Parigi si sviluppò rapidamente, grazie alla partecipazione del Paese del Sol Levante alle Esposizioni Universali tenutesi nel 1867 e 1878, e alla presenza di negozi come La Porte Chinoise, di mercanti come Siegfried Bing, (specializzato in pezzi giapponesi e fondatore della rivista “Japon Artistique”) e di caffè alla moda come Le Divan Japonais e il Café Tamburin. La frequentazione di questi ambienti, assieme alle letture sulla cultura e l’arte giapponese, fecero nascere in Van Gogh un forte interesse per le stampe giapponesi, che saranno una fonte di ispirazione per la sua pittura e di cui diventa appassionato collezionista.   È quindi nelle sale ‘parigine’ della mostra che si innesta il terzo fil rouge del progetto espositivo del Mudec, ovvero la passione per il Giappone. In mostra sono esposte una quindicina di stampe giapponesi, e xilografie originali di maestri come Hiroshige e Hokusai, provenienti dal Museo Chiossone di Genova, che conserva la più importante collezione di stampe ukiyoe in Italia.
In questa sezione sono esposte quattro opere di Utagawa Hiroshige, Kastukawa Shunsen e Taki Katei, nonché il famoso volume illustrato Cento vedute del Monte Fuji di Hokusai, rappresentative delle tipologie più amate nel collezionismo delle stampe giapponesi, che circolavano a Parigi alla fine dell’800. Questi indiscussi capolavori della storia dell’arte giapponese furono materia di studio e di ispirazione per Van Gogh, oltre che oggetto del suo collezionismo, influenzando la sua produzione artistica degli anni seguenti. Dall’editoria parigina arrivano importanti volumi illustrati dedicati all’arte giapponese, su cui Van Gogh studiò. L’art japonais di Louis Gonse, storico dell’arte e collezionista, è il primo studio approfondito sull’arte giapponese pubblicato in Francia nel 1883 – opera di riferimento del periodo. Il volume presentato in mostra è l’edizione speciale ristampata nel 1886 in 50 copie per Sigfried Bing, il maggior mercante d’arte giapponese di Parigi, dove Vincent passava intere giornate alla ricerca di stampe da collezionare (ne acquisterà più di 600).

IN PROVENZA. LA RICERCA DELLA LUCE

Van Gogh si trasferisce ad Arles nel 1888, alla ricerca della luce. Ad Arles affitta delle stanze nella “Casa Gialla”, dove sogna di fondare una comunità di artisti. Lontano da Parigi, a contatto con la natura la sua pittura ha un’evoluzione decisiva e si caratterizza per una straordinaria vitalità cromatica e luminosa. Dipinge paesaggi della campagna circostante (con alberi in fiore e campi di grano) delle marine a Saintes-Maries-de- la-Mer, scene notturne di caffè, interni della sua stanza, nature morte come quelle famose con i girasoli, autoritratti e ritratti di personaggi del posto (i coniugi Ginoux, il postino Roulin, lo Zuavo, la Mousmé…). Il 23 ottobre del 1888 arriva ad Arles Paul Gauguin. I due pittori vivono e lavorano insieme, ma il sodalizio dura sono fino al 23 dicembre, quando dopo una lite Van Gogh si taglia un orecchio. L’artista si rimette dalla crisi e riprende a lavorare, ma l’8 maggio decide volontariamente di essere internato nell’ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de-Mausole vicino Saint-Rémy.
Come nel periodo parigino, anche nella sezione dedicata ad Arles ritorna il fil rouge del Giapponismo, che in questo ambiente Van Gogh declina in modo assolutamente atipico e con risultati insoliti; del resto, un suo famoso commento su Arles è “mi dico sempre che qui sono in Giappone”. La Provenza, con la sua natura incontaminata, il sole più forte, i colori più vividi, era per Van Gogh il ‘suo’ Giappone, equivalente di quel paradiso rurale che intravedeva nei paesaggi di Hokusai e Hiroshige. Ad Arles Van Gogh riceve da Theo i primi due numeri di Le Japon Artistique, nuova rivista mensile curata da Sigfried Bing che racconta vita e costumi, arte e artigianato giapponese, uscita a Parigi nel maggio del 1888. Le sue copertine diventeranno iconiche, e molte delle magnifiche tavole a colori sono fedeli riproduzioni di stampe ukiyoe. In mostra vengono presentati a confronto alcuni fogli tratti dalla rivista e stampe originali dei maestri giapponesi Hiroshige, Hokusai, Shunsen, che lo stesso Van Gogh commentava con ammirazione nelle lettere al fratello Theo.   In mostra sono esposti paesaggi straordinari come Salici al tramonto (1888), Frutteto circondato da cipressi (1888), La vigna verde (1888), dalle quali è possibile intuire il nuovo approccio ai colori e alle forme che Van Gogh mette in pratica as Arles, e uno dei ritratti più famosi, quello di Joseph-Michel Ginoux (1888), il proprietario del Café de la Gare di Arles, amico dell’artista. Il dipinto viene qui presentato a confronto con due stampe giapponesi di Utagawa Kunisada e Toyoharu Kunichika. Sono ritratti di attori del teatro kabuki, tipologia che ha sicuramente influenzato la produzione di ritratti di Van Gogh, con i loro colori intensi e senza sfumature e le campiture solide, delineate da forti contorni neri.

