L’addio ad Antonio Paolucci, l’amico, il professore, il Soprintendente d’Italia. Guidò i musei a Firenze e in Vaticano.
Sono tornato da Firenze, dove ieri ho voluto presenziare alla cerimonia d’addio all’amico Antonio Paolucci. L’addio all’amico nella Basilica della Santissima Annunziata ieri martedì 6 febbraio 2024 alle ore 15.30; una Santissima Annunziata gremita per l’ultimo saluto ad Antonio Paolucci, 84 anni. Qui si sono svolti i funerali dello storico, ex sovrintendente del Polo Museale Firenze, ex ministro per i Beni Culturali durante il governo Dini e anche direttore dei Musei Vaticani, originario di Rimini, dove era nato il 29 settembre 1939 (“lo stesso giorno di Berlusconi – amava dire scherzando, e aggiungeva – ma io sono più giovane di lui di tre anni”), ma fiorentino d’adozione. A rendergli omaggio tante personalità del mondo politico, culturale ma anche tanta gente comune che lo ricorda per la sua grande umanità. Per tutti era il “Professore” o semplicemente “Prof”, anche se lui amava la definizione di “Soprintendente d’Italia“, titolo che meglio gli si addiceva perché tra il gennaio 1995 e il maggio 1996, fu chiamato da Lamberto Dini a ricoprire la carica di Ministro per i Beni Culturali e Ambientali. Si era laureato nel 1964 in Storia dell’Arte con Roberto Longhi all’Università di Firenze e specializzato a Bologna con Francesco Arcangeli. Cinque anni più tardi iniziò la sua carriera nell’ambito del ministero della Pubblica Istruzione (che fino al 1975 si occupava anche di Beni Culturali), avvicinandosi al mondo delle soprintendenze. Fu soprintendente a Venezia, poi a Verona, a Mantova e infine a Firenze, dove si occupò prima dell’Opificio delle Pietre Dure, per poi passare alla soprintendenza ai Beni Artistici e Storici (diventata poi soprintendenza speciale per il Polo Museale Fiorentino) ed essere nominato anche direttore regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana sino al collocamento a riposo per raggiunti limiti d’età, avvenuto nel 2006. L’anno seguente Papa Benedetto XVI lo chiamò a dirigere i Musei Vaticani, incarico che mantenne fino alla fine del 2016. “Con la scomparsa di Antonio Paolucci -ha dichiarato il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano– l’Italia perde un uomo di cultura appassionato e rigoroso, un instancabile studioso che ha dedicato la sua vita alla tutela, alla promozione e alla valorizzazione del nostro patrimonio artistico e culturale”. Sapeva bene Paolucci che non avevo grande stima per i soprintendenti, ma lui era uno speciale, super, perché era anzitutto uno Storico dell’Arte, e -come ha ben sottolineato il collega Vittorio Sgarbi- “ha inteso la storia dell’arte non come una ricerca estetica o di approfondimento critico, ma come esperienza di storia civile, di educazione”. Un uomo che ha cercato la verità,
l’essere, la cultura, l’arte, i musei che -diceva- non dovevano essere luoghi di divertimento, ma fortezze di consapevolezza, di radici, di storia, di tradizioni.
“Per me e per tanti di noi Antonio Paolucci è stato un maestro, non solo nel campo dei beni culturali, ma anche, con la sua umanità cordiale e curiosa, nella vita” ricorda Cristina Acidini, ex soprintendente del Polo Museale Fiorentino che sostituì Paolucci nel 1995 quando divenne ministro e poi gli successe nel 2006. “Da ministro –ricorda Acidini parlando all’agenzia Ansa – è stato decisivo e ha lasciato un’impronta profonda: ha introdotto una visione nuova e molto aggiornata della fruizione dei beni culturali ed ha sempre sostenuto l’importanza dell’idea del museo diffuso. Era un grande appassionato di arte dagli oggetti più umili ai grandi capolavori. Ha svolto tutti i suoi ruoli con grande passione e immensa competenza. Quando sono arrivata al polo fiorentino ho trovato una strutturale già pienamente operativa, fu introdotto un concetto molto funzionale perché l’unità del sistema museale consentiva un grande equilibrio, permetteva di governarlo come una grande famiglia. Paolucci ha sempre avuto una visione lucida ed efficace del patrimonio artistico e culturale. Da sottolineare che tra i suoi più grandi risultati come ministro dei Beni Culturali del governo di Lamberto Dini vi è l’acquisizione dell’eredità dell’antiquario Stefano Bardini che era in abbandono totale. Paolucci riuscì a sbloccare questa questione e fu un risultato importantissimo, una sua grande vittoria”. Oggi assume un valore particolare il volume “Governare l’arte – Scritti per Antonio Paolucci dalle soprintendenze fiorentine” in cui 59 funzionari del “soprintendente d’Italia”, due anni dopo il suo pensionamento, raccontarono le loro esperienze di collaborazione con Paolucci. Sapeva bene Paolucci che entrambi s’apparteneva a due scuole diverse, lui longhiano, io con Argan alla scuola del Venturi; ma il rispetto e il confronto non mancavano mai. Grande studioso, grande amico, grande signore. E per finire, in questo ricordo devo far cenno al fatto che durante le sue conferenze stampa – quando era soprintendente – sviluppava vere e proprie lezioni di storia dell’arte e allora poteva argomentare che, nello splendido dipinto denominato “Madonna del Magnificat” agli Uffizi, “se guardi bene i due angeli che posano la corona, che poi è Dio, sulla testa della Vergine, vedrai che le loro dita non toccano la corona, perché nessuno può toccare Dio e Sandro Botticelli questo lo sapeva bene”. O ancora illustrando “L’Adorazione dei Magi” di Gentile da Fabriano, richiamava l’attenzione sulla predella centrale, raffigurante “La fuga dall’Egitto”, e in particolare su un castello costruito in cima a una collina, parzialmente velato da delle nuvole basse: “La vedete? Questa immagine – diceva- rappresenta l’invenzione della nebbia in pittura, mai nessuno prima di Gentile l’aveva dipinta. Ed è la nebbia che lui conosceva perché l’aveva vista tante volte sulle colline di Fabriano, nelle Marche, dove egli era nato”.
Carlo Franza