 A SAINT-RÉMY. OSPEDALE DI SAINT-PAUL-DE-MAUSOLE
Nell’ospedale di Saint-Rémy Van Gogh ha a disposizione una stanza per dipingere. È colpito da frequenti crisi allucinatorie, ma nei periodi di relativa tranquillità dipinge con straordinaria intensità espressiva scorci del giardino dell’ospedale (come Tronchi d’albero con edera, Pini nel giardino dell’ospedale, Tronchi d’albero nel verde, Pini al tramonto); paesaggi di cipressi e uliveti nei dintorni (come Uliveti con due raccoglitori di olive); meravigliose scene notturne, e anche delle copie libere di opere di maestri amati come Delacroix, Rembrandt e Millet. Quando decide di entrare volontariamente nella clinica psichiatrica di Saint-Rémy, Vincent ritorna alle vecchie letture. Nei primi tempi non può uscire dalle mura dell’ospedale. Vuole rileggere tutto di Shakespeare, così chiede a Theo di inviargli l’opera completa nell’edizione di Dicks da uno scellino, presentata in quest’ultima sezione di mostra, nella vetrina dedicata ai libri. Nelle opere di Van Gogh di questo periodo si fa sempre più forte il riferimento visivo agli stilemi delle stampe giapponesi: non un confronto puntuale perché non si tratta dello stesso soggetto, ma un riflesso molto forte a modelli iconografici orientali, come ci ricorda il confronto fra Paesaggio con covoni e luna che sorge e la Luna Autunnale a Ishiyama di Hiroshige o Il burrone (Les Peyroulettes) e Sull’isola di Enoshima sempre di Hiroshige. Il dialogo tra l’opera Tronchi d’albero nell’erba e la stampa di Hokusai Il passo di Mishima nella provincia di Kai, tratta dalla famosa serie delle Trentasei vedute del Monte Fuji, ci conferma che per Van Gogh è ormai completamente interiorizzata la lezione giapponese, che egli ha fatto parte vibrante del suo linguaggio.

La sua pittura incomincia a suscitare un certo interesse. All’inizio del 1890 espone al Salon Les XX di Bruxelles ed esce un articolo molto positivo su di lui scritto dal critico Albert Aurier. Nel maggio 1890 torna a Parigi dal fratello che ha avuto un figlio, e poi si trasferisce a Auvers- sur-Oise, dove il 27 luglio si spara un colpo di pistola, e muore due giorni dopo.   La mostra al Mudec “Vincent van Gogh” ci fa scoprire un artista colto, che andava per musei, caratterizzato da un amore sconfinato per la lettura che lo accompagnò per tutta la vita, con obiettivi diversi – impiegato nelle gallerie d’arte, predicatore, pittore – ma sempre con un gran desiderio di imparare, capire, servire la gente, trovare il modo di essere utile all’umanità. Un cavaliere del socialismo utopistico di quel tempo che, come Millet, considerava il contadino un ‘uomo spirituale’ perché a contatto – più di altri – con la natura e la terra, e perché più che in qualsiasi altro essere vivente o in qualsiasi altro luogo del mondo, era sui volti anneriti dei minatori e nelle mani rovinate dei contadini che Van Gogh vedeva manifestarsi la presenza divina più vera, quella che non smise mai di ricercare.   Il percorso espositivo sarà arricchito da un’opera audiovisiva a cura di Karmachina. Una sala immersiva, dove una composizione di libri aperti inviterà il visitatore a entrare nella mente di Van Gogh, nel suo universo di suggestioni e ispirazioni letterarie e artistiche. Un archivio audiovisivo che raccoglie schizzi, illustrazioni e dipinti, ma anche citazioni tratte dalle sue lettere. Un omaggio inedito al Vincent collezionista e archivista, grande lettore e sperimentatore.

 Carlo Franza

 

Tag: , , , ,